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Un incidente sul campo da rugby: la 18enne Rebecca ora gioca nel Campionato del Cielo

REBECCA BRAGLIA, RUGBY, MADONNA
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Annalisa Teggi - Aleteia - pubblicato il 04/05/18
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Morta per un colpo alla testa senza colpa di nessuno, da subito il padre ha guardato la tragedia con gli occhi della Fede: “Ora è nella Casa del Padre e prega per noi”

Quando vedo mio figlio girare per casa con gli occhi incollati al cellulare, spontaneamente monta in me un certo nervosismo. Richiamo Michele con veemenza: basta! E lui anziché arrabbiarsi come al solito, viene da me triste e mi dice: «È la chat del rugby, guarda mamma».

Scorro velocemente i messaggi e vedo parole strane: preghiera-miracolo. Non è la solita conversazione a suon di parolacce e scherzi. Intanto Michele mi parla: «Mamma, domenica durante una partita della nostra squadra femminile, un’avversaria ha battuto la testa e ora è in coma. Chiedono preghiere perché accada un miracolo e si salvi».


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Abbiamo saputo così di Rebecca Braglia, ed è stato un colpo al cuore. Sì, perché il rugby è una grande famiglia; mio figlio ci gioca da 5 anni e devo sempre veicolare all’esterno un messaggio chiaro: non è uno sport «cattivo». È di contatto, duro, sporco, muscolare; ma non c’è violenza malvagia. Anzi. Proprio perché il gioco prevede un corpo a corpo massiccio, la lealtà e il rispetto delle regole sono valori imprescindibili. Non mi stancherò mai di dire quanto mio figlio, grazie al rugby, ha imparato l’affiatamento, la condivisione, il supporto con i suoi compagni … e non le spinte, la cattiveria, la competizione brutale.

Dunque il tragico evento che ha colpito Rebecca, giocatrice del Colorno Rugby di Parma, è stato un incidente di cui non è colpevole nessuno, neppure il rugby come sport. Lo afferma con chiarezza il padre, Giuliano Braglia:

«Non ci sono colpe particolari e tutto è avvenuto nell’ambito di un normale scontro di gioco. Da Ravenna l’hanno portata domenica pomeriggio all’ospedale Bufalini con l’eliambulanza, l’hanno sottoposta a due ore di intervento chirurgico. I medici l’hanno operata solo perché aveva 18 anni e tanto era grave la lesione» (da Il Resto del Carlino).

Il fatto è avvenuto domenica scorsa a Ravenna nel corso di una partita della Coppa Italia femminile: un colpo forte alle testa; Rebecca è rimasta in coma e poi è deceduta nella giornata di mercoledì.


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Gli occhi più giusti attraverso cui guardare questa vicenda sono quelli di suo padre Giuliano Braglia, che fin da subito ha messo in relazione la terra e il Cielo. Non ha guardato la tragedia che lo stava colpendo – all’improvviso! – con il viso basso, ma con la confidenza di chi osa giudicare un dolore alla luce della vita eterna. Spontaneamente ho pensato a lui con le parole del salmo:

Beato l’uomo che retto procede
e non entra a consiglio con gli empi
e non va per la via dei peccatori,
nel convegno dei tristi non siede.

Nella legge del Signore
ha riposto la sua gioia;
se l’è scritta sulle porte
e la medita di giorno e di notte.

Non siede nel convegno dei tristi e ha riposto la sua gioia nel Signore. È possibile fare un’esperienza simile quando, come un ladro di notte, un incidente ti porta via una figlia? Leggere i messaggi pubblicati da papà Giuliano su Facebook, per condividere prima la degenza in ospedale e poi il lutto, significa – per noi spettatori – ammirare una volta di più una famiglia che fa della fede non tanto il pretesto per affrontare l’inaffrontabile, ma proprio il fondamento nutriente della vita:

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Dal momento immediatamente successivo all’incidente, il signor Braglia affianca la foto di Rebecca sul campo da rugby, sporca di fango, a quello della Madonna. Ma non è un pro-forma in un caso disperato. La preghiera, infatti, trasforma in offerta ciò che accade nelle ore drammatiche successive: il coma e una lotta tenace tra vita e morte.

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E poi la morte, arriva. Eppure lo sguardo è già altrove, mentre – immaginiamo – ogni fibra del corpo piange di una sofferenza dura. Il cuore non vede finita la parabola di questa giovane ragazza, studentessa di liceo e molto legata alla sua parrocchia di Reggio Emilia; la vede già all’opera nel regno dei Cieli:

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Caro Giuliano, la ringrazio della testimonianza che ci sta dando in questi giorni. È un mistero stupendo e terribile quello che vediamo incarnarsi nella sua famiglia: il seme che morendo dà frutto. Ce lo ripeteremo tutte le volte che lo vedremo riaccadere, perché la nostra fede è una creatura viva e non un soprammobile impolverato. Lei è stato il primo a indicarci questa ipotesi, la morte di Rebecca sta dando frutti proprio lì dove la sua vita è nata e cresciuta:

«Rebecca sta già rispondendo alle preghiere di tutti. In questi giorni ho visto gente che non si parlava, tornare a parlarsi. Rebecca è accanto a noi e qualcosa del suo corpo mortale aiuterà chi ha bisogno a continuare a vivere».

La vostra parrocchia è dedicata ai Santi Filippo e Giacomo, la cui commemorazione cadeva proprio ieri, primo giorno dell’assenza di sua figlia da noi e primo giorno pieno di vita tra i Santi: azzardo troppo se dico che l’abbraccio, che la sua famiglia sentiva ogni domenica alla messa, ha voluto rendersi così palese ai nostri occhi mortali perché fosse chiaro che Rebecca – come dice lei – ora gioca nel campionato dei Cieli?

È un segno per noi. Lampante. Non siamo abbandonati, anche nell’ora più buia. Ed è un segno per i giovani, proprio come ci suggerisce il documento in preparazione al Sinodo dei giovani«Le singole storie delle persone che hanno fatto parte della Chiesa sono vie efficaci di evangelizzazione, in quanto sulle esperienze personali non si può discutere».
Lascio come congedo ai nostri lettori il suo ultimo messaggio, caro Giuliano, e la ringrazio di nuovo per questi suoi occhi spalancati e anche già proiettati a tendere una mano a chi ancora lotta tra la vita e la morte:

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