Il libro della psicologa americana Renee Engeln aiuta le donne a riflettere sul prezzo che pagano ai modelli di bellezza femminile imposti dalla società Il libro della psicologa Renee Engeln: “Beauty Mania, quando la bellezza diventa ossessione” (HarperCollins) propone coraggiosamente alle donne una sofferta riflessione “strutturale” per tutto l’universo femminile: quella sul bisogno di bellezza che ne monopolizza energie psichiche e comportamenti attraverso l’assoluta rilevanza che esso assume quotidianamente nella vita di giovani e meno giovani.
Quando lo specchio diventa ossessione
“Le giovani di oggi sono state cresciute nella convinzione di poter ricoprire qualsiasi ruolo eppure sono ancora ossessionate dal bisogno di essere innanzitutto belle…”
scrive l’autrice che così prosegue:
“L’ossessione per l’aspetto fisico avvicina le donne allo specchio e le allontana da un mondo in cui potrebbero far fruttare le loro passioni e i loro sforzi. Se le donne investissero nel mondo esterno le energie e le attenzioni che dedicano all’aspetto, come cambierebbero le loro vite?”.
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Di quanto tempo in più necessitiamo rispetto agli uomini la mattina per prepararci ad uscire sentendoci almeno sufficientemente a posto? E quante di noi andando al lavoro continuano a rifinire il trucco in macchina, con il rischio non solo di essere prese in giro da chi ci guarda più o meno divertito, ma anche di tamponare il malcapitato automobilista che ci precede?
“Oggi moltissime donne che dimostrano un coraggio straordinario in numerosi ambiti della loro vita crollano davanti allo specchio”.
E il termine non appare eccessivo se lo si traduce nel senso della resa, dell’asservimento, della totale dipendenza da questo tiranno in apparenza liberamente scelto.
Il condizionamento sociale e culturale
Le ricerche condotte dall’autrice mostrano come già “nella fascia compresa fra i 5 e i 9 anni il 40% delle bambine dice di desiderare un corpo più snello e quasi un terzo delle alunne di terza elementare sostiene di avere costantemente paura di ingrassare”. Quest’ansia non dipende certamente da un’attenzione alla salute, magari mediata dalle preoccupazioni dei genitori “(…) bensì dalla consapevolezza che, nella nostra cultura, è importante essere carine e che la magrezza è considerata un elemento essenziale della bellezza”. Essere carine e magre diventano così degli imperativi categorici nella vita delle adolescenti mai soddisfatte di se stesse e sempre deluse quando si guardano allo specchio. Perche? Si chiede l’autrice a nome di tutte le donne.
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“Specchiandoci non vediamo la realtà, bensì il risultato di anni di impulsi culturali, commenti di amici e famigliari, preoccupazioni interiori. Una cultura malata di bellezza non smette mai di ricordare alle donne che il loro aspetto è oggetto di valutazioni e critiche da parte degli altri. Sappiamo tutte che cosa si prova quando il nostro carattere e le nostre azioni passano in secondo piano, schiacciati dall’importanza dell’estetica”.
Quante ragazze e non solo osserviamo ormai esitare a lungo mentre cercano la posa e l’inquadratura perfette prima di scattarsi un selfie, per poi ritoccarlo con i programmi predisposti ad hoc per incoraggiare la fiera della vanità?
Anche il mondo del lavoro vuole delle donne trasparenti
Sotto il profilo più francamente economico vi sono solide evidenze scientifiche che testimoniano come le donne, molto di più di quanto accade agli uomini, siano penalizzate finanziariamente e socialmente quando aumentano di peso, e viceversa premiate quando dimagriscono (Internazionale). Una ricerca pubblicata qualche tempo fa sul Journal of Applied Psichology (Ibidem) mostra che le donne molto magre guadagnano annualmente oltre ventimila dollari in più di quelle di peso medio, mentre avere sei chili in più del dovuto mette seriamente a rischio le prospettive di promozione o la sicurezza lavorativa di una donna. Uno studio più recente ha rilevato come solo il 15% di dirigenti (Ibidem) che si occupano di reclutare personale posti di fronte a fotografie di donne di peso diverso si orienterebbe verso quelle più in carne per affidare incarichi di responsabilità.
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Il culto della magrezza portato all’estremo
Umiliare qualcuno attraverso commenti sprezzanti sul suo aspetto fisico sembra essere diventato lo sport più diffuso, specialmente sui social. Il fat shaming (vergognarsi per essere grassi) (Foxlife.it) viene addirittura presentato come una salutare preoccupazione per la salute femminile, a tal punto che la mortificazione di una persona per il suo fisico imperfetto viene giustificata come un gesto d’aiuto. E quale modello di paragone viene proposto se non quello mediatico di figure femminili idealizzate? Ventenni o ragazze addirittura più giovani alte e slanciate, frequentemente sottopeso, dalla pelle perfettamente liscia e abbronzata, con un look all’ultima moda. L’esposizione a queste immagini patinate e irraggiungibili che rappresentano la donna come se fosse un bell’oggetto, ma comunque oggetto, ha un pesante impatto manipolatorio sull’autostima corporea femminile, generando insoddisfazione, rabbia verso se stesse e sentimenti di colpa. Questa malattia della bellezza ad ogni costo e portata all’estremo ha condotto alla nascita sul web di fenomeni di competizione che rasentano l’assurdo come quello del tigh gap (la distanza fra le cosce) o della sfida del girovita A4 (avere la vita larga come un foglio di 21 centimetri) (Ibidem).
Come guarire dalla malattia della bellezza
Cosa fare per guarire dall’ossessione della bellezza? L’autrice non consiglia certo alle donne di rifuggirla, ma di ricollocarla al posto che merita, dietro i valori autenticamente più importanti. Una delle strategie per raggiungere questo risultato è l’autocompassione, la gentilezza verso se stesse impegnandosi a far tacere i dialoghi interni negativi sul proprio corpo. Allontanarsi fisicamente e simbolicamente dallo specchio è il passo fondamentale per potere affrontare il mondo, investire il tempo e le energie su cose ben più importanti del trucco e del parrucco.
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“Se riuscite ad immaginare un mondo in cui donne e ragazze subiscono una minore oggettivazione (tanto auto inflitta quanto subita), vedrete un mondo in cui ci sentiremo più noi stesse, meno definite dal piacere che il prossimo trae dal guardarci; spenderemo in altri modi tempo e denaro, i nostri corpi godranno di una maggiore salute; ansia e depressione, forse, saranno meno diffuse e gravi. E’ giunto il momento di cominciare a guardare verso l’esterno anziché limitarci a essere guardate. C’è moltissimo lavoro da fare”.