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«Siamo ridotti al lumicino»: la sottile linea che collega Firenze, la Bibbia e Pinocchio

HAND,CANDLE

Per le volte in cui ho dato il cattivo esempio e altri l'hanno seguito.

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 14/07/18
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È una nota espressione regionale toscana, da molto tempo entrata nel patrimonio comune della lingua italiana; però ha le sue radici in due fra i più importanti libri dell’Antico e del Nuovo Testamento… e lo testimonia anche Carlo Collodi.

«Questo mese siamo ridotti al lumicino»… L’avremo usata spesso, codesta espressione, forse neppure ben sapendo donde venga. È certo infatti che la si usi per indicare l’equivalente di detti come “essere alla canna del gas”. A ben vedere, però, non esistono due espressioni così reciprocamente remote mentre dicono “la stessa cosa”.


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L’una e l’altra esprimono infatti una situazione di grave e forse terminale precarietà, ma mentre la seconda è sospesa in bilico sul baratro della disperazione la prima è madida di un’umile e tenace speranza.


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“Alla canna del gas” si trova difatti chi ha praticamente terminato tutte le carte da giocarsi prima della “soluzione estrema” per uscire da un impaccio – ossia uscire nel senso più radicale e assoluto che un uomo possa pensare, vale a dire suicidarsi. “Al lumicino”, invece, evoca l’immagine di una candela che sta lì lì per spegnersi e che si guarda con l’apprensione di chi spera «contro ogni speranza», trattenendo il respiro per non commettere inavvertitamente l’irreparabile.



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I Buonomini di San Martino

E non sarà ignoto ai più che l’espressione è stata forgiata proprio sull’incudine della lingua italiana, ovvero nella Firenze di Dante, Petrarca e Boccaccio. Proprio nella Atene del medioevo sant’Antonino Pierozzi aveva fondato la Congregazione dei Procuratori dei Poveri Vergognosi, meglio nota come “Congregazione dei Buonomini di San Martino”. Ascanio Ruschi l’ha recentemente ricordato, nel numero di maggio di “Radici Cristiane”:

Nei momenti di difficoltà economica è prassi della Congregazione esporre all’esterno dell’Oratorio una piccola candela quale umile richiesta di aiuto alla popolazione fiorentina. Da qui è nato anche il detto popolare, ben conosciuto a Firenze e dintorni, di essere “ridotti al lumicino”, proprio per indicare lo stato di bisogno economico.

I Buonomini di San Martino dunque esponevano un lume a fiamma bassa per segnalare un particolare bisogno, che la Congregazione viveva in ordine alle proprie opere caritative: l’implicita richiesta che quel segno mostrava ai passanti era quella di aiutare a “non far spegnere il lumicino”.



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La Sacra Scrittura

E tale invito, certamente dettato dalle ristrettezze e dalle urgenze, si trovava ad essere di fatto un invito evangelico, perché fu l’evangelista Matteo a ricordare al capitolo 12, commentando con un meraviglioso passo di Is 42 il sublime stile messianico di Gesù, che Cristo «non avrebbe spento il lumicino»:

In quel tempo Gesù passò tra le messi in giorno di sabato, e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano. Ciò vedendo, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato». Ed egli rispose: «Non avete letto quello che fece Davide quando ebbe fame insieme ai suoi compagni? Come entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta, che non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e tuttavia sono senza colpa? Ora io vi dico che qui c’è qualcosa più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato».

Allontanatosi di là, andò nella loro sinagoga. Ed ecco, c’era un uomo che aveva una mano inaridita, ed essi chiesero a Gesù: «È permesso curare di sabato?». Dicevano ciò per accusarlo. Ed egli disse loro: «Chi tra voi, avendo una pecora, se questa gli cade di sabato in una fossa, non l’afferra e la tira fuori? Ora, quanto è più prezioso un uomo di una pecora! Perciò è permesso fare del bene anche di sabato». E rivolto all’uomo, gli disse: «Stendi la mano». Egli la stese, e quella ritornò sana come l’altra. I farisei però, usciti, tennero consiglio contro di lui per toglierlo di mezzo.

Ma Gesù, saputolo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli guarì tutti, ordinando loro di non divulgarlo, perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia:

Ecco il mio servo che io ho scelto;

il mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto.

Porrò il mio spirito sopra di lui

e annunzierà la giustizia alle genti.

Non contenderà, né griderà,

né si udrà sulle piazze la sua voce.

La canna infranta non spezzerà,

non spegnerà il lucignolo fumigante,

finché abbia fatto trionfare la giustizia;

nel suo nome spereranno le genti.

Mt 12, 1-21

Si noti che in questo caso, a differenza che altrove, il passo di Isaia non è messo sulle labbra di Gesù, ma risuona come vera e propria voce dell’evangelista, osservatore attento dei fatti… e lumicino fumigante egli stesso. Non dimentichiamo infatti che la tradizione individua l’evangelista Matteo in quel Levi collaborazionista e ladro che Gesù chiamò proprio mentre faceva contro il proprio popolo il lavoro sporco degli invasori romani. Quanta speranza c’era, per Levi? Eppure Matteo riconobbe in sé stesso il lumicino fumigante che al passaggio di Gesù non si spense ma, anzi, si ravvivò.



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Carlo Collodi

Il che non significa che debba sempre andare necessariamente così: uno degli ultimi eredi di Dante, Petrarca e Boccaccio – il fiorentino Carlo Lorenzini (che il mondo avrebbe conosciuto con lo pseudonimo di “Collodi”) – diede proprio a uno dei suoi personaggi più noti e importanti il soprannome di Lucignolo (variante toscana per “lumicino”, che difatti già avete letto nella – bella – versione biblica della CEI ’74.



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Lucignolo è il Levi che non diede mai mostra di aver inteso alcun invito buono, malgrado sia stato amico di un altro poveraccio – Pinocchio – che invece la sua vocazione l’ha sempre avuta presente, in tutte le peripezie.

Ora bisogna sapere che Pinocchio, fra i suoi amici e compagni di scuola, ne aveva uno prediletto e carissimo, il quale si chiamava di nome Romeo; ma tutti lo chiamavano col soprannome di Lucignolo, per via del suo personalino asciutto, secco e allampanato, tale e quale come il lucignuolo nuovo di un lumino da notte.

È vero che “essere secchi come un lucignolo” è comune modo di dire, nel Fiorentino, ma lì sta l’arte di Collodi, che dietro un puro accidente glissa un elemento essenziale del personaggio, determinante in tutti e sei i capitoli che ne descrivono la parabola: Romeo (questo il vero nome del personaggio) è per Pinocchio “prediletto e carissimo” fra gli amici, e si sbaglierebbe a leggere in questa predilezione un iniziale cedimento di Pinocchio. No, quando Collodi ne rende ragione usa una avversativa, non una consecutiva:

Lucignolo era il ragazzo più svogliato e più birichino di tutta la scuola: ma Pinocchio gli voleva un gran bene.

Non gli voleva bene perché svogliato, ma benché: Pinocchio era infatti (ancora) il burattino dalle buone intenzioni che colloquia con la Fata-Mamma. E voleva bene a Lucignolo. Proprio come Gesù voleva bene a Levi, o meglio come Levi/Matteo voleva bene agli altri lucignoli che incontrava camminando con Gesù.



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Romeo è però l’epigono del Levi che non si alza, del Pinocchio che non ascolta la Fata-Madre e il Grillo, che non ricorda il Padre-Artefice, che dimentica l’altezza della sua vocazione – essere “un bambino vero”. Perché il Messia non spegne i lucignoli fumiganti, ma questi finiscono tante volte con lo spegnersi da soli, se non si decidono a ravvivarsi. E la morte di Lucignolo resta, nelle Avventure di Pinocchio, una delle pagine più tristi e più alte dell’opera: avviene quasi inavvertitamente, in modo anonimo, ma il nome è l’ultima parola che si sente, l’asinello morente la pronuncia a stento quando si riconosce riconosciuto dall’amico di un tempo:

Appena che Pinocchio fu entrato nella stalla vide un bel ciuchino disteso sulla paglia, rifinito dalla fame e dal troppo lavoro. Quando l’ebbe guardato fisso fisso, disse dentro di sè, turbandosi:

— Eppure quel ciuchino lo conosco! Non mi è fisonomia nuova! —

E chinatosi fino a lui, gli domandò in dialetto asinino:

— Chi sei?— 

A questa domanda, il ciuchino apri gli occhi moribondi, e rispose balbettando nel medesimo dialetto:

— Sono Lu….ci….gno….lo. ―

E dopo richiuse gli occhi e spirò.

— Oh! povero Lucignolo! — disse Pinocchio a mezza voce: e presa una manciata di paglia si rasciugò una lacrima che gli colava giù per il viso.

Sarà bastato questo a salvare Lucignolo e a farlo “morire bene”? Non è dato saperlo: quel toscanaccio di Collodi è ruvido e non intende ammannire facili consolazioni. La speranza resta, quella sì: del resto gli stessi Isaia e Matteo, che pure portano evangeli di speranza, non avevano certo promesso una passeggiata.

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