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Don Gino Rigoldi: il mio seminario era tetro, più volte volevano cacciarmi

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 27/06/18
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Il popolare prete di frontiera, cappellano al carcere minorile di Milano, descrive una vocazione davvero inedita…

«Facevo molta fatica a stare in seminario. Mi infastidivano le cerimonie pompose, gli orpelli, le liturgie piene di lamenti. Una sera mi scoprirono a dormire in canottiera e mi rimproverarono che ero troppo scoperto. Dopo aver letto l’Humanae Vitae di Paolo VI dissi, in pubblico, che sarebbe stato meglio chiamarla Pillulorum regressio perché affrontava il tema del sesso con troppo moralismo».

Don Gino Rigoldi, lo storico cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano, fondatore di Comunità Nuova, racconta a Famiglia Cristiana (24 giugno) la sua esperienza in seminario che lo condusse al sacerdozio nel 1967.



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“La gente non sorrideva”

Erano gli anni che precedevano il sessantotto e il futuro Don Gino – oggi popolare prete di frontiera schierato con i più deboli – in più di un’occasione ha rischiato di essere cacciato via dal seminario.

Vi entrò per la prima volta a 18 anni, e di certo non ebbe una impressione positiva. «Mi è sembrato un posto tetro, la gente non sorrideva e ho pensato “qui non ci vengo manco morto”. Sono tornato altre tre volte e ne uscivo sempre con la stessa sensazione».

L’ultima chance

«Un giorno – osserva Rigoldi – il rettore del seminario mi chiamò e mi disse: “tu non sei adatto a fare il prete, sei troppo laico, poco spirituale, critichi pure il Papa”. Per darmi l’ultima chance mi mandò nel Collegio arcivescovile De Filippi di Varese».

A Varese Don Gino si occupava dei ragazzi. «Il rettore del Collegio vide che ci sapevo fare con i giovani e disse: “questo deve diventare subito prete e restare qui”. Ci rimasi per quattro anni, fino al 1971, poi mi mandarono come viceparroco a San Donato Milanese e ne combinai un bel po’».



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Gesù e Marx

Lì ricorda un episodio. «Nell’oratorio c’erano alcuni militanti della Rete Antimperialista e di Autonomia Operaia. Ricordo che c’era una specie di capannone e io misi Gesù Cristo accanto alle foto di Freud, Gandhi, Martin Luther King e Marx. Il parroco si arrabbiò, soprattutto per Marx».

E Don Gino si giustificò dicendo che «erano persone che avevano grandi idealità e le avevano messe al servizio dell’umanità».

“Voglio fare il prete anche io”

Ma come nacque la vocazione di Gino. Al Corriere (febbraio 2014) la raccontava così: «La mia decisione di diventare prete è legata all’incontro con un sacerdote particolarmente in gamba, un uomo di cultura e di grande intelligenza. Avevo circa diciott’anni e pensai “voglio fare il prete anch’io!”».

La famiglia di certo non lo ha spinto verso il sacerdozio. «A messa andava solo mia mamma e neanche tutte le domeniche. Da parte mia frequentavo l’oratorio, ma in maniera sporadica. Diventare prete per me ha avuto un significato sociale. Volevo dedicarmi alla cura degli altri, alla difesa dei diritti. In un certo senso è stata una scelta “politica”».


FR PETER MUSSETT,HIPSTER,PRIEST
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La madre

Questa sua volontà di spendersi per gli altri è dipesa dalla madre. «Eravamo una famiglia modesta, mio padre era ferroviere, sono terzo di quattro figli maschi. Abitavamo in una casa di ringhiera in via Padova (a Milano) dove c’erano persone di tutti i tipi: la signora che riceveva uomini in casa, quello che entrava e usciva di prigione, il comunista che era stato scomunicato e così via. Il commento di mia madre era sempre lo stesso “devi volergli bene perché è una persona di cuore”. Insomma mi ha educato all’apertura, all’accoglienza, sempre e comunque».

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