L’ultima frontiera dei reality è far sposare due sconosciuti, un gioco. Ma il matrimonio è il volto più vero dell’amore, la voce che non smette mai di chiedere all’altro: “Chi sei davvero?”
Ormai ci siamo così assuefatti alle trovate assurde dei reality show che non ci accorgiamo più di quanto siano alienanti e disumani.
C’è il celeberrimo Uomini e donne in cui l’antica e nobile fiaba de re che trova l’anima gemella in Cenerentola viene distorta nella logica tronista/corteggiatrice; sotto i riflettori diventa tollerabile ciò che nella realtà non è mai stato accettabile da nessun innamorato sano di mente. Saremmo d’accordo se il nostro possibile fidanzato frequentasse contemporaneamente a noi altre quattro o cinque ragazze?
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L’amore dei reality show
Il classico uomo pazzo per amore, in questo senso, è molto più avveduto degli sceneggiatori televisivi: l’innamoramento esige una esclusività anche nella fase del corteggiamento. Cosa sosteneva il vecchio detto? «Non ho occhi che per lei!». E questo non è fantastico?
Cosa diremmo di Romeo se alla festa dove conobbe Giulietta si fosse messo a flirtare con altre sue amiche? Di sicuro Giulietta gli avrebbe girato le spalle.
Ma c’è un altro programma, targato Sky, che – se possibile – altera in modo ancora più triste le dinamiche dell’amore: si chiama Matrimonio a prima vista e, da copione, si propone di unire in matrimonio due perfetti sconosciuti che dopo un certo periodo valuteranno se divorziare o no.
Non abbiamo passato secoli a combattere perché i matrimoni non fossero combinati e fossero invece la libera scelta di due persone che il destino aveva fatto incontrare?
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Il destino, appunto. Un tempo c’era la favola bellissima dell’Amore: ci si stupiva di un incontro inatteso, imprevisto, meraviglioso. Il destino aveva messo sul nostro cammino l’anima gemella; qualche anima ancora più impavida osava (e osa!) ringraziare Dio di aver creato una trama di vita così imprevedibile e buona. Qualcuno, va detto, si lamentava e si lamenta con Dio: perché non mi fai incontrare la persona giusta?
Senza Dio l’amore è una gabbia
Quando l’uomo perde di vista il mistero, e sceglie di liberarsi di Dio, s’illude di fare passi avanti.
Ora, quest’ultima trovata televisiva, ha sostituito Dio con tre esperti: uno psicologo, un sociologo e una sessuologa. A tavolino studiano profili umani e li accoppiano in base a sofisticatissimi, freddissimi criteri. Li fanno sposare al buio e poi stanno a vedere.
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Davvero questa cornice ci può in qualche modo allettare? Davvero era così fuori di testa il buon vecchio cristiano che vedeva all’opera Dio nelle faccende amorose? O anche il pagano che credeva in Cupido?
Ci siamo ridotti a lasciarci usare come pedine – o cavie da laboratorio – su uno dei legami più profondi dell’umanità.
Constato con un minimo di esultanza che quasi tutte le coppie formate a tavolino nel corso delle edizioni di questo programma si sono sciolte. Non esulto alla vista di persone ferite, ma credo che sia un vagito chiaro: nessun esperimento scientifico può arrogarsi il diritto di ingabbiare un’anima.
Non ci sono leggi per descrivere l’unione tra moglie e marito che spesso funziona tra caratteri così incompatibili che, a priori, non ci si scommetterebbe sopra una lira .
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Il bello di essere sconosciuti per sempre
L’amore tra due persone è un mistero che va oltre l’umano delle due persone coinvolte, perciò noi cristiani lo mettiamo in mano a Dio, specificando «non osi separare l’uomo ciò che Dio unisce». Questa formula non è solo da riferirsi alla questione divorzio, è proprio una dichiarazione di affidamento: il fondamento dell’unità degli sposi è in Dio. Non è un criterio umano, a tempo determinato e incerto.
Da ultimo voglio spendere una parola sulla faccenda dell’essere sconosciuti. Questo è interessante. Tutta la morbosità di Matrimonio a prima vista si fonda sull’idea che persone estranee d’improvviso condividano il legame più intimo di tutti.
Voglio capovolgere la prospettiva.
È dopo il matrimonio che si deve diventare sconosciuti, perché la vita coniugale proceda nel migliore dei modi. Sono sposata da non troppo tempo, 13 anni. Le volte che io e mio marito abbiamo incontrato qualche difficoltà erano momenti in cui ci eravamo messi addosso delle etichette: entrambi credevano di sapere già per filo e per segno chi era l’altro. Se non si rispettavano i ruoli, le rispettive competenze, i binari fissati … apriti cielo!
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Nel piccolo della mia esperienza, posso condividere la certezza che solo quando guardo mio marito come uno sconosciuto, cioè come un mistero che Dio mi dona nuovo ogni giorno, sento che il matrimonio si spalanca alla bellezza di un rapporto davvero eterno. Cioè predisposto alla novità perenne, a un compimento ancora in corso che sarà pieno solo in Cielo.
È questa ipotesi che lascia trapelare una pienezza tangibile anche sulla terra. Mi alzo ogni mattina, guardo il volto che credo di conoscere ormai così bene e chiedo col pensiero: “Ma tu, amore mio, chi sei davvero?”
E cosa siamo insieme? Che sarà di noi? Come ci plasmerà domani la Provvidenza? Siamo una storia che non ha etichette, ma ha un Padre.