Sotto i riflettori va in scena un siparietto volgare, in un piccolo campo di provincia Nicolò (13 anni) dà una lezione di fair play a tuttiIl gioco è un’esperienza educativa importante per i nostri figli; il calcio è lo sport nazionale e diventa ricettacolo di fanatismo, isteria, brutalità.
Come far sì che il primo dato influenzi virtuosamente il secondo?
Tre giorni alla settimana frequento le palestre dove i miei figli fanno attività sportiva, nei week-end mi siedo a bordo campo per seguirli nei tornei. Conosco maestri veri che con una palla (ovale, nel nostro caso) in mano sanno trasmettere ideali di vita; sono diventata amica di molti genitori e adoro gli sfoghi reciproci che facciamo fuori dagli spogliatoi (in attesa di docce lunghissime…), basta una battuta per condividere il peso che senti sulla testa e sulle spalle più o meno alle venti di ogni giornata.
Ho imparato che talvolta si palesa una forma deviata di essere umano – nella maggior parte della sua vita è un papà o una mamma normale, bravo, lavoratore – che diventa una bestia non appena suo figlio è in campo: aggredisce, insulta, urla. Forse sfoga così tanti grovigli accumulati, fatti di stress – stanchezza – insoddisfazione; forse sfoga così – cioè male – il desiderio di vedere subito, di botto quel che batte nel suo cuore: ogni figlio è bravissimo e perfetto agli occhi di chi lo cresce. Ed è vero.
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Segnare un gol, fare meta, fare un tiro da tre punti, dribblare bene un avversario, correre via con la palla in mano; sono gesti in cui trapela tutta la nostra attesa di compimento: farcela, raggiungere un traguardo, portare a termine bene un progetto. Ma sono solo segni; sono piccoli barlumi da guardare con ammirazione e senza venerazione.
La spinta di un avversario, un fallo pesante, una calcio dato senza che l’arbitro veda, sono tutti gesti rappresentativi delle obiezioni che ci ostacolano il cammino. Fanno parte del viaggio in un mondo che non è il paradiso. Anche questi sono segni, occasioni per mettere a fuoco i limiti della cattiveria reciproca; sono da giudicare, non sono pretesti di una guerra mondiale.
Quando mio figlio maggiore esce di casa con una palla sottobraccio e va al parco, è sicuro che là troverà un qualche sconosciuto ragazzo che si metterà a giocare con lui: da qualche passaggio nasce il pretesto per scambiare due parole e conoscersi. Un’intesa breve, mezz’oretta di gioco libero ed esaltante e qualche urlo di entusiasmo copiando i grandi campioni … ci sta.
Ma copiano solo questo i nostri ragazzi? No. Spesso e volentieri diventano la riproduzione in miniatura della nostra aggressività esalata, mentre li guardiamo dagli spalti in un microscopico torneo comunale e crediamo di stare all’Olimpico. Sulle loro bocche gli insulti volgari e certi triti commenti pesanti sull’arbitro stanno storti, sono vestiti inadatti al loro entusiasmo fresco. Eppure anche a 10 anni, li vedi in un campetto di quartiere con la loro bella divisa a cadere con le esatte pantomime finte che fanno le star della serie A. E gli avversari giù a reagire nello stesso modo con cui vedi i grandi campioni bestemmiare all’arbitro con i denti digrignati e gli occhi sbarrati. Uno spreco di energie, nient’altro.
Si sta consumando in questa giornata un confronto mediatico di gran classe tra il comico Maurizio Crozza e il difensore della Juve Benatia: tutto è partito da un’affermazione fuori luogo dello juventino, che ha paragonato l’assegnazione di un certo famigerato rigore a uno stupro. È evidente che il paragone è inappropriato. Che messaggio arriva ai nostri ragazzi? Che il gioco è una faccenda così pesante?
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Ebbene, per un comico ascoltato da milioni di persone poteva essere un’ottima occasione di prendere letteralmente la palla al balzo e dare una lezioni a noi adulti, tutti CT della nazionale, tutti creativi creatori di insulti, patetici aggressivi da novantesimo minuto. Maurizio Crozza ha peggiorato nel modo più brutto possibile la situazione, rivolgendosi a Benatia con una battuta sul doppio senso della parola «fallo», augurandogli di avere esperienze sessuali dolorose. Ha tirato fuori una volgarità inutile, a cui il calciatore ha reagito con varianti ancora più schifose sul tema.
Grazie. Ce lo saremmo risparmiato.
La legge del taglione con scenografia sessuale appartiene alla più triste istintività bestiale. Però, facendo lievitare tutta la rabbia repressa che abbiamo, si espande facilmente e qualunque ragazzo con un cellulare in mano può godersi lo spettacolino tristemente violento di questi due personaggi famosi. Non basta dire: speriamo che non prenda esempio da loro. Personalmente, ne parlerò coi miei figli proponendo un esempio positivo che mi azzardo a portare all’attenzione del comico nazional-popolare.
L’ironia è una cosa fantastica, signor Crozza. È capace di generare lo stupore che allarga il cuore; «ridi e fatti forte» disse Sant’Ignazio. L’ironia è divina perché è in grado di rovesciare un punto di vista in modo che la verità diventi stupenda come un fuoco d’artificio. E qual è la verità dietro la faccenducola insignificante del rigore che ha tanto indignato gli juventini? Che un’ingiustizia brucia, perché siamo fatti – non tanto per vincere – ma per la chiarezza di vederci veri fino in fondo. Fuori dal campo, nella vita intendo.
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Senz’altro anche un campo di calcio può dare l’esempio, ma nella direzione giusta. Quindi, caro signor Crozza lei ha sprecato una grande occasione di fare un gol pazzesco in rovesciata. La battuta infelice di Benatia poteva rovesciarla nell’esempio che viene da un piccolo campo di provincia, senza canali televisivi collegati: Nicolò ha 13 anni e ha sbagliato di proposito un rigore. Non se la sentiva di segnare punti per un fallo inesistente, quindi ha tirato fuori il colpo dagli 11 metri. Dimostra che dietro di lui c’è un lavoro educativo fatto nel modo più entusiasmante possibile, quello che indica come traguardo la felicità dell’atleta: dare tutto di sé, con la forza del corpo, l’intelligenza della testa e l’assist della coscienza.
Credo che Nicolò abbia provato una gioia vera, più autentica di quella che lo sbruffone sente usando delle scorciatoie. È la gioia allegra e festosa del fare la cosa giusta, dello stare dalla parte del bene. È quello che ci aspettiamo dal gioco.
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