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Il prete coraggioso che consolava la sua gente durante i bombardamenti

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 03/07/18
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Padre Beniamino Miori si è rivelato un vero eroe di guerra. Un esempio di sacerdote da imitare!

Un anno fa iniziava l’iter per la beatificazione del Servo di Dio Padre Beniamino Miori. Il sacerdote della parrocchia di Farinia, nella frazione Picciola di Pontecagnano (Salerno) è stato uno degli eroi della Seconda Guerra Mondiale in quelle terre, eppure la sua storia non è molto conosciuta.

Stiamo parlando di un parroco coraggioso che ha rischiato la propria vita per la sua comunità. Un esempio da conoscere e imitare!

Originario del Trentino Alto Adige, Padre Beniamino entrò a Verona dai Padri Stimmatini nel 1899 e venne ordinato Sacerdote nel 1910.

Inviato nel 1942 nella nascente opera Stimmatina del Sud Italia, fu destinato a curare le anime di Farinia. Nel difficile tempo di guerra, che trasformò Picciola in uno dei maggiori scenari dello sbarco alleato, fu tra la sua gente e, pur di non abbandonarla, quando la sua casa venne requisita dalle autorità alleate, si trasferì nel campanile della chiesa che riparò personalmente (Salerno Today, 24 gennaio 2017).

In “Le opere e i giorni – Padre Beniamino Miori a Picciola(edizione a cura de Associazione Gruppo di Preghiera “Amici di Padre Beniamino Miori”) si raccontano almeno due episodi che attestano la fama di santità di quest’uomo.



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Le prime bombe

Nessuno potrà mai dimenticare quello che è successo a Farinia a partire dal 21 giugno 1943, il giorno in cui avvennero i primi bombardamenti di americani e inglese contro i tedeschi. Iniziò un’estate di fuoco e di paura. I primi bombardamenti sarebbero stati così devastanti: «Alle ore 13.45 del 21 giugno c’è la vera prova del fuoco a Battipaglia e a Salerno – scriveva Padre Beniamino – Noi che ci troviamo tra i due fuochi, preghiamo invocando la protezione del cielo».

L’orfanotrofio

A pagarne le conseguenze di quelle bombe furono chiese, case, e sopratutto l’orfanotrofio. Padre Beniamino in quei giorni provò a confortare in ogni modo le anime delle sua comunità, spostandosi in ogni punto del paese.

Ma la gente era sfiduciata e decise di abbandonare in massa Farinia. Anche i bambini sopravvissuti ai bombardamenti sull’orfanotrofio furono trasferiti in un luogo più sicuro. A quel punto anche il sacerdote decise di spostarsi temporaneamente alla parrocchia di San Martino nella vicina Montercorvino Rovella, da una famiglia che decise di ospitarlo.



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40 chilometri al giorno

Padre Beniamino decise dal 28 giugno di andare ogni giorno in bici, facendo 40 chilometri, a Farinia, per verificare lo stato delle strutture sopravvissute alle bombe e continuare a confortare quelle poche persone che incrociava sul suo tragitto.

Le cose peggiorarono dopo l’8 settembre 1943, data di apparente serenità per la firma dell’armistizio e lo sbarco delle truppe anglo-americane sul litorale salernitano, dove si trovava la parrocchia di Farinia. Ma la gioia fu strozzata dall’inizio di nuovi bombardamenti che colpivano la piana del Sele. Altre bombe arrivarono su Farinia, e anche San Martino ne fu colpita.

La consolazione

Padre Beniamino per alcuni giorni non poté muoversi da San Martino. Il 15 settembre, dopo qualche giorno in cui sembrava essere tornata la calma, il sacerdote decise di dire messa a San Martiino. Appena terminata la celebrazione una squadriglia di bombardieri scese di nuovo in picchiata sul paese distruggendo il palazzo, che era considerato il più sicuro, unitamente ad altre case, causando diversi morti. Il paese si svuotò improvvisamente; rimasero pochissime persone.

Padre Beniamino, invece, rimase per confortare i pochi rimasti; furono giorni e notti veramente terribili, sia per i bombardamenti che per le sevizie perpetrate dai tedeschi in ritirata, mancando per di più un sicuro rifugio.


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Nel campanile

Solo il 21 settembre il prete poté tornare a Farinia e constatare i danni dei bombardamenti.

Nei mesi successivi avviò trattative con gli inglesi che avevano preso della chiesa semi distrutta per riaverne il possesso e nell’inverno del 1943 decise di trascorrerlo nell’unico punto non danneggiato: il campanile. E da lì iniziare la ricostruzione del complesso ecclesiastico.

Allo stesso tempo si recava tutti i giorni nel vicino campo di prigionia di Sant’Antonio per portare una parola di consolazione ai prigionieri tedeschi e italiani.

La polmonite

Andò avanti così per tre anni, tra sofferenza per gli scarsi mezzi di sussistenza che aveva, la fame, quando una polmonite fulminante non gli diede scampo. Nel 1952, a sei anni dalla scomparsa, un suo ex novizio: Padre Giovanni Volpati, intraprende la non facile strada del riconoscimento delle eroicità delle virtù.



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