separateurCreated with Sketch.

Medjugorie, la mafia e Napoli: quello che monsignor Hoser dice veramente

whatsappfacebooktwitter-xemailnative
Giovanni Marcotullio - pubblicato il 09/07/18
whatsappfacebooktwitter-xemailnative

A partire da qualche blog è divampato sulle testate nazionali un “flame” acceso dal tam tam per cui il nuovo Visitatore Apostolico di Medjugorie avrebbe detto qualcosa “contro i napoletani”. Per ristabilire la verità dell’informazione essenziale e completa riportiamo integralmente la traduzione del passaggio dell’omelia. Inoltre ne illustriamo il senso in relazione con il quadro geopolitico locale e con un’importante intervista rilasciata dal Prelato in Polonia pochi giorni fa.

Hanno destato molto scalpore le parole di monsignor Henryk Hoser, recentemente nominato “Visitatore Apostolico” di Medjugorie, a proposito dei tentacoli della mafia che arrivano al santuario balcanico. Meglio, più che di “scalpore” si dovrebbe correttamente parlare di chiacchiericcio: quando infatti le informazioni sono parziali e selezionate con pregiudizio specioso a monte il vocabolario della professione giornalistica non risulta adeguato. E chiaramente se ad alimentare certe depravazioni dell’informazione sono delle testate giornalistiche la gravità della situazione diventa tale da costituire caso a sé.



Leggi anche:
Mons. Hoser nominato “Visitatore Apostolico” di Medjugorje. Che cosa significa e perché viene detto “a carattere speciale”?

Vale quindi la pena di richiamare en passant le parole di Papa Francesco sulle fake news, pronunciate per la 52esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali:

L’efficacia delle fake news è dovuta in primo luogo alla loro natura mimetica, cioè alla capacità di apparire plausibili. In secondo luogo, queste notizie, false ma verosimili, sono capziose, nel senso che sono abili a catturare l’attenzione dei destinatari, facendo leva su stereotipi e pregiudizi diffusi all’interno di un tessuto sociale, sfruttando emozioni facili e immediate da suscitare, quali l’ansia, il disprezzo, la rabbia e la frustrazione. La loro diffusione può contare su un uso manipolatorio dei social network e delle logiche che ne garantiscono il funzionamento: in questo modo i contenuti, pur privi di fondamento, guadagnano una tale visibilità che persino le smentite autorevoli difficilmente riescono ad arginarne i danni.

La difficoltà a svelare e a sradicare le fake news è dovuta anche al fatto che le persone interagiscono spesso all’interno di ambienti digitali omogenei e impermeabili a prospettive e opinioni divergenti. L’esito di questa logica della disinformazione è che, anziché avere un sano confronto con altre fonti di informazione, la qual cosa potrebbe mettere positivamente in discussione i pregiudizi e aprire a un dialogo costruttivo, si rischia di diventare involontari attori nel diffondere opinioni faziose e infondate. Il dramma della disinformazione è lo screditamento dell’altro, la sua rappresentazione come nemico, fino a una demonizzazione che può fomentare conflitti. Le notizie false rivelano così la presenza di atteggiamenti al tempo stesso intolleranti e ipersensibili, con il solo esito che l’arroganza e l’odio rischiano di dilagare. A ciò conduce, in ultima analisi, la falsità.

[…]

In gioco, infatti, c’è la nostra bramosia. Le fake news diventano spesso virali, ovvero si diffondono in modo veloce e difficilmente arginabile, non a causa della logica di condivisione che caratterizza i social media, quanto piuttosto per la loro presa sulla bramosia insaziabile che facilmente si accende nell’essere umano. Le stesse motivazioni economiche e opportunistiche della disinformazione hanno la loro radice nella sete di potere, avere e godere, che in ultima analisi ci rende vittime di un imbroglio molto più tragico di ogni sua singola manifestazione: quello del male, che si muove di falsità in falsità per rubarci la libertà del cuore. Ecco perché educare alla verità significa educare a discernere, a valutare e ponderare i desideri e le inclinazioni che si muovono dentro di noi, per non trovarci privi di bene “abboccando” ad ogni tentazione.

In queste parole (davvero profetiche e intelligenti) di Papa Francesco abbiamo già anticipato le ragioni del morboso interesse per le questioni di Medjugorie. Ora vorremmo però mostrarvi il video della famosa omelia da cui sono stati strappati i titoloni dei giornali di questi giorni: dal minuto 4:09 al minuto 5:04 si parla di Medjugorie.



Leggi anche:
Medjugorje, è stato autorizzato il culto ufficiale! Parla l’inviato del Papa

Sono quasi sessanta secondi: decisamente troppi per dire solo quanto hanno riportato circa le mafie. Ecco la traduzione letterale dell’intero passaggio:

E vediamo come si stanno mobilitando le forze maligne per disturbare tutto. Mi dovrò confrontare con quelle forze a Medjugorje. Lì dove è luogo di massicce conversioni, enormi folle che si confessano, dove i confessori non sono mai a sufficienza. In quel luogo ci sono anche azioni demoniache che stanno cercando di fare tutto per rovinare quel luogo.

Li già stanno penetrando le mafie, non solo per i flusso di pellegrini ma anche per le loro vittime, che devono pagare per poter stare là, mafia per esempio napoletana, ho già sentito che c’è là, e anche un’altra. E quindi come è successo a Czestochowa [al santuario della Madonna Nera, N.d.R.] quando c’era il comunismo, affianco la principale entrata del santuario di Jasna Gora c’era clinica per aborti. Un reparto ginecologico che sopratutto faceva interruzioni di gravidanza. Questa è la realtà è non dobbiamo essere ingenui davanti a questa realtà.

Peccato che non sia risultato tutto “notiziabile”, perché in realtà il passaggio era pieno zeppo di chicche, a voler fare della buona informazione:

  • anzitutto Medjugorie è un luogo dove si fa quotidianamente una grande esperienza di Grazia;
  • le azioni demoniache si incanalano in dinamiche estremamente secolari (mentre magari gli ingenui pensano di dover cercare il demonio solo nelle sue manifestazioni preternaturali);
  • parlare di “mafia napoletana” non equivale in alcun modo a dire che i pellegrini napoletani sono camorristi e neppure che Napoli è tout court una città mafiosa;
  • monsignor Hoser divulga scientemente un’informazione (anzi due, perché accenna a “un’altra” mafia…), e sono parole che evidentemente il Visitatore Apostolico ha deciso di dire, con fini che tra poco proverò a illustrare;
  • c’è così poco pregiudizio anti-partenopeo, in queste parole, che l’accostamento che al Vescovo sale alle labbra è con le analoghe dinamiche sorte attorno al santuario della Madonna Nera, in Polonia;
  • in conclusione Hoser afferma che si tratta di dinamiche comuni, perfino banali (come sempre è il male), e che sorprendersene sarebbe attestazione di ingenuità (una parola gentile, tutto sommato).

Ora che abbiamo ristabilito l’originale significato delle dichiarazioni di Hoser, cerchiamo di lumeggiarne con una lettura politico-ecclesiastica il senso: perché in un’omelia il Vescovo ha deciso di parlare di queste cose? Per rispondere alla domanda bisogna anzitutto ricordare che i detrattori di Medjugorie – quegli stessi che hanno isolato e rilanciato le parole di Hoser sulla “mafia napoletana” – sono soliti affermare che il Papa sarebbe «contrario a Medjugorie». Se questo è vero, come si concilia con la nomina dello stesso Hoser, che di fatto sottrae il santuario alla giurisdizione dell’Ordinario del luogo per legarla direttamente alla Santa Sede? Per inquisire un nido di criminali si manda un Commissario, non un Visitatore Apostolico, e di sicuro non si permette il culto pubblico (perfino accompagnato da ministri cattolici).



Leggi anche:
L’arcivescovo Henryk Hoser ad Aleteia: “Non dovremmo preoccuparci per Medjugorje!”

Proviamo a dipanare una volta per tutte questo nodo:

  • Papa Francesco non è “contrario a Medjugorie”, ma è scettico sulla natura delle sue apparizioni;
  • in questo giudizio (anche espresso con l’immagine tagliente della “Madonna postina”) si rispecchia tanto quello di illustri mariologi della nostra epoca (penso a Réné Laurentin) quanto quello della Commissione istruita da Benedetto XVI e presieduta dal cardinal Camillo Ruini (l’esito delle cui indagini fu “non constat de supernaturalitate”);
  • il Santo Padre, tuttavia, è un pastore attento e sente “l’odore delle pecore”: le vede andare a Medjugorie, cambiare vita, accostarsi intensamente ai sacramenti e praticare un culto mariano sostanzioso e confinato nelle direttive della Chiesa – questo è il motivo per cui il Papa non può essere “contrario a Medjugorie”;
  • anzi, tale ossessiva e indiscriminata ostilità di molti al complesso “fenomeno Medjugorie” dice piuttosto della presenza di molto, molto bene in atto.

E dunque cosa significano le affermazioni di Hoser? Ma precisamente che con la sua nomina (peraltro molto singolare, come avevamo cercato di spiegare tempo fa) la Santa Sede ha tracciato una linea d’azione:

  • ciò spiega perché il vescovo di Mostar sia stato “sollevato” dalla cura pastorale del santuario: un Visitatore Apostolico può interessarsi in modo intensivo ed anzi esclusivo delle vicende locali, e senza il peso di conoscenze e condizionamenti “esterni” al solo santuario;
  • la Santa Sede sa bene che in un luogo di massiccio pellegrinaggio circola molto denaro, e per esperienza diretta e indiretta conosce alla perfezione le dinamiche malvagie che il denaro può attirare (tutto ciò che Gesù chiama “mammona”): la Chiesa non è contraria al lecito guadagno di ristoratori e albergatori, ma non può tollerare la speculazione, specie se fa leva sulla religiosità dei suoi fedeli;
  • per le ragioni sopra esposte, le autorità civili e militari nazionali e internazionali sono vivamente interessate al “fenomeno Medjugorie”, e hanno finora svolto il loro lavoro di indagine “in punta di piedi”, in attesa di capire come intendesse procedere la Santa Sede (che evidentemente ha in causa gli interessi maggiori): ora che la linea della Santa Sede è stata espressa (con la nomina di Hoser), le autorità competenti non si muoveranno più “in punta di piedi”;
  • il che vuol dire che tutti quanti operano in quel di Medjugorie – da quelli che organizzano sistematicamente pellegrinaggi a quelli che costruiscono alberghi e ristoranti (e/o li gestiscono), passando per quanti commerciano in souvenir fuori nei pressi del santuario e della cittadina – saranno tenuti sotto stretta (ancorché discreta) sorveglianza, e che molto facilmente potranno essere sottoposti a interrogatori, sull’attività propria e altrui (quanti magari pensavano che la nomina di Hoser fosse invece un “tana libera tutti” di certe attività di fronte al “Vescovo cattivo” impareranno assai presto ciò che ancora non hanno capito della politica ecclesiastica).

Immagino che uno fra i primi segnali della “normalizzazione ecclesiastica” del culto a Medjugorie sarà proprio il progressivo smorzamento dell’enfasi sulle apparizioni, che sarà invece accentuata sulla preghiera, sul digiuno, sulla confessione e sulla partecipazione all’Eucaristia.


PAROLIN,MEDJUGORJE
Leggi anche:
Su Medjugorje il Vaticano si dice pronto a “regolare il fenomeno”

Ma se vogliamo capire meglio cosa pensa monsignor Hoser di Medjugorie ascoltiamo le sue parole, pronunciate in un’intervista rilasciata pochissimi giorni fa ai microfoni di Radio Misericordia Pallotti a Ołtarzew, dove il Vescovo incontrava i giovani in partenza per Medjugorie. A porre le domande sono Kuba Rutkowski e suor Monika Cecot (SAC). Per la traduzione ringraziamo i solerti amici italo-polacchi di Aleteia, che hanno sbobinato e tradotto per noi dal minuto 12 fino alla fine.

D: Come oggi guardando i giovani possiamo accompagnarli? Sappiamo che hanno bisogno di saggezza, sappiamo che hanno bisogno di campioni della vita spirituale come guide, ma come noi come Chiesa possiamo insegnare ai giovani il discernimento, non solo discernimento per la chiamata vocazionale ma anche il discernimento della presenza di Dio ogni giorno, perché questo “online” [essere sempre in collegamento con Dio, N.d.T.] possa esserci?

R: Sopratutto parlare a loro con verità: non bisogna fingere. Perché, anche se alcuni giovani o bambini possono non avere il talento della verbalizzazione, hanno intuizione, e subito sentiranno se qualcuno parla loro dal cuore, nella verità, se ci crede e vive ciò che dice oppure è soltanto un attore. Oggi molte volte si usa la parola “attore” in attività sociali, che tutti interpretiamo qualche ruolo, ma importante non interpretare qualche ruolo ma essere testimone di una realtà che vediamo, che sentiamo, della quale facciamo parte e trasmettere agli altri la nostra esperienza. Il vero ruolo dunque è la forza della testimonianza. La seconda cosa: bisogna non solo dire la verità e tutta la verità, ma bisogna anche non vacillare a parlare delle esigenze radicali del Vangelo. Non predicare un Vangelo morbido, tutto bello, tutto simpatico, come se nulla di difficile ci aspettasse, perché “Gesù è misericordioso”, a mo’ di farcitura della torta. No. Bisogna parlare di esigenze molto radicali, e citare gli ipsissima verba, quelle parole dette da Gesù Cristo. Lui parlava come una spada a doppio taglio, che con un colpo netto taglia tante cose. E questa è forse l’unica strada per arrivare a giovani perché giovani per il fatto stesso della loro età sono radicali. E adesso bisogna notare il fatto che molte volte i giovani avversano l’atteggiamento dei più grandi, sopratutto dei genitori, e si ribellano e combattono per le loro ragioni, giuste o sbagliate, per gli obiettivi o i traguardi che vogliono raggiungere. Ma non lo fanno meno quando vedono mancanza di ideali nel tran tran quotidiano, e iniziano ad avere la nostalgia di qualcosa più grande, più difficile più alto, che possa dare senso alla vita. Il senso della vita è molto importante, è la chiamata dell’uomo: ai giovani bisogna far vedere il senso, altrimenti credono che la vita non abbia senso, che non valga la pena vivere, che sarebbe meglio togliersi la vita, per esempio, anziché faticare. Ma quando acquisiamo la capacità di vedere il senso della vita? Quando nostri obiettivi sono ben ordinati. Molte volte la nostra vita oggi non ha un obiettivo da raggiungere, ma più l’obiettivo è alto e più la vita è coerente. E noi li orientiamo al fine ultimo, l’obiettivo finale, ma l’obiettivo finale ha anche obiettivi mediani, e c’è bisogno di anni per conseguirli.

D: Cambiando discorso ma restando sui giovani: ci incontriamo oggi nella giornata della sua partenza per la missione a Medjugorje che è stata a lei affidata da Papa Francesco. Cosa il Papa si aspetta da lei?

R: Una domanda molto buona questa. Come si dice oggi nelle interviste… [ride, N.d.T.]. Il Santo Padre mi ha affidato soprattutto la missione pastorale perché in effetti lì arrivano enormi numeri di fedeli, pellegrini da 80 nazioni del mondo. Il loro numero l’anno scorso ha toccato i 2 milioni e mezzo, e questa cifra continua a crescere. Adesso parto per essere presente al festival dei giovani che c’è lì ogni anno, a fine luglio inizio agosto. Loro finiscono questo festival su monte Krizevac al alba, quando il sole si sveglia ai piedi di quella croce, con la Santa Messa. L’anno scorso c’erano 50mila giovani di 60 paesi diversi e con loro sono arrivati 700 sacerdoti. Quel posto è carismatico. Io non arrivo – questo non è mio ruolo: c’è una commissione apposta che se ne occupa – per giudicare se queste apparizioni erano vere o no, però il posto è carismatico. Le persone arrivano e scoprono la forza della preghiera, sono affascinate, ma sopratutto hanno la grazia della conversione. La Confessione lì è un grande fenomeno perché le persone si confessano là di nuovo dopo tantissimi anni. E queste confessioni sono molto profonde, confessioni di conversione. Tornano completamente diversi. Io conosco casi concreti, di persone che sono state lì e che sono cambiate in modo davvero straordinario. Per esempio Ania Goledzinowska, che conoscete, oppure il nostro grande chef Wojciech Modest Amaro. Loro sono oggi testimoni, loro raccontano cosa hanno scoperto, come vivono, come vivevano, e questo è completamente in un’altra dimensione rispetto alla loro vita di prima, che era piatta.

D: molte persone si aspettano da sua missione a Medjugorje una risposta a tante domande sopratutto quelle su apparizioni, e invece si scopre che straordinarietà di quel posto si basa su un altro impegno, che quel posto ha bisogno di riorganizzazione? 

R: Sì bisogna riorganizzare iniziando da cose molto semplici come le infrastrutture. Lì c’è solo la chiesa parrocchiale che è troppo piccola per contenere questo enorme flusso di persone. Allora molti stanno fuori dalla chiesa e dietro la chiesa c’è una “chiesa estiva” col suolo in terra battuta, ma il clima lì non è facile, d’inverno fa molto freddo e d’estate fa molto caldo: queste persone lì non sono protette. Bisogna intervenire su tantissimi problemi di questo tipo, che ci sono lì. Come per esempio garantire confessori in diverse lingue, perché arrivano le persone da tutto il mondo e vogliono confessarsi nella loro lingua.  Lì ci sono 50 confessionali, che molte volte sono troppo pochi, e ci sono tante attese per potersi confessare. Ma lo stesso vale anche per le preghiere comunitarie, o l’adorazione o la Santa Messa: 16 cabine di traduzione, e ognuna traduce in una lingua diversa. Questo ci fa capire l’enorme flusso di gente in questo posto, e la cifra dei fedeli  cresce sempre, in quella meta di pellegrinaggio. Ci sono altri posti classici che conosciamo, ove questa cifra è sempre uguale o diminuisce perfino, per colpa della secolarizzazione. Sopratutto in Europa, o anche di quella che chiamiamo “cultura atlantica” o “civilità atlantica”. E questa è una tragedia che sentiamo: si buttano giù le chiese, si vendono le chiese, non ci sono sacerdoti non ci sono le Sante Messe, e questo in effetti è una grande caduta. Non lo possiamo permettere. Dio è sempre vicino a noi, Dio è sempre vivo, Dio è sempre attivo e sono posti al mondo in cui effettivamente la fede cresce molto velocemente.

D: E chi la aiuterà in questa missione? Perché questi cambiamenti hanno bisogno di un team di persone per essere ben organizzati.

R:  Lì ci sono già le persone che lavorano sul posto. Tanti laici sono coinvolti, ci sono francescani che si occupano di questo posto e anche con loro devo collaborare: eventualmente avrò anche aiuto da persone che arrivano da altre nazioni, che possono lavorare là come volontari, oppure anche agganciarsi alle comunità che lì hanno installato le loro basi – alcune di loro sono riconosciute con documenti e regolamento del Papa. Allora le possibilità sono tante e ovviamente da solo non lo posso fare, senza aiutanti, senza persone che lavorano sotto delle direttive, come un’orchestra ha bisogno di quello che la dirige e io ho compito di essere quel direttore d’orchestra.

D: sappiamo anche che Santo Padre ha deciso che adesso sarà lei a gestire, appunto. Gestire cosa? Gestirà lei tutta la diocesi? 

R: No. Gestirò solo quel luogo, quella parrocchia. Questo è diciamo gestione personale, non territoriale.

D: E come si sente là, Sua Eccellenza? È veramente un posto dove si può stare in pace in preghiera?

R: Tutti dicono che quello sia un luogo di silenzio. Che è un posto per la contemplazione, che è un posto di preghiera molto intensa, lì tutto attorno sono le viæ crucis, la cappella dell’Adorazione, la cappella del Rosario, anche con misteri della luce. Ci sono adorazioni bellissime, c’è appunto la grande cappella dell’Adorazione perpetua, e anche lì è sempre pieno di gente. Quindi ci sono diverse cose, c’è anche la libreria dove si possono comprare libri che riguardano il culto di santissima Maria Vergine che e concentrato su titolo che conosciamo dalle litanie lauretane, “madre di Dio regina della Pace”. Questo è molto importante nei Balcani, dove c’era una brutta guerra che perdura da molto tempo, e nessuno ha garanzia che non ce ne saranno altre. Durante ultima guerra Medjugorje è stata totalmente protetta, e proprio lì sono iniziati questi fenomeni la cui natura ora la Chiesa sta esaminando. Ciò è accaduto 37 anni fa, quindi questo materiale storico è molto vasto.

D: Collegandomi proprio a questo che Sua Eccellenza ha detto, questi Paesi della ex-Jugoslavia sono molto divisi per quanto riguarda il credo: in ognuno di questi paesi c’è un altra religione che domina. Si incontra qualche ostilità?

R: Io personalmente non ho assistito nulla del genere. Ma sono stato ad esempio  in quella “Gerusalemme europea” che è Sarajevo, dove c’è per esempio la parte Latina, la parte musulmana, la parte ortodossa e la parte ebraica; e in qualche modo queste persone convivono oggi in pace con relazioni buone. Ma ci sono stato troppo poco tempo per capire se ci sono contrasti: sicuramente ci sono perché questi popoli sono molto mischiati. In Bosnia ed Herzegovina, parte di Mostar o Medjugorje, parlano in croato; ma la Croazia è la nazione affianco, che come un croissant circonda la Bosnia e l’Herzegovina. Sicuramente qualche ferita non risanata dopo la guerra c’è ancora, sopratutto nella Bosnia occidentale. Vicino la città di Baniluk, dove ci sono le case svuotate, vuote, senza porte né finestre, queste cose io ho viste negli anni ’40 in terre occidentali, e lì ancora adesso si vedono queste cose.

D: Penso che sia molto interessante la scelta di Papa Francesco, perché lei ha visto anche ciò che era successo dopo genocidio in Ruanda.

R: Si però lì mi ha mandato Papa Benedetto…

D: Sì ma la sua esperienza lì e il suo lavoro per ricostruire la pace lì dopo il genocidio e oggi in questo posto dove la Madre di Dio Regina della Pace è venerata – e non tocchiamo qui la questione delle apparizioni – ma lei, Eccellenza, è una persona a cui la missione della pace in qualche modo era stata già affidata nel suo apostolato in tutti questi anni, e adesso il tema ritorna…

R: Sì, il culto alla Regina della Pace praticato lì da tutti quelli che li arrivano costruisce legami di fratellanza. Noi ci sentiamo figli di questa Madre, e ciò fa che tutte quelle differenze che sottolineiamo spariscano, perché scopriamo quello che è il nostro denominatore comune, quello che siamo: tutti cristiani. E abbiamo in comune il Padre e la Madre.

Top 10
See More