Non semplici e superficiali, ma serie e sottiliAl di là del famoso versetto di Giovanni 3, 16, il Vangelo di questa domenica (Quarta Domenica d’Avvento, Anno B) è molto strano: Gesù si paragona a uno strano capitolo nella Bibbia riguardante un serpente che viene elevato per salvare gli altri, e poi parla di quanto sia oscuro il mondo.
Le letture domenicali offrono una lezione importante sulle gioie che solo Gesù Cristo può apportare. Non gioie semplici e superficiali, ma serie e sottili – gioie che restano.
La prima gioia è quella della completa accettazione
Consideriamo il famoso versetto: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”.
La gente ama questo versetto, perché non c’è nulla che dia più soddisfazione di essere accettati e amati da qualcuno. Gli esseri umani sono programmati per la comunità, e quando qualcuno ci nota, ci apprezza e ci approva siamo pieni di gioia. Questa sensazione è così forte che tendiamo a cercarla a buon mercato, facendo di tutto per essere accettati in modi superficiali.
L’accettazione amorevole vera e propria è potente non solo perché siamo umani, ma anche perché siamo feriti. Il dolore dei rifiuti, piccoli e grandi, nel corso della nostra vita richiede un prezzo, lasciando la nostra anima insensibile e diffidente, aspettandosi il peggio dagli altri.
In Nicodemo c’è qualcosa di questo. Esce di soppiatto per vedere Gesù, per paura dei suoi correligionari ebrei. Cerca l’amore ma non abbassa la guardia.
Quando ascolta le parole di Gesù ormai famose, queste diventano uno spartiacque.
Per noi è lo stesso: ci danno la gioia dell’accettazione incondizionata dopo che l’esperienza dolorosa ci ha insegnato che l’amore è raro e pieno di delusioni.
La seconda gioia è quella di una guarigione miracolosa
Il Vangelo porta a Nicodemo anche la gioia della guarigione totale e inaspettata. Nella Bibbia, la gente danza e grida di gioia o non riesce a smettere di parlarne quando Gesù la cura. Per noi è lo stesso.
Quando Gesù si paragona al serpente di bronzo elevato da Mosè, Nicodemo sa cosa vuole dire: dopo che la gente aveva mormorato contro Dio era stata flagellata da serpenti velenosi. Lo strano rimedio per il morso di un serpente è stato il fatto che Mosè abbia alzato il segno del tormentatore. Chiunque lo guardasse veniva guarito.
Nicodemo sapeva di quale malattia portata dal serpente soffriva: il peccato originale iniziato nel giardino di Adamo ed Eva. La malattia sarebbe stata curata da Cristo sulla croce, ma per arrivare alla guarigione la gente avrebbe dovuto guardarlo lì sopra. La seconda lettura descrive come funzioni questo fatto.
“Per grazia siete salvati mediante la fede”, dice la Lettera agli Efesini, “ e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio”.
Nulla di ciò che facciamo provoca la guarigione, che deriva dalla “straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù” – e questo è un miracolo.
La terza gioia è quella della vera luce
La terza gioia che apporta Gesù è quella della luce. Il Vangelo dice che Nicodemo andò da Gesù di notte, avvolto nell’oscurità. Capì subito, quindi, cosa significasse entrare nel fulgore della verità e non preferire più l’oscurità alla luce.
Nel buio ci muoviamo con cautela e inciampiamo, nella luce tutto è evidente. Nell’oscurità spirituale non possiamo distinguere il bene dal male, il vero dal falso, e il mondo è tetro e senza colori. Nella luce vediamo la giusta via da percorrere, possiamo capire cos’abbiamo davanti e siamo circondati dal colore in ogni lato.
Ora che Nicodemo ha incontrato Gesù, che lo accetta e lo guarisce, non c’è più ragione di temere la luce, dove le sue opere possono essere viste chiaramente come realizzate in Dio.
La quarta gioia è quella della casa
Le letture indicano un’ultima gioia che Nicodemo deve aver apprezzato: quella di trovare una casa.
La prima lettura racconta la storia dell’esilio babilonese, quando gli ebrei vennero cacciati dalla loro patria perché “moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli”, come dice il Libro delle Cronache.
Richiama molto il mondo di oggi: “Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti”.
L’essersi allontanati da Dio portò a un doloroso esilio, espresso nello splendido salmo in cui si legge: “Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion”.
Noi proviamo lo stesso. Ci sentiamo non in sintonia con il mondo. La sua bellezza ci attira, ma non è mai abbastanza. La sua bontà ci conforta finché non delude. Sappiamo che c’è una casa più profonda a cui apparteniamo davvero.
Questa alienazione fastidiosa inizia a svanire quando incontra Gesù. Lì, nel Dio incarnato, c’è il luogo per riposare che sta cercando. Lì c’è la bellezza assoluta, la bontà assoluta, la verità assoluta.
In Gesù possiamo trovare davvero la “casa”.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]