Alina ha deciso di sfidare il Consiglio di Ealing, a Londra, per portare avanti le veglie di fronte alle cliniche abortiveAlina Dulgheriu deve raccogliere 50.000 sterline per lottare contro il divieto dell’Ealing London Borough Council (Consiglio di Ealing, un municipio dell’area metropolitana di Londra situato a ovest della capitale britannica) di non infastidire con veglie e preghiere le donne fuori dal centro abortivo Marie Stopes in Mattock Lane.
La campagna di raccolta fondi lanciata Alina non potrebbe avere un precedente migliore: lei stessa ha deciso di non abortire grazie a una veglia fuori dalla stessa clinica.
La campagna cerca di finanziare la sua sfida legale ed è iniziata il 5 luglio, raggiungendo in poco più di dieci giorni oltre 20.000 sterline, frutto delle donazioni di quasi 400 persone.
Secondo quanto ha spiegato Alina, il Consiglio di Ealing ha implementato un Ordine di Protezione degli Spazi Pubblici (PSPO) che impedisce di “partecipare a qualsiasi atto di approvazione/disapprovazione” con “qualsiasi mezzo”, includendo preghiera e consulenza, di fronte alla clinica abortiva.
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“Non ho le risorse finanziarie per sfidare il PSPO al Tribunale d’Appello, e senza il vostro aiuto non posso ricorrere in appello”, afferma Alina.
L’attivista pro-vita ha un motivo importante per presentare l’appello, perché è stata lei stessa “vittima” di persone anonime che pregavano e consigliavano le donne quando è andata ad abortire la sua bambina.
“Non riesco a esprimere a parole la gioia, la bellezza e l’amore che mia figlia ha apportato alla mia vita”, confessa Alina.
“Semplicemente, oggi non sarebbe con noi se le veglie fossero state criminalizzate, e mi rifiuto di accettare che ad altre donne debba essere negata la possibilità di ricevere aiuto perché possano tenere il figlio”.
Il divieto del Consiglio di Ealing include anche il fatto di tenere cartelli, pregare o distribuire opuscoli informativi.
Il Tribunale Superiore ha già respinto un’impugnazione legale del PSPO agli inizi di luglio, il che apre alla possibilità che altri consigli possano introdurre misure simili.
Alina sta ora chiedendo fondi per lanciare l’appello. “Non riesco a immaginare una società in cui una semplice offerta di aiuto a una donna che vuole tenere il proprio figlio venga vista come un’offesa criminale”.
“Chiedo al pubblico di donare generosamente per aiutare a coprire i costi legali in cui sono già incorsa per presentare la sfida contro Ealing e sostenere tutti i costi legali futuri. Senza un forte sostegno finanziario un appello non sarebbe possibile”.
Nel 2011 Alina era incinta e sentiva che la sua unica opzione era abortire. “Mi sono sentita abbandonata e sola, ma la mia storia ha avuto un finale felice perché mi hanno offerto aiuto e sostegno con una veglia pro-vita locale mentre entravo in un centro abortivo”.
Le persone che pregavano fuori dalla clinica le hanno dato un’altra opzione, “il che significava che avrei potuto tenere la mia splendida figlia”. Da allora ha assistito regolarmente alle veglie a Londra “per offrire lo stesso aiuto e lo stesso sostegno ad altre donne bisognose, visto che molte donne che ricorrono a un centro abortivo in realtà non vogliono abortire”.
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Due anni fa, però, un gruppo di attiviste chiamato Sister Supporter è apparso a Ealing per protestare per la veglia a favore della vita fuori dal centro abortista di Mattock Lane.
La sua argomentazione è stata che i partecipanti alla veglia stavano “molestando” e “intimidendo” le donne, offrendo loro alternative all’aborto, nonostante gli oltre 20 anni di veglie pacifiche senza un unico arresto.
È stata quindi proibita l’attività caritativa di cui hanno disperatamente bisogno alcune delle donne più vulnerabili della società. In realtà, è stata introdotta una zona di censura che mina completamente la libertà d’espressione.
Alina, però, ha deciso di lottare. “È stato un grande piacere far parte di un gruppo di cittadini amorevoli e compassionevoli che sono lì per offrire aiuto concreto e pratico alle madri che desiderano tenere i propri figli”, afferma sulla sua pagina web.
“Ho fatto quello che posso. Ora ho bisogno del vostro aiuto”, sottolinea Alina.
Potete unirvi alla campagna su https://es.gofundme.com/alinalegalfund