Una disputa in parte molto recente, ma che affonda le sue ragioni in questioni annose, se non antiche (o antichissime). Tanti gli argomenti chiamati in ballo, tra cui quello dell’autorità dei santi nello stabilire una prassi.
Mi hanno chiesto perché si permetta alla gente di ricevere la Comunione sulle mani mentre “tanti mistici” hanno non solo ricevuto la comunione in bocca per tutta la vita, ma avrebbero pure esplicitamente condannato la pratica di ricevere la particola in mano.
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Ora, in un certo senso penso di essere una persona in qualche modo titolata a rispondere a questo interrogativo: infatti da un lato è rarissimo che io riceva la comunione in mano (di solito lo faccio quando partecipo a una Celebrazione in un luogo enorme, dove le sacre specie sono distribuite in modo tale che la scelta sia praticamente obbligata); d’altro canto non vedo affatto il demonio all’opera in una pratica che vanta in Cirillo di Gerusalemme un illustre testimone e che si radica ultimamente nel comando del Signore “prendete e mangiate”. Difficile prendere qualcosa senza usare le mani, e se Cipriano di Cartagine aveva ragione nel dire che l’eucaristia è «fare lo stesso che fece il Signore»… la brevità e l’immediatezza della formula “prendete e mangiate” mi pare angusta per dare spazio a bizantinismi.
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Ma non vorrei mai essere tacciato di fondamentalismo letteralista – sarebbe il colmo, in un certo senso… – e anche se il dato scritturistico è facilmente versatile a favore della comunione sulla mano non penso sia questo il punto dirimente: non tutto (né solo) quello che si trova nella lettera delle Scritture costituisce fondamento di disciplina ecclesiastica.
La domanda interessante che mi sono posto e che ho posto – e alla quale non ho trovato né ricevuto risposta – è: «Ma chi sarebbero i “tanti mistici” che hanno condannato la pratica di ricevere la particola in mano?».
Chiariamo anzitutto una cosa: è vero che la Sacrosanctum Concilium – la Costituzione Dogmatica dedicata dal Vaticano II alla liturgia cattolica e alla sua riforma – non affronta affatto il tema. È però falso che la disposizione di ricevere la comunione in mano sarebbe promanata originariamente dalle Conferenze Episcopali, le quali avrebbero ciascuna per sé disposto nei direttori pastorali (ossia in documenti di serie B) codesta norma.
No, in realtà la disposizione è stata assunta nell’Institutio Generalis Missalis Romani, che dedica tre numeri a descrivere le modalità dei riti di comunione:
160. Poi il sacerdote prende la patena o la pisside e si reca dai comunicandi, che normalmente si avvicinano processionalmente.
Non è permesso ai fedeli prendere da se stessi il pane consacrato o il sacro calice, tanto meno passarselo di mano in mano. I fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza Episcopale. Quando però si comunicano stando in piedi, si raccomanda che, prima di ricevere il Sacramento, facciano la debita riverenza, da stabilire dalle stesse norme.
161. Se la Comunione si fa sotto la sola specie del pane, il sacerdote, eleva alquanto l’ostia e la presenta a ciascuno dicendo: Il Corpo di Cristo. Il comunicando risponde: Amen, e riceve il sacramento in bocca o, nei luoghi in cui è stato permesso, sulla mano, come preferisce. Il comunicando appena ha ricevuto l’ostia sacra, la consuma totalmente.
Se invece la Comunione si fa sotto le due specie si segue il rito descritto a suo luogo (Cf. nn.284-287).
162. Nel caso siano presenti altri presbiteri, essi possono aiutare il sacerdote nella distribuzione della Comunione. Se non ve ne sono a disposizione e il numero dei comunicandi è molto grande, il sacerdote può chiamare in aiuto ministri straordinari, cioè l’accolito istituito, o anche altri fedeli a ciò deputati secondo il diritto[97]. In caso di necessità, il sacerdote può incaricare volta per volta fedeli idonei[98].
Questi ministri non salgano all’altare prima che il sacerdote abbia fatto la Comunione e ricevano sempre dalla mano del sacerdote il vaso in cui si custodiscono le specie della Ss.ma Eucaristia da distribuire ai fedeli.
Come si vede, è in un documento di massima autenticità che si permette la pratica di ricevere la Comunione sulla mano. Nel 2004 il cardinal Francis Arinze ha firmato Redemptionis sacramentum un’istruzione «redatta per disposizione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti d’intesa con la Congregazione per la Dottrina della Fede». Si tratta precisamente di un documento «su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia». Nel secondo paragrafo del capitolo IV si parla appunto della Distribuzione della santa Comunione. Ivi si legge, fra l’altro (ai numeri 90-92):
[90.] «I fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza dei Vescovi»,e confermato da parte della Sede Apostolica. «Quando però si comunicano stando in piedi, si raccomanda che, prima di ricevere il Sacramento, facciano la debita riverenza, da stabilire dalle stesse norme».[176]
[91.] Nella distribuzione della santa Comunione è da ricordare che«i ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, siano disposti nel debito modo e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli».[177] Pertanto, ogni cattolico battezzato, che non sia impedito dal diritto, deve essere ammesso alla sacra comunione. Non è lecito, quindi, negare a un fedele la santa Comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi.
[92.] Benché ogni fedele abbia sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca,[178] se un comunicando, nelle regioni in cui la Conferenza dei Vescovi, con la conferma da parte della Sede Apostolica, lo abbia permesso, vuole ricevere il Sacramento sulla mano, gli sia distribuita la sacra ostia. Si badi, tuttavia, con particolare attenzione che il comunicando assuma subito l’ostia davanti al ministro, di modo che nessuno si allontani portando in mano le specie eucaristiche. Se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la santa Comunione sulla mano dei fedeli.[179]
Davanti a questo documento, autentico e pubblico, che peso dobbiamo dare alla dichiarazione di don Marcello Stanzione per cui una sera, cenando con l’allora Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, lo stesso cardinal Arinze avrebbe confidato che, «se lui allora fosse stato nella commissione che doveva decidere, avrebbe votato contro riguardo alla prassi di dare la comunione sulla mano»? A parte il fatto che nella commissione che compose l’Institutio Generalis lui non c’era e che è semplicemente ozioso stare a questionare a posteriori sui se e sui ma… risulta evidente che lo stesso don Stanzione, bravo teologo, non oserebbe dare a una Tischrede altro valore che quello di un aneddoto storico, nient’affatto paragonabile al peso di un documento congiunto di due Congregazioni romane. Utile al limite, quindi, per conoscere il pensiero personale di Francis Arinze. È tutto molto interessante… ma la Chiesa è un’altra cosa.
La Chiesa dispose autorevolmente la possibilità di permettere quel tipo di accesso alla Comunione, e impose parimenti la necessità di un’azione congiunta con la Santa Sede. Per la Chiesa cattolica che è in Italia ciò avvenne il 19 luglio 1989, quando a seguito della recognitio del cardinal Eduardus Martinez (data il 14 luglio), predecessore di Arinze, il cardinal Ugo Poletti, all’epoca Vicario del Papa per Roma e Presidente della Cei, emanò il Decreto che rendeva efficace e vincolante «la delibera di carattere normativo circa l’introduzione nelle diocesi d’Italia dell’uso di distribuire la S. Comunione nelle mani dei fedeli […]». E aggiungeva:
In conformità al can. 8, par. 2 del Codice di Diritto Canonico, tenuto conto dell’esigenza di una previa e adeguata catechesi, che illustri i vari punti dell’Istruzione e in particolare il significato della nuova prassi, stabilisco altresì che la delibera promulgata entri in vigore a partire dal 3 dicembre 1989, Domenica prima di Avvento.
Nel dettaglio, Poletti disponeva così:
15. – Accanto all’uso della Comunione sulla lingua, la Chiesa permette di dare l’Eucaristia deponendola sulle mani dei fedeli protese entrambe verso il ministro, ad accogliere con riverenza e rispetto il Corpo di Cristo.
I fedeli sono liberi di scegliere tra i due modi ammessi. Chi la riceverà sulle mani la porterà alla bocca davanti al ministro o appena spostandosi di lato per consentire al fedele che segue di avanzare.
Se la comunione viene data per intinzione, sarà consentita soltanto nel primo modo.
16. – In ogni caso è il ministro a dare l’Ostia consacrata e a porgere il calice. Non è consentito ai fedeli di prendere con le proprie mani il pane consacrato direttamente dalla patena, di intingerlo nel calice del vino, di passare le specie eucaristiche da una mano all’altra.
Abbiamo parlato dello specifico caso italiano per evidenti ragioni d’interesse, ma anche per illustrare con un esempio ciò che a norma del diritto è accaduto in tutte le regioni ecclesiastiche che hanno ammesso concretamente l’uso permesso dall’Institutio Generalis del Messale Romano. Questo dovrebbe già di per sé mostrare quale articolata trafila presieda allo stabilimento delle norme ecclesiastiche, anche (e soprattutto) quando esse sono dichiaratamente “nuove”: la Chiesa è ministra e custode dei Sacramenti – questo è l’assioma che regge il teorema – dunque nessuno può pretendere di correggere le sue disposizioni autentiche in materia. Il caso che la Chiesa, nel suo Mistero, approvi discipline sacramentali sacrileghe, non esiste neppure ad absurdum e come caso di scuola: trattasi di mero farfugliamento di persone confuse e foriere di confusione.
Ma che dicono i santi?
Ecco, dopo questa panoramica torniamo alla domanda: che dicono i santi? O, meglio, “i mistici”? Qui si dovrebbe distinguere tra i due gruppi, non solo perché neppure un cristiano che abbia visioni può ordinariamente presumere della propria salvezza eterna (mentre è certo che moltissimi santi non abbiano mai avuto visioni), ma soprattutto perché neppure il combinato disposto di santità conclamata e autentica con una solida esperienza mistica garantisce la credibilità di tutte e singole le dottrine professate dai detti santi.
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E questo in ossequio a un principio generale: qualunque cosa dica perfino il più santo fra i santi, ove questi fosse anche il più mistico fra i mistici, il tutto rientrerebbe sempre nell’ambito delle rivelazioni private, che in nessun modo potrebbero essere proposte ai fedeli come “fede da ritenere”. Viceversa – e questa è la prova del nove – mai un santo pretenderà che la propria dottrina o la propria disciplina prevalgano su quelle della Chiesa: se lo fa, sicuramente si tratta di ben altro che di un santo.
Ed ecco che si fa presto a discernere donde vengano le presunte “Rivelazioni di Maria Santissima, Nostra Signora di Maracaibo”; o meglio – poiché stando ai nudi testi delle pretese rivelazioni la Vergine stessa non condannerebbe le disposizioni ecclesiastiche – donde vengano le intenzioni dei fedeli che le usano come teste d’ariete contro quelle medesime disposizioni. E ci permettiamo di restare scettici circa le “Promesse di Gesù a chi non riceve la Comunione sulla mano” (e sì che come dicevo potrei beneficiarne, personalmente…).
Di solito sono tre le autorità addotte da chi parla di “tanti mistici”: Santa Brigida di Svezia, Anna Caterina Emmerich e Maria Simma. Per la prima ci si affida a un passaggio della Vita di S. Brigida di Svezia scritta da suor Maria Bernardina dell’Ordine delle Cappuccine (Venezia 1890):
Più volte querelossi grandemente il Signore con la sua serva del grave dolore che gli cagionavano in cuore le scostumatezze del Clero di allora. Egli, rammentando quelle singolarissime grazie con cui arricchir volle coloro, i quali si consacravano al suo santuario, le disse: «Vedi, mia figlia, io sono come colui, il quale partendo da questa vita, lascia agli amici suoi l’oggetto più prezioso dei suoi averi. Così ai miei ministri, che ho prescelti a preferenza degli Angeli e degli uomini, nel dividermi da questo mondo ho rimesso ciò che avevo di più caro e lasciato loro cinque doni: la fede è il primo, il secondo la consegna delle due chiavi del cielo e della terra, il terzo è la virtù di trasformare in un angelo un nemico di Dio, il quarto è il potere di consacrare il mio Corpo, ciò che a nessun Angelo è concesso, il quinto è il privilegio di poter toccare con le proprie mani la Carne mia purissima».
Per la beata Anna Caterina Emmerich abbiamo due testi, uno autografo (quindi da datarsi a cavallo tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo) e uno secondario, il cui autore è il redentorista Karl Erhard Schmöger e che fu originariamente pubblicato a Freiburg nel 1885. Il primo narra l’Ultima Cena:
Dopo aver pregato, il Salvatore insegnò. Le parole uscivano dalla sua bocca come la luce irraggiante dal fuoco; essa permeava gli Apostoli, a eccezione di Giuda. Presa poi la patena con i frammenti di pane, Gesù disse ai convitati: «Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo, che sarà dato per voi!» Protese quindi la destra, come per benedire, mentre così faceva, irradiava da Lui un abbagliante splendore. Non solo erano luminose le sue parole, ma anche il pane posato sulla lingua degli Apostoli, il quale era tutto raggiante. Vidi inoltre gli stessi Apostoli radiosi di Luce, a eccezione di Giuda, che divenne tenebroso. Il Nazareno aveva posto il Pane prima sulla lingua di Pietro e poi su quella di Giovanni; quindi aveva fatto segno a Giuda di avvicinarsi. L’Iscariota era stato il terzo, al quale Gesù aveva presentato il Sacramento; poi gli aveva detto: «Fa’ presto quanto vuoi fare!» Aveva comunicato quindi gli altri Apostoli, che gli si erano avvicinati a due a due.
Il secondo riporta contenuto analogo, ma in terza persona:
In mezzo a continui patimenti, essa nella festa del Corpus Domini ebbe ricchissime visioni circa la istituzione del santissimo Sacramento… Vidi un quadro dell’istituzione del SS. Sacramento. Il Signore sedeva al centro del lato lungo della tavola; alla sua dritta sedeva Giovanni, alla sua sinistra uno svelto e sottile apostolo, che molto a Giovanni assomigliavasi; presso di lui sedeva Pietro, che spesso sporgeva il capo per sopra il suo vicino. Sul principio vidi il Signore ancor per alcun tempo ammaestrare sedendo. Quindi egli sorse in piedi e gli altri con lui; tutti lo guardavano silenziosi e con una certa curiosità, e stavano intenti a ciò che egli fosse per fare. Vidi allora come sollevasse in alto il piatto su cui posava il pane, e rivolgesse gli occhi al cielo, e quindi con un coltello d’osso percorrendo le linee che solcavano quel pane, lo spezzasse in bocconi. Lo vidi poi muover la mano dritta sopra quei frammenti come benedicendoli. Mentre ei ciò fece, si diffuse da lui uscendo un gran splendore, il pane risplendeva, egli stesso era luminoso e come nella luce disciolto, e cotesta luce si diffuse sopra tutti i presenti e sembrava che penetrasse in loro. E tutti divennero silenziosi e raccolti; il solo Giuda vidi oscuro e come se respingesse cotesta luce. Gesù sollevò pure in alto il calice e gli occhi, e lo benedisse allo stesso modo. Non posso trovare altra espressione adatta a rappresentare ciò che in lui succedesse durante cotesta santa cerimonia, fuor quel-la di dire ch’io vedevo e sentivo come egli si trasformasse. Poi il pane ed il calice divennero luce. Vidi che aveva deposto i frammenti sopra la superficie di un piatto, che assomigliavasi ad una patena, e che con la sua dritta distribuiva cotesti bocconi ponendoli in bocca a ciascuno.
L’ultimo testo che ho trovato è quello di Maria Simma, nota per i suoi pretesi contatti con anime purganti ma non (ancora?) riconosciuta santa o beata dalla Chiesa Cattolica. Nel suo Le anime del Purgatorio mi hanno detto si legge:
L’anima di un sacerdote venne da me e mi disse di pregare per lui, perché doveva soffrire molto. Di più non poté dire; poi sparì. Un’altra anima del Purgatorio mi spiegò in seguito: «Egli deve soffrire molto, poiché ha seguito l’uso di distribuire la Comunione nelle mani dei fedeli e perché ha fatto rimuovere i banchi che servivano per ricevere la Comunione in ginocchio. Si potrebbe aiutarlo rimettendo i banchi al loro posto, là dove egli li fece togliere, ed esortando coloro che furono abituati da lui a ricevere la Comunione nelle mani a non farla più così». Parlai con il Decano del posto, che ebbe molta comprensione. Disse: «Non sono stato io ad introdurre l’uso della Comunione in mano. Per quanto riguarda i banchi, posso tentare di soddisfare questo desiderio, ma devo lasciare che decidano i sacerdoti del luogo». Parecchie volte venne l’anima di un altro sacerdote, lamentandosi che soffriva moltissimo, poiché aveva rimosso i banchi in chiesa, costringendo il popolo a ricevere la Comunione in piedi. Da ciò si capisce che qualcosa qui non funziona. È vero: il Papa ha permesso di ricevere la Comunione anche in piedi. Chi però desidera inginocchiarsi, deve avere la possibilità di farlo. Così vuole il Papa, e noi possiamo pretendere ciò da ogni sacerdote. Se un sacerdote, o un vescovo, sapesse qual è la sua grande responsabilità nell’introdurre l’uso della comunione in mano, non lo farebbe certamente, e non lo permetterebbe.
Come si vede, i quattro testi additano questioni diverse, ma dei quattro i primi tre sono giocoforza viziati dall’essere sorti in un contesto in cui non esisteva la prassi di dare la Comunione sulle mani:
- Santa Brigida esalta il privilegio sacerdotale di poter toccare le sacre specie (le quali comunque permangono di pane e di vino, mentre la sostanza del Corpo di Cristo è per definizione inaccessibile ai sensi – quindi nessuno la “tocca”, se le parole hanno un senso).
- La beata Anna Caterina, in entrambi i testi, narra l’ultima cena descrivendo Gesù che comunica gli Apostoli in bocca. A tale riguardo osservo, oltre al fatto che tale visione non pretende di avere alcun carattere normativo, come sia ragionevole pensare che nell’elaborazione psichica della visione l’Agente soprannaturale (lo Spirito Santo) abbia utilizzato i fantasmi dell’esperienza religiosa della consacrata, e che quindi la visione non solo non attesti come la Comunione debba riceversi oggi, ma neppure (almeno non fino nel dettaglio) come andò quella sera. Un po’ come quando i mistici vedono Gesù con le stigmate nelle palme delle mani: nessuno vuole dubitare che davvero abbiano veduto e che quanto dicono corrisponda a quanto hanno veduto… sta di fatto che a Gesù forarono i polsi e non le palme.
- Il testo di Maria Simma è il meno autorevole per via del mancato riconoscimento pubblico della santità dell’autrice, ma per un altro aspetto è il più interessante: esso rende infatti ragione, al di là di partigianerie, di un clima ecclesiale animato da un certo inconfessato fervore iconoclasta, in cui non erano anzitutto in gioco l’onore di Dio e la celebrazione dei suoi Misteri, bensì una smania rivoluzionaria ansiosa di dichiarare decadute e sorpassate tutte le istituzioni precedenti.
Atteggiamento – lo si vede bene – uguale e contrario a quello dei reazionari, e per di più meno fondato di quello. L’ultima frase è quella più sibillina: a cosa si riferisce la “grande responsabilità nell’introdurre l’uso della comunione in mano”? Al fatto in sé? Agli abusi? Al decadimento del senso del mistero?
Don Stanzione invoca a difesa dell’esclusività della prassi della comunione in bocca un rapido passaggio dei Canoni del Sinodo di Rouen (650):
È stato a noi riferito che alcuni sacerdoti dopo aver detto Messa, quando consumano i Misteri Divini, danno il calice di Dio a donne che hanno fatto loro delle offerte per le Messe, o ad alcune persone laiche che non possono discernere il Corpo di Dio.
La pietà dei fedeli comprende come tutto questo sia contrario ad ogni religione ecclesiastica. Perciò comandiamo a tutti i sacerdoti che nessuno in futuro agisca in questa maniera, e che il sacerdote consumi l’Eucaristia con riverenza e per la distribuzione la dia al diacono o al suddiacono che amministra all’altare.
Un prete non deve mettere l’Eucaristia santa nelle mani di alcuna persona laica o a donna, ma solo nelle loro bocche.
Se qualcuno trasgredirà questo ordine, poiché disprezza Dio onnipotente e disonora quello che appartiene a Dio, sia rimosso dall’altare.
Appare in realtà evidente come il canone intervenga specificamente in un abuso, e che questo abuso sia ben distante dalla prassi di cui si discute dalla Riforma successiva al Vaticano II: sacerdoti che “danno il calice” “a donne” che “hanno fatto offerte”… che significa? Si condanna l’uso della specie del vino (condanna frequente, e giustamente, per molti secoli)? Si condanna l’accesso delle donne all’altare? Si condanna una qualche forma di simonia? Difficile dirlo da questo solo rapido passaggio: intanto è certo che non si parli dell’ordinaria possibilità di distribuire la Comunione nelle mani dei fedeli. Il Canone, dunque, va letto e interpretato conformemente alla quæstio trattata. Il passo, benché risalente a un sinodo locale, riveste un certo interesse… ma non sfiora l’argomento per cui è stato (a mio avviso scorrettamente) invocato.
E che dice la teologia?
Più a proposito si invoca, a tutela della prassi esclusiva della Comunione in bocca, questo testo di san Tommaso:
Dispensare il Corpo di Cristo spetta al sacerdote per tre ragioni:
- perché egli consacra nella persona di Cristo. Ma come Cristo consacrò il Suo Corpo nell’Ultima Cena e fu Lui che ne diede agli altri per essere condiviso da loro, così, come la consacrazione del Corpo di Cristo spetta al sacerdote, anche la distribuzione spetta a lui;
- perché il prete è l’intermediario stabilito tra Dio e il popolo, quindi spetta a lui offrire i doni del popolo a Dio, così spetta a lui distribuire i doni consacrati al popolo;
- perché, al di là del rispetto per questo Sacramento, nulla lo può toccare tranne ciò che è consacrato; allo stesso modo solo le mani del sacerdote lo possono toccare. Quindi a nessun altro è lecito toccarlo, tranne che per necessità, per esempio se stesse per cadere per terra, o altro, in qualche caso di emergenza.
Th. Aq., S. Th III, Q 82, Art. 13
La prassi attuale mi sembra in realtà rispettare tutto il dettato tomistico, con la sola necessità di apporre due precisazioni al terzo punto:
- sono pur sempre consacrati, quantunque non nel sacramento dell’Ordine, quelli che si avvicinano a ricevere nelle Sacre Specie nelle loro mani («Τα άγια τοις αγίοις» [«Le cose sante ai santi»], recita il diacono nella Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo per invitare i fedeli ad accostarsi all’iconostasi onde ricevere la Comunione);
- proprio da san Tommaso abbiamo appreso con certezza che, in senso stretto, nessuno tocca il corpo di Cristo, perché anche il sacerdote – le cui mani consacrano i doni sulla mensa del Signore – ne tocca pur sempre unicamente le specie sacramentali (che sono e restano di pane e di vino).
Scrivendo la prefazione per il libro di Federico Bortoli (La distribuzione della Comunione sulla mano), il cardinal Robert Sarah ha osservato che ricevere la comunione sulla mano comporta
indubbiamente una grande dispersione di frammenti; al contrario, l’attenzione alle più piccole bricioline, la cura nel purificare i vasi sacri, non toccare l’Ostia con le mani sudate, diventano professioni di fede nella presenza reale di Gesù, anche nelle parti più piccole delle specie consacrate: se Gesù è la sostanza del Pane Eucaristico, e se le dimensioni dei frammenti sono accidenti soltanto del pane, ha poca importanza quanto un pezzo di Ostia sia grande o piccolo! La sostanza è la medesima! È Lui!
E questo è dogmaticamente conforme alla dottrina della Chiesa, nonché praticamente orientato a curare il senso del mistero: qualunque prassi, permessa o no, deve avere sempre tale banco di prova e tale criterio di verifica, poiché la sintesi del Diritto nella Chiesa è l’orientamento alla salvezza eterna. Una cosa è dunque tanto più buona e da favorirsi in quanto favorisce l’immersione del credente nel Mistero; viceversa sarà tanto più da evitare e scoraggiare in quanto non lo fa. E in tal senso – ripeto che personalmente ricevo la comunione praticamente sempre in bocca – occorre precisare due cose:
- il mistero a cui si partecipa è mistero ecclesiale, non di evasione individuale verso la propria idea di spiritualità;
- fare la comunione e intanto disprezzare le norme ecclesiastiche che autenticamente la disciplinano è letteralmente diabolico (la prova del nove è di solito il sentimento di star facendo meglio del profanum vulgus, che «non capisce»…).
Tra i vari avvelenatori di coscienze, apertamente avversi alle disposizioni ecclesiastiche e sprezzanti dell’autorità dei Pastori, ho dovuto leggere pure questi, che tra una cosa e l’altra tentano di minare l’autorevolezza delle Catechesi Mistagogiche di Cirillo di Gerusalemme pretendendo che il testo sia da attribuirsi «al vescovo pelagiano Giovanni». Un altro conciliabolo di sobillatori di cuori aggiunge il carico: Giovanni di Gerusalemme sarebbe stato «cripto-ariano, origeniano e pelagiano»! Il tutto perché Giovanni, come in Oriente avrebbe fatto chiunque, aveva accolto Pelagio a Gerusalemme e aveva poi partecipato al sinodo di Diospoli (che assolse il monaco irlandese). È vero, anche Henri Crouzel ammetteva l’ipotesi che le Catechesi Mistagogiche siano state composte da Giovanni e siano poi state tramandate con la pseudo-epigrafia del più noto predecessore Cirillo… ma in che modo questo leda la loro attendibilità storica e la loro autorevolezza dogmatica (non si parla della sinergia fra grazia e libertà, ma di liturgia…) è cosa che ancora mi sfugge.
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Quanto è certo è che quel testo fa parte della viva Tradizione della Chiesa, al punto che ogni anno i fedeli se lo ritrovano tra le pagine del Breviario Romano. Rileggiamolo anche oggi:
21. Avvicinandoti non procedere con le palme delle mani aperte, né con le dita separate, ma con la sinistra fai un trono alla destra poiché deve ricevere il re. Con il cavo della mano ricevi il corpo di Cristo e di’: «Amen». Con cura santifica gli occhi al contatto del corpo santo e prendilo cercando di non perdere nulla di esso. Se tu ne perdi, è come se fossi amputato di un tuo membro. Dimmi: se qualcuno ti regalasse delle pagliuzze d’oro non le prenderesti, guardandoti con molta cura dal non perdere nulla di esse e dal non rovinarle? Non salvaguarderai maggiormente ciò che è più prezioso dell’oro e più stimato delle pietre preziose perché non cada neanche un frammento?
22. Dopo la comunione del corpo di Cristo avvicinati al calice del sangue. Senza stendere la mani, ma inchinandoti e con un gesto di adorazione e di venerazione di’: «Amen», e santificati prendendo il sangue di Cristo. Sino a quando l’umido è sulle labbra toccalo con le mani e santifica gli occhi, la fronte e gli altri sensi. Poi, in attesa della preghiera, rendi grazie a Dio che ti ha degnato di tali misteri.
23. Conservate intatte queste tradizioni e voi stessi conservatevi irreprensibili. Non separatevi dalla comunione, e per macchia del peccato non privatevi di questi sacri e spirituali misteri. Il Dio della pace vi santifichi totalmente. Il vostro corpo, l’anima e lo spirito siano in ogni parte salvaguardati alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo, a cui sia gloria per i secoli dei secoli.