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Come comportarsi di fronte a tutti gli Alfie Evans o Charlie Gard del mondo?

Famílias de Charlie Gard e Alfie Evans
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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 23/05/18
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Staccare la spina è sempre un fallimento. La morte con dignità, un diritto. La parola agli studiosi

Come comportarsi di fronte a tutti gli Alfie Evans sparsi nel mondo? Seguendo il gelido modello anglosassone o dando la possibilità, nonostante lo stato semi-vegetativo e le gravi patologie di cui soffrono e per cui non c’è cura, di essere accompagnati ad una morte dignitosa?

Intanto Papa Francesco, parlando alla Conferenza internazionale sulla Medicina Rigenerativa promossa dal Pontificio Consiglio della Cultura, in collaborazione con la “Cura Foundation, Stoq e Stem for Life Foundation”, ha lanciato un messaggio molto chiaro a chi pensa che la fredda sentenza di medici e scienziati sia la soluzione al problema.

I limiti della scienza secondo il Papa

ALFIE EVANS CHARLIE GARD

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La Chiesa, ha spiegato il Papa, elogia ogni sforzo di ricerca e di applicazione volto alla cura delle persone sofferenti ma ricorda anche che non tutto ciò che è tecnicamente possibile o fattibile è per ciò stesso eticamente accettabile.

La scienza, ha aggiunto il Pontefice come qualsiasi altra attività umana, sa di avere dei limiti da rispettare per il bene dell’umanità stessa, e necessita di un senso di responsabilità etica. La vera misura del progresso, come ricordava il beato Paolo VI, è quello che mira al bene di ogni uomo e di tutto l’uomo (cfr Lett. enc. Populorum progressio, 14) (Avvenire, 28 aprile)


Alfie Evans e o pai Thomas
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Un’alleanza strategica

Un confronto tra docenti universitari, medici e bioeticisti al Campus Biomedico di Roma su “La lezione di Alfie” – che si è svolto il 23 maggio – ha spiegato perché ad Alfie Evans o Charlie Gard (o a tanti altri casi come loro), bisognava dare una risposta completamente diversa e non limitarsi a “staccare la spina”. 

Il professor Vittoradolfo Tambone, sacerdote e ordinario di bioetica Università presso il “Campus Biomedico” di Roma pone almeno due questioni. «Indipendentemente se era giusto o meno tenere in vita Alfie e Charlie – afferma – si registra nella gestione di questi due casi un fallimento del rapporto tra medico e paziente. Arrivare a dirimere la questione delle cure con l’intervento di un giudice è stata una pagina negativa. Bisogna recuperare una capacità di comunicazione e condivisione, perduta, ripartendo da un’alleanza terapeutica tra paziente, medico, famiglia».



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Il “best interest”

Altro problema irrisolto è quello del migliore interesse per l’ammalato. «Qual è il “best interest” del paziente? Il giudice conosceva Alfie o Charlie? Chi conosceva davvero il “best interest” dei due piccoli, se non la famiglia?», domanda Tambone.

«Attenti ad appellarsi a principi, svuotati del loro vero contesto – ammonisce il docente – e utilizzati come arte retorica o giuridica. Arrogarsi il diritto di conoscere il paziente, quando poi non è così…è come realizzare la profezia di Charles de Foucald: “arriverà un momento in cui lo Stato deciderà sulla vita o morte dei suoi cittadini“. Ma questa è una deriva che non dobbiamo accettare».


Padre Gabriele Brusco e Alfie Evans
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La “Charlie law”

C’è anche un aspetto positivo che emerge dalle vicende di Charlie e Alfie. «In Inghilterra c’è un movimento di forze popolari che chiede una nuova normativa in cui il ruolo della famiglia, nel processo di cura del paziente, sia più incisivo. Quel popolo ha fatto e sta facendo una battaglia con tanta dignità e per questo chiede l’istituzione di una “Charlie law”. Mi auguro che anche l’Italia sappia cogliere i “suggerimenti” che vengono dal popolo».

La litania dell’accanimento terapeutico

Per il professore Gianluigi Gigli, docente di Neurologia presso l’Università di Udine «sembra che l’autodeterminazione vada bene solo quando la scelta è per morire. All’estero – nei Paesi Occidentali e sopratutto in Inghilterra – i genitori sono ormai espropriati della loro potestà: ogni trattamento proposto a paziente come Alfie e Charlie, è automaticamente definito “accanimento terapeutico».



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Morire con dignità

Ma il problema non riguarda solo loro. «Noi conosciamo i casi Charlie Gard, Alfie Evans, Lambert in Francia, perché hanno avuto eco mediatica, ma ce ne sono molti altri in cui viene imposta una “scelta di morte” nel presunto interesse del paziente. Morire con dignità è possibile, ma tra le braccia dei genitori, sotto lo sguardo di chi ti cura e trasmette amore».

Diagnosi certa

Per Gigli, la prassi più corretta doveva seguire tre fasi. Primo, «non tralasciare nulla per arrivare ad una diagnosi che dia certezza sulle cause della malattia. I genitori, prima di tutto, hanno il diritto di sapere se c’è il rischio di mettere al mondo altri figli con le stesse patologie».


PROTEST W SPRAWIE ALFIEGO EVANSA
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Malati terminali

In secondo luogo, prosegue Gigli, «sin dall’inizio, questi bambini sono stati definiti “malati terminali”, senza nessuna certezza sulle reali aspettative di vita: chi ha stabilito che non avrebbero potuto vivere per un determinato periodo di tempo?».

«La terza fase – conclude il docente universitario – doveva prevedere un atteggiamento giudiziario diverso: decidere per conto terzi quale strada sia la migliore per il paziente è stato un errore che non si dovrebbe mai più ripetere».

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