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Siamo anime incarnate, negare il corpo ci distrugge!

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Silvana De Mari - pubblicato il 05/07/18
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C’è una vergogna legata alla perdita della madre e del padre, allo strappo delle proprie radici, che causa un dolore enorme, così grande da rischiare di identificarsi con la vita stessa. Invece si può scindereCi sono due tipi di vergogna, quella legata al fare e quella legata all’essere. È su quella legata all’essere che dobbiamo intervenire, perché quella è la distruzione. . La vergogna legata all’essere é talmente strutturale da diventare una parte di noi. Quando questo succede non la riconosciamo come vergogna, la scambiamo per un male di vivere senza nome e senza volto, un dolore non scindibile dalla vita, e invece lo é. Il dolore assoluto, il principe di tutti i dolori, é la perdita della madre, e poi arriva la perdita del padre. Il bambino rimasto orfano si vergogna, pensa che in qualche maniera sia stata colpa sua. Contrariamente all’idealismo che ci vede come puri spiriti, e a tutti i degeneri cloni dell’idealismo, dal nazismo alla teoria del gender che afferma che la distinzione maschile femminile è arbitraria, noi siamo anime incarnate in un corpo. Chi nega il corpo, la potenza della biologia, nega l’umanità.



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Lo aveva molto chiaro San Tommaso. Dove si rinnega il corpo si perde il contatto con la realtà e quindi con la ragione, contatto che distrugge Hegel mettendo le basi degli irrazionalismi criminali dei totalitarismi. La vita comincia con il desiderio: il desiderio di due corpi diversi, creati per darsi piacere e gioia a vicenda e per generare la vita in questa gioia e in questo piacere. Dove questo incontro di gioia non c’é stato è giá stato perso un tassello fondamentale. Non é la stessa cosa sapere che madre e padre si sono amati, sentendo ognuno l’odore dell’altro, sentendo la sua pelle contro la propria, oppure che tutto quello che è successo è uno schizzo in una provetta leggendo giornali con molte foto, oppure una terapia ormonale da paura con effetti collaterali gravi e irreversibili, in alcuni casi mortali, per poi prelevare l’ovulo con un ago, un lungo ago d’acciaio sterile che perfora l’addome della madre e non c è una voce che dice “amore mio” ma una voce che dice gelida’ stia ferma, abbiamo finito’
Non sempre l ‘incontro tra uomo e donna è bello.


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Può essere la più ignobile delle violenze, la più terribile delle distruzioni, ma è anche in assoluto il momento più alto, quando un uomo e una donna si amano e concepiscono un figlio sono in tre e il Terzo é lo Spirito. Vive le difference, viva la differenza dicevano i francesi. La differenza è talmente fondamentale che, come affermano le neuroscienze che il cervello maschile e femminile sono diversi giá al quinto mese di vita intrauterina , le differenze sono giá presenti alla nascita,i maschietti cercano oggetti in movimento, le femmine visi.



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Il legame tra feto e madre é enorme, il legame tra neonato e madre é l’impalcatura su cui é basata tutta la psiche. Quando è interrotto, quando é lacerato resta per la vita un senso di perdita impastato a vergogna : se fossi stato più bravo, non la avrei persa. Questo senso di perdita infinita c’é negli orfani, c ‘è nei bambini adottati, e come sanno i genitori adottivi, nonostante la loro accoglienza, nonostante tutto l’amore, ci sono ferite che non si rimarginano. Una ferita che non si rimargina é non poter essere fieri del padre. Sia ne L’ultimo orco che ne Il gatto con gli occhi d’oro” parlo del dolore e della vergogna di chi non conosce il proprio padre, di vergognarsene o anche di non conoscerlo. Non conoscere le proprie radici é un dolore ben descritto nel dolore dei popoli schiavi e deportato.

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