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In colombia è pericoloso anche celebrare un funerale, ma la casa di Dio resta aperta

COLOMBIA, GIOVANI, MESSA
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Fraternità San Carlo Borromeo - pubblicato il 10/05/18
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Storia di Nicolas, ucciso per vendetta: il suo funerale poteva degenerare in violenza, invece ha ricordato a tutti che Dio attende di riabbracciare in cielo ogni suo figlioDi Matteo Invernizzi

Normalmente, nella nostra parrocchia di Bogotá, Nuestra Señora de Las Aguas, non si celebrano funerali: le agenzie funebri preferiscono che tutto avvenga vicino al cimitero per ridurre i tempi del trasporto… Nonostante questo, un giorno mi chiedono di celebrare le esequie di un giovane del quartiere. Cerco di raccogliere informazioni e scopro che Nicolás era stato ucciso per vendetta, perché il fratello, poco più che ventenne, aveva assassinato un altro giovane del quartiere vicino.


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Un’ora prima della messa la piazza della chiesa è già colma di giovani, con le loro moto e le giacche di pelle. Si stringono attorno al feretro, gridano, scattano selfie. Poco lontano, una camionetta della polizia accompagna il fratello carcerato e la famiglia si scaglia urlando contro i poliziotti cercando di aprire le porte del furgone. Quelli dell’agenzia funebre mi pregano di iniziare subito la messa per evitare disordini e si ritirano rapidamente. La sacrestana mi incoraggia consigliandomi, nel caso inizino a sparare, di chiudermi nella sacrestia. In questo clima surreale, non riesco a vedere altro che gente smarrita, stordita dal dolore, dall’ingiustizia, dalla violenza che li ha accompagnati fin da bambini.

Gente che si sfoga con le lacrime e con la rabbia, perché non conosce più le parole per parlare con Dio, per affidargli il proprio dolore.

Esco dalla chiesa per accogliere la bara: alla vista del sacerdote, per di più straniero, avvolto nei paramenti viola, si fa il silenzio. Approfitto del momento per riportare l’attenzione di tutti sul mistero che stiamo celebrando: Nicolás ritorna alla casa del Padre, quella casa in cui è entrato il giorno del suo battesimo e da cui si è poi allontanato, che non ha mai smesso di essere la sua casa e dove il Padre sempre lo ha aspettato per riabbracciarlo. Proprio all’inizio della celebrazione delle esequie, c’è una bellissima preghiera che sottolinea il legame tra battesimo e morte; ad essa segue il rito dell’aspersione. Così, con gesti solenni, aspergo abbondantemente la bara mentre mi commuovo pensando a quanto il Signore abbia desiderato riabbracciare questo figlio, e come desideri fare lo stesso con tutti i giovani che sono qui.


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Da quel momento, la cerimonia prende un’altra piega. Non mancano gli amici che, a turno, sollevano il coperchio per un’ultima foto, ma c’è rispetto e attesa, davanti alla presenza di un mistero più grande.


Dopo la comunione, le guardie portano il fratello ammanettato perché dia l’ultimo saluto. Mentre percorrono tutta la navata della chiesa sotto lo sguardo duro dei presenti, cade il silenzio. Lo aspetto davanti alla bara, gli chiedo il suo nome e se può ricevere la comunione. Con lo sguardo basso, quasi con vergogna, mi dice di no. Allora gli chiedo il permesso di dargli una benedizione: questa volta alza lo sguardo, mi ringrazia. Lo benedico, poi lo abbraccio e lascio che saluti per l’ultima volta il fratello.
La cerimonia si conclude rapidamente e tutti i ragazzi sciamano fuori dalla chiesa, in un turbine di moto, motorini e clacson per accompagnare il loro amico al cimitero. Da solo, nel silenzio della chiesa, penso con gratitudine che è bello che gli uomini ancora sappiano che c’è una casa dove qualcuno li aspetta e dove sempre possono ritornare, non fosse altro che per un ultimo saluto.
(I nomi utilizzati in questo articolo sono di fantasia)

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