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Mauro Biglino e l’Annunciazione: stavolta vedrete chi è che falsa i testi

"L’Annonciation" de Jean Martin, 1935, huile sur toile, donation au Musée eucharistique du Hiéron. © Musée eucharistique du Hiéron

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 30/05/18
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L’angelologia è una branca della letteratura biblica e parabiblica (prima che teologica) relativamente recente e molto instabile nella sua storia: il terreno ideale per chi si proponga il dissennato esercizio di confondere i propri lettori. Era il 1971 quando Fabrizio De André cantava di un arcangelo che seduceva Maria: non era il primo e non sarebbe stato l’ultimo. Cattivo gusto e un velo di ignoranza, certo: ma almeno ci aveva risparmiato gli alieni.

Ogni volta che abbiamo parlato del lavoro di Mauro Biglino ci siamo imbattuti in un singolare concetto di “esegesi”: da un lato infatti si rivendica la pura aderenza al testo biblico, dall’altro si coartano nelle pagine scritturistiche le serie di X-Files e i romanzi di Sitchin senza alcuna evidenza a suffragio; da una parte si pretende di prescindere da ogni “sovrastruttura” teologica (perché l’assurda petizione di principio di Biglino è appunto che la Bibbia non parli di Dio) e dall’altra si fanno anacronistiche inferenze di categorie filosofico-teologiche posteriori su testi antichi.

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Sembrano parole astruse ma il concetto è molto semplice: che direbbe un meccanico se qualcuno negasse che quelle delle antiche macine erano (e sono) veramente delle ruote… solo perché non possono essere agganciate ai mozzi di un avantreno di automobile o perché non prevedono supporto per i freni? Ecco, formalmente Biglino compie di continuo simili abusi: perlopiù semantici, cioè basati sullo slittamento del significato di certe parole nel tempo, e sbalordisce platee di persone digiune o quasi di categorie bibliche esibendo codesti giochi di prestigio.

Poiché in Antico e Nuovo Testamento, Libri senza Dio, il Nostro si è dilettato di applicare il suo “metodo” anche sui libri della Nuova Alleanza, prendiamo ora ad esempio il caso dell’Annunciazione, così come è raccontata nel capitolo 1 del Vangelo secondo Luca. Si tratta di un esempio molto eloquente perché vi si evince non solo, una volta fra le altre, l’esilarante procedura dell’“esegeta” Mauro Biglino, ma vi si apprende con una chiarezza cristallina la disinvoltura con cui il Nostro usa i testi moderni, oltre a quelli antichi. Una cosa alla volta.

Il punto di partenza si dà a pagina 137 del libro in questione, ove si legge, verbatim:

Volendo concedere che Giosuè/Gesù sia realmente esistito – cosa di cui non abbiamo documentazione storica – ci rifacciamo quindi a dati di partenza che possono essere ipoteticamente i seguenti:

  • Yahweh è realmente esistito come individuo in carne e ossa;
  • data la durata della vita degli Elohim biblici, potrebbe addirittura ancora esistere;
  • Yahweh aveva (ha ancora?) l’obiettivo costante di assegnare quella terra ai suoi;
  • Maria è stata visitata da un Gavriel, termine che in ebraico indica il potere di un “El” (singolare di Elohim) e per estensione uno che esercita il potere per conto di un “El” (ricordo che un Gavriel fa visita a Daniele per comunicargli le decisioni prese nel consiglio dei Vigilanti e un Gavriel si presenta al profeta Maometto);
  • dopo la “visita” di quell’individuo, Maria è rimasta incinta senza conoscere altro uomo (almeno prima di concepire e partorire altri fratelli di Giosuè/Gesù, come chiaramente detto nei Vangeli).

Dunque: la pericope presenta un ricco assortimento dei cavalli di battaglia di Biglino, che messi tutti così vicini producono un particolare effetto farsesco. Anzitutto la premessa “non è certo che Gesù sia storicamente esistito”: ormai più di quarant’anni fa, nel 1976, Vittorio Messori scrisse 288 pagine di indagine storica (tradotta in 22 lingue a oggi) sull’uomo di Nazaret. E ci perdoni Messori per l’accostamento.

Se non è certo che Gesù sia esistito, lo è invece (ma Biglino usa il suo furbo “ipoteticamente”, salvo poi procedere come se avesse in mano dati certi e prove incontrovertibili) che sia esistito YHWH – malamente traslitterato in Yahweh dall’“ebraista”… –, ed essendo YHWH uno degli Elohîm, ossia uno El, si tratta di “un individuo in carne ed ossa” che comunemente definiremmo “un extraterrestre” (che c’è di più logico?).


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Essendo anche l’esistenza di YHWH un’ipotesi, non ne siamo proprio certi… in compenso siamo certi che gli Elohîm, e dunque anche YHWH, vivessero molto a lungo – e abbiamo ragione di sospettare che forse questi sia tuttora vivo. Chiunque abbia due rudimenti di logica formale o anche solo di insiemistica si rende conto dell’assurdità: come a dire “non siamo certi che esistano le scimmie, ma per contro sappiamo che le scimmie sono mammiferi e che una particolare scimmia è certamente stata viva e potrebbe esserlo tuttora”.


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Il terzo punto è completamente fuori contesto, nel Nuovo Testamento, ma sembra che Biglino non riesca a cantare la sua canzone saltando qualche strofa. Il capolavoro arriva a proposito di Gabriele, il quale in forza dell’etimologia del suo nome passa da referente nominale di un individuo (sorvoliamo al momento sulla sua natura) a referente generico di una serie di individui. A parte che in ebraico lo yod indica il possessivo di prima persona singolare, e quindi il nome “Gabriele” significa “La mia potenza è Dio”, e non un generico “potenza di Dio” (o di El, se si preferisce); ma ci si rende conto del fatto che una simile forzatura è analoga all’ipotesi – per esempio – che in forza del significato della parola “Zar” (che deriva da “Cæsar”) Nicola II abbia varcato il Rubicone scatenando la guerra civile del 49-45 a.C.? Anzi, in modo ancora più estremo (perché “Zar” è comunque un titolo che parte da un individuo eponimo, mentre “Gabriele” è il nome di un individuo che Biglino rende insensatamente astratto e generico): poiché “Clarissa” significa “la brillante” dovremmo inferire che la Signora Dalloway concepita dalla mente di Virginia Woolf (e qui dovremmo biglinamente chiamarla “una Clarissa”) sia in realtà una monaca del second’ordine francescano. Un totale nonsense.



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Verrebbe il sospetto che Biglino conti di prosperare sull’analfabetismo biblico delle persone, visto che appena si ripropone formalmente il procedimento in un contesto extrabiblico balza palese agli occhi la forzatura. Restando invece nel panorama biblico, sarebbe invece divertente applicare il giochino su tutti i nomi teoforici delle Scritture – cioè quelli che contengono la parola “El” (o “Ia/Io”) –, e quindi non solo Michele, Gabriele e Raffaele (sorvoliamo sugli altri arcangeli), ma anche Samuele, Fanuele, Gamaliele, Giovanni (“Yokanaan” in ebraico), Giosia e lo stesso Gesù (o “Giosuè”, come con futile vezzo a Biglino piace tergiversare). Basta così poco per fantasticare di esseri sovrumani? Beh, se Giosia fosse stato un potente extraterrestre non sarebbe finito così male come finì, né il collo del Battista si sarebbe tagliato sotto una lama di vile metallo terrestre. La Bibbia assomiglierebbe molto a quei fumetti che Biglino vende (eh, sì…), ma molto poco a ciò che in effetti è – e difatti sarebbe così noiosa e banale da dover necessariamente venire ravvivata a forza di astronavi e raggi levitanti. No, Biglino non lo dice (qui) ma in realtà si fa stampella del fatto che Gabriele venga detto “angelo”, e che “angelo” sia la traduzione greca dell’ebraico “malak… le tre carte si muovono veloci sul banchetto del Nostro e alla fine l’incauto passante si sente dire che Gabriele è semplicemente un “messaggero”, perché “malak” significa etimologicamente “messaggero”. Certo, la linguistica si compone di etimologia e di semantica, ma questo non bisogna ricordarlo al passante che viene imbambolato dalle tre carte: “formidabile” significa etimologicamente “terrificante”, ma chi oggi non lo usa anzitutto e perlopiù per dire “fantastico”? Biglino è quello che va a prendere una frase in cui una persona ha detto “formidabile!” e spiega ai passanti che quella persona intendeva “terrificante!”. In forza dell’etimologia e in barba alla semantica.



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La prova del nove, sugli angeli, la fa raccattando tutti i testi in cui si parla di una qualche corporeità di quegli individui, e ripropone la già ricordata inferenza di categorie filosofico/teologiche posteriori in testi anteriori. In pratica dice, prendendo i testi in cui si evocano i movimenti e le azioni materiali degli angeli: ecco, vedete che si tratta di individui in carne ed ossa? Non dunque degli spiriti puri, degli intelletti assoluti inventati dalla teologia! E via di seguito con la nota canzone. Cosa è costretto a tacere, Biglino? Almeno tre cose:

  1. Che la figura dell’angelo nasce nella cultura giudaica per osmosi con quella babilonese, e che dunque la corrispettiva “angelologia” è una raffinazione del concetto di “angelo” che avviene dal VI secolo a.C. in poi: tale processo ha una forte spinta in epoca intertestamentaria ed è ancora oggetto di vivide discussioni ecclesiali in seno alla comunità giudaica del I secolo d.C. Lo stesso concetto di “spirito” non è privo di sostanziali equivocità perfino nella sola cultura ellenistica (si pensi allo scontro tra stoici e platonici, in merito): tale prospettiva si riflette addirittura nell’elaborazione teologica paleocristiana in riferimento alla sostanza divina… giusto per dare un’idea di cosa accadde prima. È ovvio che si trovino fior di testi in cui gli angeli sono descritti nel pieno di azioni materiali.
  2. Che – per contro – ci sono fior fior di testi, anche nella Bibbia, che indugiano con dettaglio perfino irritante (per il lettore non avvertito) su tali questioni: esempio lampante è sparso in tutto il breve romanzo di Tobia, ove l’autore usa grande attenzione a sottolineare l’incorporeità di Raffaele.
  3. Che “angelo” non è l’unica parola che identifica queste figure: si pensi per esempio al fatto che gli “angeli del sepolcro” sono detti “un ragazzo” da Marco (16, 5) e “uomini” da Luca (22, 43); lo stesso Luca, negli Atti, parla di altri “due uomini” (1, 10), e sarebbe sciocco pensare che Luca – magari “in quanto medico” (e dunque istruito, e dunque scettico…) – non creda all’esistenza degli angeli. In realtà già nel capitolo 24 (4) del Vangelo si accennava a “visioni di angeli”, e prima lo stesso evangelista era stato il solo ad accennare al dettaglio dell’angelo del conforto nel Getsemani (22, 43). E che dire del bellissimo racconto di At 12, ove un angelo è così immateriale da penetrare in una prigione e così materiale da liberarne Pietro?

Di queste (e altre) cose però Biglino non può parlare: non è così che si fa il gioco delle tre carte. Vediamo dunque come si fa…

Invece di confrontare la ricorrenza di Lc 1 con tutte le altre ricorrenze del tema degli angeli nell’opera lucana (la prima cosa che farebbe un qualunque ricercatore onesto), Biglino confronta la sola parola “Gavriel” con l’omologa ricorrente nel testo del libro di Daniele (a proposito, anche “Daniel” è un nome teoforico…): e non sta a tediare il povero lettore con la spiegazione di quanto sia controversa la datazione del suddetto libro (redatto in tre lingue e almeno tre tempi, tutti posteriori all’età della deportazione in cui si ambientano i fatti narrati); non si attiene al normale principio ermeneutico che sconsiglia di spiegare una cosa oscura tramite una più oscura (e sennò come si fa il gioco delle tre carte?). No, Biglino spiega che nel libro di Daniele “Gavriel” viene presentato come “ish”, cioè come “uomo (maschio)”: a questo punto perché tediare il povero lettore con la pacata spiegazione del fatto che anche Luca (come un po’ tutti) usa, lo accennavamo, il sostantivo equivalente “anér” per indicare gli angeli? …eppure l’Evangelista non dubita minimamente che essi siano creature incorporee. Ma perché appesantire la scrittura del fumetto, specie quando le tavole erotiche si stanno avvicinando e le dita del lettore già fremono di libidine? Gabriele è un uomo, e anche virile, considerando la qualità del nome e dei verbi (sempre in Daniele, eh…), i quali indicano sforzo e lavoro. Poi tutt’a un tratto Biglino cambia carta e va sulla pagina lucana: lì sorvola sul moto di Gabriele, che viene descritto con verbi nient’affatto caratterizzati da fisicità, e sceglie di indugiare invece sul saluto di Lc 1, 28: «Χαῖρε, κεχαριτωμένη» [«Chaîre kecharitōménē»], che ricorrendo alla già illustrata linguistica orba di semantica viene tradotto con un audace “ciao, bella” (ma Biglino sa di dover conservare un contegno e scrive “tu che ti sei fatta graziosa, gradevole, piacente”). Sì, perché – c’illumina il Nostro –

Conoscendo le preferenze e i gusti estetici dei cosiddetti “angeli” biblici, non ci si deve stupire: in un altro capitolo di questo lavoro, ho evidenziato come le donne dovessero porre particolare attenzione in presenza di quegli individui che parevano essere sessualmente molto eccitabili.

Mauro Biglino, Antico e Nuovo Testamento, libri senza Dio, p. 140

Certo: non siamo sicuri che Gesù sia un personaggio storico, ma che gli angeli fossero dei mandrilli è cosa evidente a chiunque abbia gli occhi in testa! Comunque il meglio deve ancora venire: Maria dovrebbe gioire perché

lei risulterebbe essere la prescelta per l’operazione di fecondazione che doveva portare alla nascita di un personaggio speciale: uno dei tanti figli degli Elohim scelti per missioni di particolare significato e importanza.

Ibidem

E questa è la tesi. Ora ci vogliono le pezze d’appoggio. Biglino le spiattella sul tavolo con scioltezza: i “Papiri Bodomer” sono una di quelle cose che pochissimi conoscono, e dunque si portano sempre bene in contesti in cui il numero delle persone impreparate è superato solo da quello di quanti non devono farsi scoprire tali. Difatti va avanti senza precisare da quale opera estragga la citazione (perché i Papiri Bodomer sono un supporto, non un contenuto: un po’ come dire “si vede chiaramente in un dvd…”, senza dire cosa ci sia masterizzato, nel dvd in questione) si limita a indicare la (relativa) antichità dei testi (sono comunque parecchio più recenti di tutti i Vangeli canonici) e lascia sottintendere che in quei testi riemersi dalle sabbie del deserto possa finalmente rivelarsi la verità vera di cosa accadde quella sera. Tanto ci vuole poco, il lettore non vede l’ora di godersi la scena erotica: basterà fargli vedere una tendina che si muove al vento. E neanche quella Biglino mostra, perché la scena narrata è quella della scoperta di Giuseppe (fra l’altro, anche “Yosef” è un nome teoforico…), dunque un momento di forte tensione:

Ella pianse amaramente, dicendo: «Io sono pura e non conosco uomo». Giuseppe le domandò: «D’onde viene dunque ciò che è nel tuo ventre?». Ella rispose: «Vive il Signore, mio Dio, questo che è in me non so d’onde sia!». Giuseppe ebbe molta paura. Si appartò da lei riflettendo che cosa dovesse fare di lei. Giuseppe pensava: «Se nasconderò il suo errore, mi troverò a combattere con la legge del Signore; la denunzierei ai figli di Israele, ma temo che quello che è in lei provenga da un angelo, e in questo caso mi troverei ad aver consegnato a giudizio di morte un sangue innocente.

E Biglino cita una nota del grande filologo Luigi Moraldi:

Era una tradizione assai comune nel tardo Giudaismo che fatti del genere fossero avvenuti fin dalle prime generazioni umane: vedi Giubilei 5,1 ss; 1 Enoch 6,1 ss; 7,5 ss; 10,12; 89,3, e ancora il testo trovato a Qumran: 1 Q Gen Ap ai capitoli II ss.

Ovvio, altrimenti in Gen 6 non si parlerebbe dei “giganti” dei tempi antichi: ma questo lo ignora solo chi la Bibbia non l’ha mai letta di continuo per i primi sei capitoli – e sono questi, di solito, i passanti che si fermano a giocare alle tre carte con Biglino. Difatti il Nostro commenta in un modo stupefacente:

Annoto e sottolineo che Giuseppe prendeva in seria considerazione che la gravidanza di Maria avesse origini molto concrete.

Ivi, 141

Questa è bella: Giuseppe era certo del fatto che ci fosse stato un rapporto sessuale alla base della gravidanza di Maria – i Vangeli lo definiscono giusto, mica tonto! – e difatti il timore che davvero ci fosse un’ipotetica origine non naturale alla gravidanza gli veniva precisamente dal fatto che in quel caso avrebbe fatto mettere a morte un’innocente. Non lo sfiora neanche l’idea che Alien, comprensibilmente irritato, gli avrebbe come minimo spappolato il cervello. Chissà come mai…


SIGMUND FREUD - MAURO BIGLINO
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Ma le “prove” di Biglino non sono finite, e così come se “i Papiri Bodomer” non fossero sufficienti eccolo che tira fuori il Liber de infantia Salvatoris, o Natività di Maria e di Gesù. E il lettore di Biglino non apprende che quel testo è stato scritto precisamente con l’intento di illustrare ed esaltare la divinità di Gesù e la dignità di Maria, ma solo (senza contesto è un “solo” riduttivo, certo) che Giuseppe, da bravo marito meridionale, aveva lasciato la sposa in casa con un ninfeo di guardia, dovendo assentarsi. Al ritorno del carpentiere si scatena il dramma:

Quelle vergini che erano con lei gli risposero: «Noi sappiamo che nessun uomo l’ha mai toccata. Sappiamo che in lei l’integrità e la verginità sono state custodite con immacolata perseveranza. Infatti restò sempre in preghiera con Dio. Ogni giorno riceveva il cibo dalle mani di un angelo. Se vuoi ti manifestiamo il nostro pensiero: nessuno la può aver messa incinta se non un angelo di Dio». Rispose Giuseppe: «Perché volete che io creda quanto voi mi dite, e cioè che l’abbia ingravidata un angelo di Dio? È vero, anche questo può accadere. Ma un angelo di Dio santifica la persona che ingravida, a costei non resta corruzione alcuna, nessuna contaminazione… è l’espressione della parola divina. E se qualcuno si fosse finto, in modo credibile, un angelo per ingannarla?

Trattenete il respiro per il commento di Biglino, che addirittura si commuove:

Devo dire che la parte finale è meravigliosa: si può essere più umanamente concreti di così? Chi lo avrebbe mai detto!?

Ivi, 144

L’“esegeta” sembra non essere sfiorato dal sospetto che il testo risponda con dottrina ortodossa alla domanda di un ipotetico lettore proprio mentre l’anticipa: “E se fosse stata ingannata?” è infatti domanda naturale in chiunque ascolta il racconto canonico dell’annunciazione, mentre “È l’espressione della parola divina” è la risposta ortodossa del credente cristiano (peraltro già con un piccolo embrione di Logostheologie). Ma forse così non viene bene, il gioco delle tre carte.

E che diremmo, allora, se andassimo avanti nelle pagine di quello stesso scritto apocrifo e arrivassimo al picaresco referto ginecologico dell’ostetrica Zachele (un altro nome teoforico! Senza dubbio era un’aliena anche lei!), che avrebbe visitato Maria a Betlemme proprio dopo il parto?

Avendo Maria permesso di essere visitata a lungo [non è che le ha dato un’occhiatina fugace, eh, N.d.R.], l’ostetrica a gran voce esclamò: «O Signore, gran Dio, abbi pietà! Poiché non si è ancora mai udito né visto né sospettato che le mammelle siano piene di latte e il nato maschietto dimostri che sua madre è vergine. Nel nascituro non vi fu alcuna contaminazione di sangue, nessun dolore apparve nella partoriente. Ha concepito vergine, vergine ha partorito e, dopo aver partorito, rimase vergine».

[69]

E se vorrete andrete da voi a leggervi il seguito, quando Zachele narra a Giuseppe nel dettaglio come mentre visitasse la Vergine tutti gli elementi del cosmo si fossero arrestati d’incanto (pare Fermarono i cieli di Sant’Alfonso!): questo passaggio l’ho citato non solo perché mostra l’evidente intenzione dossologica del testo, ma anche perché risponde alla questione della contaminazione sollevata poco prima da Giuseppe (ovvero dall’immaginario interlocutore dell’autore). Non c’è alcuna contaminazione, l’imene della madre è intatto e il bambino non è neppure sporco di sangue.

Questo passaggio sarebbe davvero prezioso, dal punto di vista della storia del dogma: permetterebbe infatti di osservare che nel Sitz im-Leben del testo le angosce docetiste erano già tanto indebolite da non temere lo spettro di un corpo evanescente del Salvatore. Certo, ne potremmo parlare se stessimo studiando cose serie, invece stiamo solo confutando una valanga di grottesche assurdità.

Paperelle al Luna Park, come dicevo tempo fa: puoi abbatterle tutte ma tutte si rialzano, è solo un trastullo per spillare denaro ai passanti. E sarebbe forse ingeneroso trasportare tout court su Biglino la similitudine: mentre al tiro a segno qualche abilità si sviluppa, in questo caso invece si produce contestualmente anche un inquinamento delle capacità critiche, un annebbiamento del senso storico e (last but don’t least) uno smorzamento delle virtù teologali.

Voglio chiudere con un balzo in avanti e uno all’indietro, nelle pagine del libro: il primo dovrebbe far sorridere, il secondo potrebbe spegnere ogni sorriso (e magari accendere la consapevolezza finale). Nelle schede grigie a conclusione dei paragrafi Biglino insinua che, a somiglianza del don Giovanni mozartiano, quel mandrillone extraterrestre di “un Gavriel” sarebbe arrivato a Maria dopo aver già ingravidato la vecchia sterile Elisabetta (anche quello un nome teoforico! L’alieno è andato con l’aliena?).

Tra la vicenda di Miriam e di Elisabetta si riscontrano molte concordanze.

Gabriele è l’attore e il motore delle vicende: è colui che porta l’annuncio.

Miriam e Zaccaria sono turbati al suo arrivo.

Entrambi vengono avvertiti del fatto che il “concepimento” sarà speciale.

Entrambi si sentono fare la promessa di avere un figlio che svolgerà una missione importante.

  • Quale compito ha svolto Gabriele nelle due vicende?
  • Si è limitato ad annunciare?
  • Se teniamo conto di quanto scritto nei testi apocrifi, possiamo ipotizzare che il suo “intervento” sia stato molto più concreto?

E dopo questa staffetta di insinuazioni e di fallacie, da bravo giocatore delle tre carte, Biglino pronunzia il fatidico “fate il vostro gioco, signori”:

Impossibile saperlo con certezza, ma conoscendo la facilità con cui gli Elohim intervenivano presso le donne delle famiglie che a loro interessavano, non possiamo escludere del tutto l’ipotesi che questo “Ghever-di-un-El, Gavriel” abbia fatto di più che portare una semplice informazione.

Ivi, 151

Ritira svelto la mano, il Nostro, ma il sasso è ancora fermo in volo: dunque “questi Gavriel” sono degli assatanati sessuali e fanno complimenti alle vergini “piacenti”… ma vanno con le vecchie? E il lettore è così stordito da tante assurde chiacchiere da non rendersi neanche conto che – pur procedendo il capitolo primo del Vangelo di Luca per stretta associazione delle vicende di Giovanni e di Gesù – Gabriele non ha alcun contatto con Elisabetta. Anzi, il testo precisa che il computo dei sei più tre (dunque nove) mesi della gestazione di Giovanni comincia da quando Zaccaria, una volta terminato l’ufficio liturgico, se ne torna a casa dall’anziana coniuge.


SAINT JOHN THE APOSTLE MAURO BIGLINO SAINT PAUL
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Ma il segno è stato già passato: Biglino può dire qualunque assurdità ai suoi seguaci, tanto è l’imbonimento cui li sottopone. Vorrei però mostrare una pagina (questa la inserisco in fotografia altrimenti non sarei creduto) che mostra una “formidabile” nota attribuita al già ricordato Luigi Moraldi.

Mauro Biglino, Antico e Nuovo Testamento, libri senza Dio, p. 142

Incredibile: un vero conoscitore dei testi giudeo-cristiani antichi dice le medesime cose di Biglino! …O forse no? Di solito do per buone le citazioni della letteratura secondaria: sia perché tra studiosi seri si fa così (e già questo doveva mettermi in guardia) sia perché è impossibile controllare tutto (e nella fattispecie il fatto che Biglino non indichi le pagine dei libri a cui si riferisce non aiuta – ma per amore della verità facciamo anche qualche straordinario…). Ebbene, questa è la nota del testo “citato” e attribuito a Moraldi. Ho controllato il testo su tre versioni del libro, compresa quella del 1986 citata da Biglino. A stento un nono del testo attribuito al grande filologo è veramente suo. E a questo punto non posso credere a un errore di formattazione, come se fosse stato l’editor della Uno Editori a lasciare per sbaglio il paragrafo rientrato. No: come si vede il caporale « è stato inserito prima della parola “Qualche” (e comunque la nota non cominciava così) ed è stato chiuso con » solo dopo l’espressione “poco di buono”, cioè dopo otto buoni righi di parole di Mauro Biglino spacciate per una nota di Luigi Moraldi. Questa è l’onestà intellettuale con cui si trattano i testi moderni sul tavolo delle tre carte di Biglino. Figuratevi quanto potete stare tranquilli con quelli antichi!

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Luigi Moraldi (a cura di), Apocrifi del Nuovo Testamento, 141

Ecco, guardatelo bene: così lavora Mauro Biglino.

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