Le scoperte archeologiche svelano il significato nascosto nel contesto scritturale e culturale della BibbiaPadre Charles K. Samson è un sacerdote dell’arcidiocesi di St. Louis (Missouri, Stati Uniti) e autore di quella che descrive come una “guida portatile che unisce archeologia, Scrittura, storia delle origini cristiane, teologia, preghiera” e la sua esperienza in Terra Santa. Un’impresa a dir poco impegnativa.
Padre Samson sembra la persona giusta per intraprenderla: ha un baccalaureato in Teologia Sacra conseguito presso la Pontificia Università Gregoriana e una licenza in Sacra Scrittura del Pontificio Istituto Biblico di Roma, e mentre le conseguiva ha studiato lingua, storia e archeologia presso l’Università Ebraica di Gerusalemme. Dottorando presso il dipartimento di Teologia Biblica della Pontificia Università Gregoriana, attualmente padre Samson aiuta a guidare il ritiro e pellegrinaggio in Terra Santa del seminario di Kenrick-Glennon e offre a tutti coloro che sono interessati una Catholic Guide to the Holy Land (Guida Cattolica alla Terra Santa), un libro scritto non solo per i pellegrini, ma anche per i cattolici che vivono nella regione. Tutti i proventi dalla vendita del testo vengono consegnati al seminario del Patriarcato Latino di Beit Jala, in Palestina.
In genere si pensa che l’archeologia biblica sia collegata agli scavi in Israele, la Terra Promessa, ma uno sguardo più attento potrebbe rivelare che la Terra Santa è composta anche da altri territori (Siria, Giordania, Libano, Palestina, Iraq…). È d’accordo sulla necessità di distinguere la Terra Promessa dalla Terra Santa? È una cosa che ritroviamo nel suo libro?
Sono d’accordo con una differenziazione di questo tipo, anche se ovviamente con alcuni caveat. La terra dell’antica Canaan – ovvero la Terra Promessa, che i Romani chiamarono “Palestina” – è quella che Dio mostrò a Mosè dalla cima del Monte Nebo (Deuteronomio 34, 1-3). Nella terminologia odierna, ciò vorrebbe dire che Mosè vide tutte le distese che appartengono sia allo Stato di Israele che all’Autorità Palestinese. La terra di quest’ultima è in genere chiamata “West Bank” perché è situata a ovest del fiume Giordano. Attualmente, se si sale sulla cima del Monte Nebo (situato in Giordania) e si guarda a est si possono vedere, con un panorama davvero spettacolare, le distese di terra che vanno dal Mare di Galilea verso sud, fino al Mar Morto. È questa la terra di cui il Signore parlò a Mosè: “Questo è il paese per il quale io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: Io lo darò alla tua discendenza. Te l’ho fatto vedere con i tuoi occhi” (Deuteronomio 34, 4).
Bisognerebbe sottolineare alcuni aspetti della questione. In primo luogo, molti pellegrini identificano la “Terra Promessa” semplicemente con Israele, che associano inconsciamente con il moderno Stato di Israele. Facendo questo, trascurano inconsapevolmente il fatto che attualmente parti della terra promessa da Dio agli ebrei consistono in territori appartenenti all’attuale Palestina. Penso che quando si è in pellegrinaggio sia quindi meglio parlare di “Terra Promessa” o di “Terra dell’Antico Israele”, piuttosto che chiamarlo semplicemente “Israele”. In secondo luogo, poi, si dovrebbe fare una distinzione tra “Terra Promessa” e “Terra Santa”, perché la “Terra Santa” si estende oltre i territori dell’antica Canaan per includere parti di quella che oggi è la Giordania, situata sul lato orientale del fiume Giordano (da cui deriva il nome del Paese). Il fatto che questa terra dovrebbe essere inclusa nella definizione “Terra Santa” si vede, tra le altre cose, il fatto che come leggiamo nelle opere dello storico della Chiesa Eusebio si pensa che i cristiani ebrei che vivevano a Gerusalemme abbiano abbandonato la Città Santa prima che Tito la desse alle fiamme, emigrando oltre il fiume Giordano per vivere a Pella, che faceva parte di una regione della Terra Santa chiamata “Transgiordania” (perché era “dall’altro lato”, in latino “trans”, del fiume Giordano).
Tutte le immagini di questo slideshow sono state gentilmente fornite da padre Samson.
Per ricapitolare, ecco quello che dovremmo trarre da questa discussione: per “Terra Promessa” dovremmo intendere la terra dell’antica Canaan / la “Palestina” romana / l’attuale Stato di Israele e l’Autorità Palestinese… questi tre elementi sono più o meno sinonimi; per “Terra Santa” dovremmo intendere la Terra Promessa e le sezioni di terra al di là del fiume Giordano e situate in quella che oggi è la Giordania. Queste considerazioni si ritrovano nel mio libro, che contiene anche delle mappe e dei diagrammi di accompagnamento che spiegano come tutta la Terra Santa sia stata delineata soprattutto all’epoca di Gesù.
Quale ritiene che sia stata la scoperta più importante dell’ultimo secolo? Forse qualcosa di collegato all’apertura e al restauro del Santo Sepolcro?
Le scoperte più importanti dell’ultimo secolo sono sicuramente quella dei Rotoli del Mar Morto vicino Qumran e quelle recenti collegate all’apertura e al restauro del Santo Sepolcro.
Il significato dei Rotoli del Mar Morto è sia linguistico che culturale: linguistico nel senso che questi testi, i manoscritti più antichi dell’Antico Testamento che abbiamo, rivelano importanti prospettive sia per lo studio della critica testuale (quali sono le letture più “originali” dei testi dell’Antico Testamento, quali sono alcune varianti testuali attestate su singoli versetti, quanto le tradizioni o le tendenze testuali vengono trasmesse nel corso dei secoli) che per lo studio dello sviluppo della lingua ebraica nel corso del tempo; culturale nel senso che il contenuto dei manoscritti non scritturali trovati a Qumran, che trattano della vita e delle convinzioni della setta radicale degli Esseni, aprono finestre importanti sulla comprensione e sulle aspettative religiose e societarie (in particolare sulle aspettative messianiche) di una parte significativa della cultura più ampia in cui Gesù ha vissuto ed è stata scritta buona parte dei testi del Nuovo Testamento. Se qualcuno volesse leggere dell’importanza e dell’impatto dei Rotoli del Mar Morto per quanto riguarda le questioni bibliche, raccomanderei i lavori di Gaza Vermes (uno storico ebreo che ha supervisionato anche la traduzione dei rotoli in inglese) e di Emmanuel Tov (studioso ebreo che ha supervisionato la pubblicazione ufficiale della serie delle Scoperte nel Deserto della Giudea) e quelle di questi studiosi cristiani, per la maggior parte cattolici: James VanderKam, John Bersgma, John Collins e Craig Evans, Joseph Fitzmyer e Roland de Vaux.
Le scoperte relative all’apertura della tomba di Gesù sono le altre incredibilmente importanti dell’ultimo secolo. Non molto tempo fa, l’“Edicola” – il termine tecnico per la piccola struttura all’interno della chiesa del Santo Sepolcro su quello che si ritiene da molto tempo sia il punto in cui Gesù è stato sepolto ed è risuscitato dai morti – stava diventando molto debole a livello strutturale per via del passare del tempo e per alcuni terremoti, al punto da rischiare di collassare. Per via di fattori sfortunati e dinamiche ecumeniche complicate, le comunità religiose che occupano la chiesa non sono riuscite a mettersi d’accordo su chi dovesse essere responsabile del suo restauro, o a chi dovesse essere affidato. Il re di Giordania si è allora fatto avanti e si è impegnato a finanziare il restauro dell’Edicola (dovrebbe essere sottolineato che tutta la terra dell’antico Israele, ora divisa tra lo Stato di Israele e l’Autorità Palestinese, apparteneva al Paese della Giordania, che l’ha persa dopo la II Guerra Mondiale combattendo con quello che oggi è lo Stato di Israele), e i lavori si sono conclusi di recente. Ora la tomba è splendida! Tutta la fuliggine all’esterno è stata eliminata, e l’intera struttura è stata rafforzata con dei sostegni. Durante i restauri è stato scoperto qualcosa di notevole sotto l’altare, nella parte più interna dell’Edicola. Sono state infatti trovate due lastre di marmo, una risalente al XII secolo (e quindi posta lì dai Crociati) e l’altra sottostante risalente al IV secolo (posta lì da Costantino, l’imperatore romano che legalizzò il cristianesimo e costruì per i cristiani varie chiese in tutto l’Impero romano). Gli archeologi e i tecnici greci che si sono occupati dei lavori hanno sollevato la lastra del IV secolo e hanno scoperto al di sotto di essa una massa di roccia sulla quale, hanno concluso, venne deposto il corpo di Gesù quando dopo essere stato crocifisso fu posto in una nuova tomba non lontano dal Calvario (cfr. Giovanni 19). Si tratta di una scoperta favolosa, sia di per sé che per il fatto che mostra come le prime testimonianze cristiane relative ai luoghi in cui si erano verificati alcuni eventi della vita di Gesù dovessero essere ritenute ben più credibili di quanto credano gli studiosi più critici e scettici.
In che modo l’archeologia biblica può modificare la nostra comprensione dei testi biblici? Offre chiavi ermeneutiche per svelare alcuni significati “contestuali” nel testo?
L’archeologia biblica offre certamente un contesto concreto che aiuta a spiegare il testo biblico in un modo nuovo e quindi molto illuminante. Offrirò un esempio, riferito alla chiamata di Matteo (Mt 9, 9-13). Non molto tempo fa, il livello dell’acqua del Mare di Galilea è diminuito molto, ed è stata scoperta a Cafarnao una struttura lunga e piuttosto ampia simile a una panca. Secondo gli studiosi, era un banco sul quale venivano raccolte, sulla spiaggia, le tasse su tutto ciò che i pescatori riuscivano a pescare in quelle acque. Una scoperta del genere getta nuova luce sulla drammaticità del racconto della chiamata di Matteo, che Gesù invitò a seguirlo mentre questi era seduto al suo banco delle imposte a Cafarnao. Pensiamoci per un secondo. Sappiamo tutti che gli esattori delle tasse erano odiati dalla maggior parte degli ebrei, non solo perché lavoravano per Roma (e quindi erano promemoria visibili per gli ebrei della loro sottomissione a un popolo e a un potere straniero – quindi impuro) per raccogliere da altri ebrei (e la nazionalità condivisa era solo sale sulla ferita) denaro che contribuiva all’Impero, ma anche perché erano noti per il fatto di essere degli imbroglioni che gonfiavano l’importo dovuto per tenerne una parte per sé. Quando combiniamo questo background degli esattori con la scoperta archeologica del banco per le tasse sul pescato a Cafarnao riusciamo a capire un po’ meglio la drammaticità della scena – nella fattispecie, tra le altre cose, ci vengono dati nuovi indizi sulla reazione che l’azione di Gesù nel chiamare Matteo al banco delle tasse sul pesce deve aver suscitato nel cuore degli altri discepoli. Mettetevi nei panni degli 11 discepoli, che erano tutti ovviamente pescatori: la chiamata da parte di Gesù di un esattore delle tasse perché diventi suo discepolo è già scioccante, e lo è ancor di più il fatto che Gesù stesse chiamando per unirsi al suo gruppo di uomini scelti e intimi colui che imbrogliava quelli che erano già discepoli di Gesù, che dovevano pagare le tasse al Matteo pre-conversione su tutto ciò che pescavano. Wow! Possiamo immaginare che non fossero solo i farisei ad essere indignati per la scelta di Gesù (Mt 9, 11); forse anche alcuni apostoli hanno preso male la chiamata di Matteo, l’esattore delle tasse sul pesce. Quanto dev’essere stato difficile per i discepoli evitare di peccare contro la carità nel proprio cuore con la rabbia (Mt 5, 21-26) o il giudizio (Lc 6, 27-37) nei confronti del loro nuovo compagno di discepolato, prima visto e considerato un nemico personale!
In questo modo, possiamo vedere che l’atto di Gesù di chiamare Matteo non mirava ad avere un effetto di conversione e trasformazione solo sul cuore di quest’uomo, ma anche a espandere il cuore dei discepoli, che non molto tempo prima aveva esortato ad amare i nemici e a sforzarsi di essere “perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 43-48). La misericordia di Gesù nello scegliere e chiamare Matteo – un tema commentato da San Beda il Venerabile e che Papa Francesco ha scelto per il suo motto papale, Miserando atque eligendo – era, come vediamo alla luce di questo nuovo contesto archeologico per il passo di Matteo 9, 9-13, volto a trasformare non solo il cuore dell’ex esattore, ma anche quello degli altri discepoli di Gesù. Quest’ultimo aspetto, anche se si poteva riscontrare (in modo generale, ricorrendo al diffuso disprezzo nei confronti degli esattori) nel passo stesso della chiamata di Matteo, viene rafforzato dalla personalizzazione considerando il brano alla luce della scoperta archeologica a Cafarnao del banco degli esattori delle tasse sul pesce. In questo modo, l’archeologia può essere considerata un modo per modificare la nostra comprensione dei testi biblici offrendo chiavi ermeneutiche che svelano il significato nascosto nel contesto culturale e scritturale di un certo passo della Bibbia.
C’è qualche antecedente alla sua Guida Cattolica alla Terra Santa? Immagino che abbia tratto ispirazione da fonti classiche. Ci sono innumerevoli storie di pellegrinaggio nella letteratura europea – della tarda antichità, del periodo medievale e anche degli inizi dell’età moderna. Ha qualche preferenza?
Sì, ci sono dei precedenti al mio contributo nel campo ristretto delle risorse specificamente cattoliche per i pellegrini in Terra Santa. La scarsità di materiale è stata proprio uno dei fattori che mi hanno ispirato a scrivere il libro. Nel testo mi avvalgo dei contributi dei tre libri principali che trattano il materiale relativo ai pellegrinaggi in Terra Santa – fonti che menziono e commento nella sezione introduttiva intitolata “Come usare questa guida”. Ho usato innanzitutto il testo di Jerome Murphy-O’Connor (OP) intitolato The Holy Land per la maggior parte delle informazioni contenute nel mio libro. Il suo lavoro è davvero ottimo per quanto riguarda la storia e l’archeologia. L’autore è tuttavia molto scettico sulla plausibilità dell’attribuzione di molte storie bibliche ai luoghi che la tradizione cristiana (anche del IV secolo) ha identificato come quelli in cui si sono svolte queste vicende. La sua presentazione, inoltre, oltre al contenere una discussione fin troppo consistente e tecnica sulle informazioni archeologiche per il pellegrino medio, spesso trascura le convinzioni e la prassi della tradizione, e penso che sia minata dalle informazioni archeologiche che credo supportino le stesse tradizioni che mette in ridicolo. Per questo motivo, ho cercato di “saccheggiare” (Es 12, 35-36) dal suo lavoro informazioni archeologiche decisamente acute ma interpretandole per raggiungere conclusioni a volte diametralmente opposte alle sue, grazie al contributo e alla prospettiva della seconda fonte principale del mio materiale, l’opera di Bargil Pixner (OSB) The Paths of the Messiah, un libro che seppur ingombrante da portare e un po’ incline a teorie fuorvianti ed eccentriche – cospiratorie – sull’influenza della setta degli Esseni sul cristianesimo delle origini e sul Nuovo Testamento, è di gran lunga la guida più feconda a livello spirituale e intellettuale che ho trovato. Archeologo – ha scoperto l’attuale città di Betsaida e la Porta Essena a Gerusalemme che lo storico romano Flavio Giuseppe menziona nelle sue storie ma che nessuno aveva ancora trovato –, Pixner conosce e ama anche la storia della pratica della fede in Terra Santa. Per questo cita spesso la storia di Eusebio per raccogliere tradizioni antiche e anche le osservazioni della pellegrina Egeria, che tenne un diario molto curato di tutto ciò che vedeva (soprattutto le pratiche liturgiche) e sentiva (in particolare le tradizioni devozionali locali) mentre era in pellegrinaggio in Terra Santa alla fine del IV secolo. Pixner cita anche le osservazioni del Pellegrino di Piacenza e del Pellegrino di Bordeaux, che si recarono nella terra dell’Antico Israele rispettivamente alla fine del VI secolo e nella metà del IV. Pixner amava quella terra e pregava con essa, e ho trovato la sua presentazione istruttiva ed edificante. In terzo luogo, ho usato il testo di John Kilgallen (SJ) A New Testament Guide to the Holy Land per offrire un’ulteriore prospettiva spirituale relativa ai luoghi di cui parlo. Anche se le sue interpretazioni spiritualizzanti dei testi del Nuovo Testamento sono un po’ prolisse, alcuni dei suoi spunti mi hanno davvero aiutato a pregare bene sui luoghi santi, e allora ne ho inseriti alcuni nel mio libro.
La storia del cristianesimo è collegata fin dalle origini ai pellegrinaggi. È quasi come se le fossero in qualche modo consustanziali (con un gioco di parole). Lo sappiamo ad esempio dai viaggi di Egeria. Direbbe che i pellegrinaggi siano in ascesa o in declino rispetto ad altre epoche? Lo sconvolgimento politico e militare in Medio Oriente sembra aver avuto un’influenza sull’industria del turismo religioso. Come influisce tutto questo sul cristianesimo?
Direi che rispetto ad altre epoche i pellegrinaggi siano in ascesa. Un articolo recente pubblicato sul Jerusalem Post afferma che nel 2017 più di 3,5 milioni di turisti si sono recati in Israele – 500.000 in più rispetto all’anno precedente – e che il numero di pellegrinaggi nel periodo natalizio è aumentato di oltre il 20%. Sicuramente questo dato riguarda anche i pellegrini ebrei, ma possiamo considerarlo un indicatore della crescente popolarità dei pellegrinaggi in Terra Santa al giorno d’oggi. Gli sconvolgimenti politici e militari hanno sicuramente influito sull’industria del turismo religioso – se non a livello numerico, almeno forse nel rendere alcuni pellegrinaggi particolari un po’ più tesi e incerti nella loro dinamica. Ad essere onesti, tuttavia, mi sono sempre sentito sicuro quando ero in pellegrinaggio in Terra Santa. Neanche una volta mi sono sentito minacciato o ho visto la mia sicurezza messa in pericolo. Mi sento più sicuro in Israele, in Palestina, che in molte delle principali città europee scosse dagli attacchi terroristici. Il turismo è una parte così importante dell’economia di Israele e della Palestina che vengono prese molte misure per proteggere i turisti dai pericoli e rendere i loro viaggi e le loro visite piacevoli e gratificanti; l’esperienza di solidarietà con i nostri fratelli e le nostre sorelle nella fede cristiana, specialmente cattolica, nei vari santuari è inoltre una grande fonte di conforto spirituale e assistenza pratica, per non parlare dell’aiuto ricevuto nei luoghi sacri da parte delle comunità religiose – in particolare i Francescani – che li gestiscono. Questo è un buon momento per recarsi in pellegrinaggio in Terra Santa, e spero che il mio libro sia di aiuto al riguardo!
Cosa si può aspettare di trovare nel suo libro chi legge la Guida Cattolica alla Terra Santa? Storie ispiratrici? Dettagli tecnici? Tutto questo?
I lettori della mia guida possono aspettarsi di trovare una presentazione olistica e chiara dei principali siti di pellegrinaggio cattolici, che li aiuterà sia a imparare alcune cose sulla loro fede conoscendo i luoghi santi che a giungere a un apprezzamento più personale, e a un amore, per la storia devozionale della nostra fede. Le informazioni che offro per ogni luogo sono suddivise in quattro categorie – Background Scritturale (cos’è accaduto lì nell’Antico e nel Nuovo Testamento), Storia Archeologica (qual è la storia della pratica della fede in quel luogo, includendo soprattutto edifici e chiese), Questioni Teologiche Sollevate (cosa ci insegnano il luogo e gli eventi biblici che vi si sono svolti sulle verità della nostra fede, e anche quali verità ci insegna quel sito), Spunti di Riflessione (come la realtà e la storia di quel luogo ci aiutano a pregare, in modo informato) – più ulteriori risorse per la consultazione personale sulle questioni sollevate relativamente a ogni luogo. In questo modo, ho cercato di presentare una guida che copra vari punti di interesse con l’obiettivo più ampio, ovviamente, di favorire un nuovo incontro con Gesù di Nazareth e con sua Madre Maria, per promuovere una fede rafforzata. C’è un motivo per il quale San Girolamo si è riferito alla Terra Santa come al “Quinto Vangelo” – la terra stessa ha tanto da insegnarci su Gesù e su chi siamo come cristiani cattolici. Come insegnante e studioso della Scrittura ma soprattutto come sacerdote di Gesù Cristo, mi sono sentito chiamato a favorire questo processo di apprendimento e l’incontro con il Signore crocifisso e risorto, che sono arrivato a conoscere e ad amare molto meglio, molto più profondamente, attraverso le mie esperienze in Terra Santa. Volevo aiutare altre persone a fare lo stesso, e quindi ho scritto questo libro, che spero risulti utile ai pellegrini cattolici in Terra Santa.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]