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L’importanza di “Restare Umani”

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Lucandrea Massaro - pubblicato il 14/06/18
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Intervista al coautore del libro di Città Nuova che ragiona sul senso del limite e le sfide ad esso portate avanti dalla tecnologia, lo psicologo Marco ScicchitanoIl mondo si fa ogni giorno più complesso, e le sfide per l’umanità sono molteplici e sempre diverse, la tecnologia in particolare gioca un ruolo fondamentale nelle trasformazioni sociali del nostro tempo. Dalla sessualità alla procreazione, dalla nascita alla morte, tutto ora è attraversato da un’ansia di controllo e di mercificazione. Di questo e molto altro tratta il libro “Restare Umani. Sette sfide per non rimanere schiacciati dalla tecnologia“, edito da Città Nuova e firmato da Giuliano Guzzo e Marco Scicchitano, entrambi due “vecchie conoscenze” dei lettori di Aleteia, dei cui precedenti lavori abbiamo già parlato ampiamente. Per chi volesse – a Roma – ci sarà una presentazione il prossimo 19 giugno.

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Per approfondire questi temi abbiamo contattato lo psicologo Marco Scicchitano uno dei due autori e lo abbiamo intervistato.

Come nasce l’avventura di questo libro tra te e Giuliano Guzzo?

Veniamo entrambi da un percorso di approfondimento di un tema centrale della nostra società, quello della differenza tra maschile e femminile. Sia io, insieme al professor Cantelmi, sia Giuliano con il suo Cavalieri e Principesse, abbiamo fornito una valida presa di posizione nei confronti di una deriva culturale che stava cercando di sommergere le diversità sessuali additandole come portatrici di discriminazione e disuguaglianza. Non è così. Come sappiamo è possibile ambire alla costruzione di una società equa ma anche rispettosa delle differenze, è solo più complesso. Richiede più attenzione e pazienza, senza farsi invadere e possedere dalla furia energica dell’ideologia, continuare a porre al centro l’uomo. Da questo punto, ampliando lo sguardo e mantenendo al centro l’uomo abbiamo notato che il tema della differenza sessuale non era l’unico che attraversava la figura umana rischiando di smembrarla e parcellizzarla. Ci sono anche altri vettori, altri ganci che la afferrano tirandola con incuria della sua integrità e ad alcuni di questi temi abbiamo dedicato i 7 capitoli del libro. Un capitolo per ogni tema, due prospettive diverse quella mia, psicologica, e quella di Giuliano Guzzo, sociologica, con l’intento di mantenere una visione stereoscopica sull’umano osservandone la dimensione psicologica e quella sociologica.



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Nel vostro libro avete affrontato tematiche di grandissimo impatto nel dibattito sociale e politico attuale. Se alcune questioni sono (ancora) marginali nell’ambito italiano ed europeo, di certo non lo sono le questioni (apertissime) come il “diritto di morire” o il dibattito sulla GPA. Quali sfide dunque per l’Occidente?

Siamo fieri di aver scritto un libro che non ha paura di affrontare argomenti “rischiosi” e particolarmente divisivi. Uno dei problemi che evidenziamo nella nostra società Occidentale è proprio quello di aver distolto lo sguardo sulla fragilità dell’umano e abbiamo deciso di non allinearci su questa linea. La paura della sofferenza e della morte così come la difficoltà a mantenere un dialogo aperto e franco di fronte alle differenze a favore di uno sterile politically correct, stanno coprendo con una coltre insana la superficie del tessuto riflessivo della nostra società, cercando di stroncare sul nascere virgulti di riflessione critica. Riflessione che pensiamo essere imprescindibile per dare al progresso umano e allo sviluppo della scienza e della tecnica quel polo di riflessione etica e antropologica che può bilanciarne gli eccessi e favorirne l’armoniosa realizzazione insieme alla preservazione di una visione di uomo “umanistica”.



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I temi trattati sono il legame tra persona e tecnologia, in un momento (unico forse della storia dell’umanità) in cui il potere di manipolare tutti gli ambiti dell’individuo è diventato enorme. Il transumanesimo sembra davvero l’ideologia dominante: l’uomo si è fatto Dio o per lo meno demiurgo di se stesso. Non viene meno il suo stesso concetto di “limite”?

Si, e questo è sicuramente un tema trasversale che riguarda tutti gli argomenti affrontati, e non potrebbe essere altrimenti, dato che il “limite” riguarda tutta l’esperienza dell’uomo sulla terra, portatrice di un dissidio che pone un desiderio infinito entro dei limiti finiti. Da sempre la narrazione archetipica ha colto in questa smania di dissoluzione del limite del finito e il raggiungimento della onnipotenza il punto di rottura con l’equilibrio e la devastazione e la caduta. Adamo ed Eva si esiliano e si riconoscono nudi masticando e assorbendo ciò che era loro precluso, Icaro fonde le proprie ali avvicinandosi troppo al sole, mentre Atlantide viene sommersa dopo aver raggiunto l’apogeo della civiltà. Fino ad arrivare a Numenor, il Regno degli Uomini dell’Ovesturia che nel pieno della loro potenza e smaniosi di affermarla oltre i limiti dello spazio e del tempo, sfidano l’impossibile infrangendosi contro la collera dei Valar e destinando la loro isola, “Il Dono”, alla dissoluzione.
Preservare il dono di essere umani vuole attenzione e ricerca intenzionale di dominio sulla paura. Non è facile, ma è la strada che viene tracciata dalla tensione del progresso inarrestabile e la capacità di preservare i confini che rendono preziosa la vita intessuta sia di gioia che di dolore e limitatezza perché concreta possibilità di “essere”.

Nel vostro volume il taglio è incentrato sugli ultimi studi in diversi settori, a dimostrazione che il sapere scientifico è sempre umanista e che le pretese di molte richieste “politiche” o “della società civile” si basano o su informazioni vecchie o sull’influenza dell’industria. Come ci si difende da questo pensiero realmente reazionario?

Poniamo come agenti immunologici due atteggiamenti fondamentali. Il primo, informarsi cercando di superare la coltre composta dalla superficialità delle informazioni elaborate per il gusto rapido e disattento della rete, dalla faziosità, e soprattutto dalla consapevolezza che esistono intenzioni diverse da quelle che vogliono il benessere dell’uomo. Le industrie e le compagnie internazionali non sono centrate sul valore dell’umano, ma piuttosto sul prezzo del capitale umano. Secondo punto fondamentale è il custodire con perseveranza la qualità del proprio tempo, soprattutto quello dedicato alle relazioni. Questo comporta attenzione alla gestione del tempo quotidiano, arginamento della tecnologia dell’informazione e pervasività delle notifiche. La relazione vive florida quando ha spazio e tempo intorno a sé, non quando è stretta tra un appuntamento e una conferenze, logorata dalla stanchezza, contesa da notifiche audio e messaggi. Avere la capacità di difendere la propria intima disponibilità a prendere il tempo per la relazione umana è l’antidoto migliore per Restare Umani. Siamo certi che l’esperienza dell’accettazione totale di sé e del dono di sé oblativo siano esperienze significative che rendono la vita degna di essere vissuta e sperimentabili solo all’interno di una relazione umana e al di fuori delle maglie articolate della tecnica. L’amore è indisponibile alla smania del progresso. Si sperimenta con maggiore probabilità là dove ci sentiamo più fragili e accettiamo di esserlo, come scriveva Lewis: “Amare significa, in ogni caso, essere vulnerabili. Qualunque sia la cosa che vi è cara, il vostro cuore prima o poi avrà a soffrire per causa sua, e magari anche a spezzarsi. Se volete avere la certezza che esso rimanga intatto, non donatelo a nessuno, nemmeno a un animale. Proteggetelo avvolgendolo con cura con passatempi e piccoli lussi; evitate ogni tipo di coinvolgimento; chiudetelo col lucchetto nello scrigno, o nella bara, del vostro egoismo. Ma in quello scrigno (al sicuro, nel buio, immobile, sotto vuoto) esso cambierà: non si spezzerà; diventerà infrangibile, impenetrabile, irredimibile”.

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