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Hai paura di morire? Anche io, ma ho scoperto che sono davvero amata

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Un’esperienza comune e intima che non perderà mai la propria carica drammatica: la paura della morte, anche per chi crede. La nostra speranza, che è veritiera, ci permette di attraversare questa valle oscura con la certezza di essere amatiPer un sacco di tempo mi sono detta che io no, non avevo paura di morire. Che siccome ero cattolica, ero serena sull’argomento. Poi mi sono resa conto che non era vero: in realtà un po’ facevo la spaccona, un po’ rimuovevo il pensiero, come credo faccia la maggior parte delle persone. È troppo grande per essere contenuto dalla nostra mente, questo pensiero.

Un corpo chiuso dentro una cassa, gli occhi che non vedono più le persone amatissime, l’immobilità, tutto quello che abbiamo toccato, costruito, plasmato, letto, sottolineato, posseduto che rimane qui, senza di noi, che invece ce ne andiamo (cioè, devo andare via senza borsa? E per l’eternità?). Hai voglia a dire che la fede ti spiega tutto, che rimette a posto, che ti dà la certezza di risorgere. Anche perché se credi davvero, sai che di risorgere puoi avere la speranza, non la certezza; sai che non te la meriterai mai questa cosa, ma potrai solo chiederla alla misericordia di Dio.

Insomma, la morte è una cosa grossa, enorme, e io ne ho paura. È una cosa grossa per tutti. È per questo che il fatto che quel sepolcro fosse vuoto ha segnato l’anno zero della storia del mondo. È per questo che con quel fatto tutti ci facciamo i conti: o ci crediamo, oppure non ci crediamo, e quindi quel bel tipo carismatico e pieno di belle idee era però anche un bugiardo che diceva che sarebbe risorto, ma poi invece è morto, si vede che qualcuno ha rubato il suo corpo, come hanno detto le autorità a Gerusalemme, pagando i soldati di guardia perché diffondessero la balla.

Io ci credo che è risorto, ma non è che questo mi abbia tolto automaticamente la paura della morte. E soprattutto, cosa vuol dire alla mia vita quella notizia, che il sepolcro era vuoto?



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Qualche tempo fa ho fatto una mammografia di controllo (con solo un annetto di ritardo, dai, potevo fare di peggio). Dopo l’esame la dottoressa che doveva darmi il referto mi ha detto che c’era qualcosa che doveva vedere meglio, e mi ha chiesto di mettermi in una sala d’aspetto dell’ospedale. I minuti passavano, diventavano quarti d’ora e poi un’ora. Non avevo idea di cosa fosse quello che era da vedere meglio. I medici devono comportarsi come persone serie, e non possono dire cose simpatiche come “dai, aspetta qui, ma stai tranquilla che comunque al 100% non è niente”. Poteva essere anche un tumore grande come un’albicocca per quanto ne sapevo io (non molto di più perché porto la priva di reggiseno, copyright Elio), e potevano rimanermi due mesi da vivere. Be’, un tempo sarei morta di ansia, invece quel giorno di quasi sei mesi fa, è successo un piccolo miracolo. Ho cominciato a pregare, come faccio sempre per riempire il tempo dell’attesa, e di solito mi distraggo. Quella volta però, mentre aspettavo la mia sentenza di morte oppure una bella pacca sulla spalla, incredibilmente, piano piano, ripetendole, sono riuscita a dire davvero le parole “sia fatta la tua volontà”.

E ho pensato, ho davvero, ma davvero avuto la certezza che Dio mi ama. E ho capito che quello che vorrà per me, sarà il meglio. Ero incredibilmente contentissima in quel momento. Ho sperimentato che, se non si può superare la paura della morte (chi dice di non aver paura il più delle volte rimuove), si può però avere la certezza di essere amati, e forti di questo amore si può attraversare anche una valle oscura, “non temerei alcun male, perché tu sei con me”. Sarà una valle oscura, ma si potrà attraversare in qualche modo, in braccio a qualcuno.

Sono grata a quella dottoressa molto precisa, e anche alla sua scarsa loquacità, molto professionale, perché è stata l’occasione perché trovassi una via per passare attraverso la valle oscura. Non guardare il male, ma l’amore di Dio per noi. Nel sepolcro Gesù è risorto. Ha accettato liberamente di morire nel modo più doloroso e umiliante, e da quel momento è entrato nella vita eterna anche col suo corpo mortale.

È lo sguardo attraverso il quale guardare ogni male, ogni morte quotidiana, il nostro sepolcro che è il luogo nel quale incontriamo la risurrezione: quella fatica nel lavorare, quel figlio che proprio ti delude e sembra contraddire tutto, ma esattamente tutto quello che ti sembrava di avergli insegnato, quello spaesamento nei confronti di un pastore che ti sembra di non capire, quel dolore fisico, quella malattia di un figlio, quella moglie a cui sembra non andare bene niente di te, quel marito che pare non avere mai un gesto di delicatezza nei tuoi confronti, quei soldi che non bastano mai. È lì che Dio ti viene a prendere e ti porta in un’altra vita, con la sua potenza che ci fa diventare “partecipi della natura divina, sfuggendo alla corruzione”, come dice nella seconda lettera Pietro, un altro che pure all’inizio non ci aveva capito molto.



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Non è una sfortuna, ma il luogo in cui possiamo incontrarlo. Un luogo prezioso, privilegiato, il luogo della conversione e del passaggio a un’altra vita. E’ vero, a volte siamo tentati di guardare a Dio secondo le categorie umane, e quindi di considerarlo un erogatore di favori – dal procacciatore di parcheggi al guaritore – ma tutto il Vangelo è il racconto del suo paziente lavoro su di noi, per cambiare la nostra immagine di Dio. Per spiegarci che il limite, quello che non ci accontenta, quello che ci addolora non è una fregatura ma una custodia. Comincia dalla Genesi questo lavoro, ed è un lavoro lungo migliaia di anni, perché l’uomo lo possa davvero interiorizzare. L’unica volta che davvero si arrabbia è con i mercanti, quelli che con Dio sono in questa modalità pagana dello scambio, del guadagnarci qualcosa. Secondo questa mentalità certo lui sarebbe uno a cui è andata malissimo, un povero fallito.

Il nostro sepolcro sono questi pochi soldi, questa fatica con i figli o questi figli che non arrivano, questa mancanza a volte lancinante di qualcosa che solo lui può colmare, questo grigiore e questo anonimato, oppure questo non essere mai abbastanza. La buona notizia è che siamo amati, e che lì, nel Sepolcro lui ci aspetta.

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