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Per raggiungere l’uguaglianza bisogna impoverirsi?

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Carlos Padilla - pubblicato il 04/07/18
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Condividere complica le cose, ma non farlo è peggioGesù si adatta al cuore di ciascuno. Secondo ciascuno. È questo che ha fatto in vita e che fa con me. Con tutti. Percorre la mia anima secondo le mie vie. In base alla mia sete e alla mia necessità.

Qualcuno ha bisogno della sua compassione, della sua misericordia, e Gesù non ci pensa due volte. Mi commuove.

Io in genere accampo scuse prima di mettermi in cammino. Cerco qualcuno che agisca al posto mio. Mi risulta difficile uscire da me stesso, agire, curare, guarire. Uscire da me stesso per avvicinarmi ad altri. Qualcuno ha bisogno dell’aiuto di Gesù ed Egli non esita.

San Paolo parla della generosità: “E come vi segnalate in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella scienza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così distinguetevi anche in quest’opera generosa. (…) Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. (…) Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: Colui che raccolse molto non abbondò,
e colui che raccolse poco non ebbe di meno”.

Vorrei essere più generoso. Non pensare tanto a me. Io sono il mio centro, la persona più importante della mia vita.

Vorrei essere come Gesù, che si impoverisce per darmi la vita. Nega se stesso per affermare me.

Mi soffermo a pensare al dolore che mi provoca il fatto di essere generoso. Non mi piace impoverirmi per arricchire altri. Mi fa paura quella generosità che si mette in cammino. Cerco il mio bene.

Penso solo a me. Mi costa vedere che le persone malate sono le più importanti della mia agenda.

Sono reticente, evito lo sconosciuto. Non voglio che vengano a mangiare alla mia mensa quelli che sono diversi, che non la pensano come me.

Sono generoso solo con i miei, non con gli estranei. La generosità che mi chiede Gesù mi sembra eccessiva. Mi chiede di dare del mio per uguagliare, perché altri, che non hanno nulla, abbiano qualcosa.

E vivo nella paura, molesto, inquieto. Mi fa paura perdere quello che ho, vivere con meno, più esposto, al limite.

Mi fa paura la povertà che stringe l’anima. Mi fa paura non avere perché altri possano avere. Quell’atto di Gesù che si impoverisce per amore mi sembra perfino eccessivo.

Leggevo giorni fa che la Chiesa può perdere la generosità e la passione di dare la vita per Cristo: “Si riduce la capacità di accoglienza del cuore; si indeboliscono l’affettività e la volontà, il che si traduce in mancanza di passione per il bene. Nella perdita di impeto per la donazione a Dio totale e senza riserve, e nell’incapacità di ‘perdersi’ generosamente nel mondo e nelle esigenze della fede. La religiosità è considerata un’assicurazione per il cielo; perde sempre più il carattere di audacia che promuove e trascina” [1].

Quando questo accade la mia fede si indebolisce. Perdo la passione e la voglia di dare la vita, di dare tutto. Divento meschino e avaro.

Penso solo a me, ai miei, a chi mi sta vicino. E mi allontano da chi è diverso. Costruisco muri anziché ponti.

Non credo nella solidarietà perché ho perso la fiducia. Non trovo persone affidabili che mi facciano pensare che il mio denaro, i miei beni, porteranno l’uguaglianza ad altri.

Tendo a dividere, a distanziarmi da chi non è come me e può crearmi solo problemi. Non voglio essere infastidito. Mi isolo dagli invadenti. Chiudo la porta della mia anima, della mia vita.

Questo atteggiamento nei confronti della vita mi risulta pregiudizievole. Accentuo tanto le mie cose da non tollerare chi è diverso. Ho talmente tanta paura di non avere per me che non voglio condividere nulla di q uello che ho.

E oggi Gesù mi invita ad essere generoso. Mi chiede di cambiare i miei progetti per assistere chi ha bisogno di aiuto. Prima con la figlia di un uomo che non conosco, poi con una donna nascosta nella folla che ha semplicemente il coraggio di toccare il suo mantello.

Ferma i miei passi. Spezza i miei progetti, i miei orari. Mentre cammina, Gesù si ferma davanti a chiunque. Quanto mi costa perdere il mio tempo quando devo fare qualcosa che mi sembra importante, prioritario!

Gesù mi insegna tanto… Mi piace quel suo sguardo che cerca nella vita chi ha bisogno del suo aiuto. Non ha paura di perdere tempo. È sempre aperto alla novità, alla necessità.

La sua generosità è immensa. Quella donazione totale per amore è quella che desidero. Mandare all’aria i miei progetti per soccorrere chi ha bisogno di me. Dividere il mio mantello con chi non ha nulla. Andare incontro al disabile che non ha avuto i miei vantaggi al momento della nascita.

E io mi credo migliore solo perché ho avuto più fortuna. Mi fa molta paura isolarmi e trasformarmi in una persona inaccessibile. Qualcuno che nessuno può toccare.

Mi piace mostrarmi debole, accessibile, vulnerabile. Ho bisogno dell’amore e dell’affetto delle persone. Ho bisogno del loro aiuto.

Quando lascio vedere la mia debolezza mi avvicino a chi soffre di più. Mi lascio aiutare mentre aiuto chi ha bisogno di aiuto.

È questo che nobilita di più. Sapere di poter essere utile nel cammino. Posso sanare la necessità di chi cammina con me.

Gesù nella sua reazione mi insegna una via molto concreta di dare la vita. Dire sempre di sì. Non so se sono sempre disponibile a mettermi in cammino. Vorrei avere sempre il “Sì” sulla bocca, nel cuore. Vorrei vivere sempre libero.

[1] Christian Feldmann, Ribelle di Dio

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