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Avevate mai visto un prete prendere a schiaffi un neonato? No? E ora che lo avete visto…?

PRETE SCHIAFFEGGIA BAMBINO
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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 23/06/18
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È diventato virale il video di un anziano sacerdote francofono che durante un Battesimo ha dato uno schiaffo al battezzando che piangeva. Oltre al concetto di notiziabilità inseguito da certe grandi testate, occorrerrebbe porre attenzione anche al gusto morboso di quanti in un modo o nell’altro esorcizzano in quel povero vecchio fantasmi che abitano tutti noi

Anche a me – come presumo già pure a molti fra voi – hanno mandato nei giorni scorsi un link pubblicato sul sito del Corriere della Sera: vi si mostrava qualche decina di secondi del rito di un battesimo amministrato in un Dipartimento Francese d’Oltremare; l’anziano sacerdote provava a consolare il catecumeno neonato e dopo poco, non riuscendoci, gli ha mollato un tanto repentino quanto rapido schiaffetto. Non che non si vedesse, eh: lo schiaffo c’è stato, s’è visto e si è sentito (altrimenti perché mai il Corriere si sarebbe interessato a un battesimo?); si aveva però come l’impressione che al vecchio prete la sberla fosse “scappata”.

Lo dico per minimizzare? Ci mancherebbe… È che mentre vedevo il video m’è tornato in mente come dal pozzo del passato il commento lapidario che per un analogo episodio espresse una signora del paese vicino a quello dei miei genitori: «Don Antonino* c’ha l’arteria…».

E io – che ero alle elementari e avevo da poco imparato che le arterie erano una classe di grossi vasi sanguigni comuni a molte specie del regno animale – non riuscivo a vedere il nesso: pensavo infatti che le arterie le avessimo tutti, e di sicuro non immaginavo che per il fatto di averle potessimo essere indotti a gesti come quello di don Antonino.

Ma cosa era accaduto, dunque, perché la savia donna ragguagliasse me e mia madre del fatto che don Antonino “aveva l’arteria”?

Ricorreva la festa di carnevale, e per qualche motivo quell’anno non andammo alla sfilata dei carri del mio paese natale, bensì a quella del paese accanto: lì era parroco (o semplicemente dava una mano, ora non ricordo) don Antonino, che lì era stato tutta la vita ma che veniva anche lui dal paese dei miei. Solo che me, come immaginerete, non mi conosceva.

Conquistato ai furori carnascialeschi, dunque, irruppi ad un tratto nella chiesa centrale armato di un pugno di coriandoli e recando in bocca una trombetta a nastro a mo’ di buccina. Lo spavaldo ed eroico gesto fu stroncato sul nascere dalla nera tonaca di don Antonino, che severamente fermò nell’aria il mio pugno ancora aperto, sospeso sui coriandoli che avevo sganciato sul sacro suolo, e da quella medesima estremità mi trascinò fuori dal portone, sull’androne, di modo che anche il mio squillo rivoluzionario risultasse donchisciottescamente strozzato: «Questa è una chiesa!», ringhiò il severo sacerdote respingendo il mio empio ardore. E io conservo nel cuore il suo rigore da inquisitore come l’ombra di uno scuro gigante che segnava durissimi e giusti limiti alla mia espansività. Ma non dissi niente, in quel momento: ero pieno di terrore e comunque non ne avrei avuto modo, visto che era prontamente intervenuta mia madre (dove diavolo era acquattata?).

Sì, don Antonino: lui ha sbagliato a entrare così in chiesa, però è solo un bambino, e oggi è carnevale. Non si è regolato nel passaggio tra la piazza e la chiesa, di questo chiediamo scusa, però lei non faccia così!

Se il mio ricordo dice il vero, il vecchio prete biascicò qualcosa e subito mollò la presa del mio polso. In questo il video dell’anziano sacerdote che, dopo lo schiaffo e il rimbrotto corale dei famigliari, (vanamente) tentava di calmare il piccolo catecumeno, mi ricordava la mia trasgressiva avventura d’infanzia.



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Ecco, don Antonino «aveva l’arteria» ma non era cattivo né – tantomeno – pazzo. Quando anni dopo morì (e ormai era tornato al paese natale a dare una mano al giovane parroco) Giulio* – lo storico ministrante della parrocchia, un signore affetto da sindrome di down che divide le giornate tra la bottega del barbiere e la sagrestia del prete – mi chiese incredulo, davanti al feretro esposto in camera ardente: «Ma questo è don Antonino?» – «Sì – dissi io aggiungendo: – Non lo riconosci?». Ma Giulio non mi rispose: si era avvicinato alla salma, aveva preso il crocifisso messo sul suo petto e con mano sicura vi aveva tracciato tre segni di croce. Poi aveva deposto il crocifisso lì al suo posto, sullo sterno del fu don Antonino, con un fare confidente aveva posto la destra sopra le due cerulee mani del cadavere congiunte a mo’ di preghiera. E disse:

Ah, quante messe t’ho servito a te!

Ecco, mi pare che da questo siparietto tra Giulio e il fu don Antonino vengano alla luce tante cose sui preti, sulla loro vita silenziosa, sul lento e costante spendersi in una comunità… e con una comunità. Quanto sarebbe ingiusto se qualcuno avesse filmato il duro (ed arteriosclerotico) rimbrotto alla mia infantile intemperanza… e se il ricordo di don Antonino fosse ora legato a quell’episodio. Meno male che all’epoca nessuno portava in tasca una telecamera pronta a mandare in mondovisione le magagne altrui.

Perché al di là di tutto c’è una questione che m’interroga amaramente, quanto al video di quel povero prete francofono: a che scopo quanti gli avevano chiesto di battezzare il loro bambino hanno ritenuto che fosse in qualche misura buono o giusto divulgare quel minuto scarso di registrazione?

Don Antonino aveva “l’arteria”, e a quanto si riesce a capire anche questo povero pretino ce l’ha, ma quale mamma non conosce l’ambivalenza del proprio affetto – dell’affetto materno, che pure resta uno degli amori più viscerali sulla terra – per il proprio bambino? Proprio sette giorni fa cenavo con una signora e con i suoi splendidi figli. Di quello che a tavola sedeva di fronte a me la signora mi diceva: «Questo da bambino piangeva così tanto, ma così tanto, che una notte sono andata con lui in braccio da mio marito dicendogli: “Prendilo tu, questo, perché sennò gli faccio fare un giro in lavatrice”». A cena l’aneddoto ha fruttato una grassa risata da parte della comitiva, ma nonostante ciò sono tornato con lo sguardo sul mite giovane che mi stava davanti, oggi un matematico riflessivo e un sensibile chitarrista: «Hai visto? – mi chiedeva in risposta al mio sguardo – Stavo pure per farmi un giro in lavatrice».

E nessuno, a tavola, ha trovato scandaloso che quella signora, la quale già nella giornata aveva dato mostra di grande equilibrio, maturità umana e finezza pedagogica, potesse in un minuto della sua vita essere stata simile ad Anna Maria Franzoni. E in un certo senso neanche la Franzoni è tutta, sempre e solo il proprio profilo psico-criminologico: questo è un modo di approcciare l’argomento che lasciamo a quanti non conoscono l’essere umano. Noi sappiamo invece che ogni madre porta in sé l’archetipo di Medea, oltre a quello di Gaia, e ogni padre quello di Crono, oltre a quello di Zeus: mantenere il proprio affetto per il proprio bambino nella disposizione di una costante meraviglia, di un’aperta contemplazione, in una stupita e fanciullesca gratitudine, è cosa tutt’altro che automatica. Certo in tale ascesi quotidiana il cuore di un padre e di una madre vengono cesellati a immagine del cuore di Dio, ma appunto nessuno può dare per scontato un tale miracolo.



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Questo non per “giustificare il prete”: poverino, alla sua età avrà sicuramente imparato ad abbracciare le mortificazioni e ad offrirle al Signore. L’unica cosa “notiziabile” che il video mostra, l’unica che avrebbe meritato in effetti un poco di attenzione, è la spietatezza di un’umanità che non sembra conoscere le sfumature e le contraddizioni dell’amore parentale. Il brutto, purtroppo, è che chi nega dentro di sé certe cose è in qualche misura condannato a perpetuarle.

Un’ultima cosa però voglio dirla sui preti in generale, perché c’è un tratto fisiognomico che accomuna quel prete suo malgrado finito in mondovisione e il mio don Antonino: entrambi ricordano in qualcosa Jacques Hamel, il sacerdote francese sgozzato due anni fa nella sua parrocchia da due islamisti affiliati all’Isis. Non solo per dire che in realtà sono tanti e tanti i sacerdoti che fanno il bene nel nascondimento quotidiano, e che talvolta si spingono fino all’eroismo – ciò è così evidente da poter risultare banale –; no, è che Armand Isnard (il primo biografo ufficiale del prete francese) ha rivelato come anche padre Hamel avesse il suo bel caratterino…



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“Aveva l’arteria” anche lui? E chi lo sa, non mi azzarderei a tanto… di padre Hamel è universalmente nota una vena – la giugulare – e sì, quella ce l’aveva eccome. Ora però ci sono due cose che studiamo da bambini a scuola ma che poi ci scordiamo da adulti (difatti io non capivo la sentenza della savia signora…): dove c’è un cuore ci sono arterie e vene, e le prime portano ossigeno mentre le seconde anidride carbonica. Quindi:

pretendere che esista un cuore senza moti di scarico, che da nessuna parte trasporti anidride carbonica, significa non conoscere l’uomo;

viceversa tutti noi che conosciamo bene i nostri moti di scarico (davvero li conosciamo?) trasportiamo anche tanto ossigeno.

Pensate a quanto ne sprechiamo mentre condividiamo un video scandalistico sui social…

*: nomi di fantasia, naturalmente.

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