Un sacerdote, in confessione, mi ha esortato a dedicare del tempo alla meditazione. Mi sono resa conto solo dopo che non so esattamente cosa devo fare: meditazione, preghiera, contemplazione per me sono termini equivalenti. Ma forse invece c’è una differenza. Mi potete dare qualche spiegazione?
Lettera firmata
Risponde don Diego Pancaldo, docente di Teologia spirituale alla Facoltà teologica dell’Italia centrale
Il Catechismo della Chiesa cattolica definisce la meditazione come una espressione della preghiera caratterizzata dalla ricerca: «Lo spirito cerca di comprendere il perché e il come della vita cristiana, per aderire e rispondere a ciò che il Signore chiede». (CCC n. 2705) Una forma di preghiera dunque che richiede attenzione e che coinvolge tutte le facoltà dell’uomo, mettendo in azione «il pensiero, l’immaginazione, l’emozione e il desiderio».
Questo tipo di preghiera ha un carattere discorsivo e risulta «necessaria per approfondire le convinzioni di fede, suscitare la conversione del cuore, rafforzare la volontà di seguire Cristo» (CCC n. 2708). Essa mira a favorire l’appropriazione personale del mistero di salvezza rivelato in Cristo, assimilandone progressivamente il senso e il contenuto. Chi medita può aiutarsi abitualmente con qualche libro. «La Sacra Scrittura, particolarmente il Vangelo, le sante icone, i testi liturgici del giorno e del tempo, gli scritti dei Padri della vita spirituale, le opere di spiritualità, il grande libro della creazione e quello della storia, la pagina dell’Oggi di Dio» (CCC n. 2705). In ogni caso il cristiano «anche se prende per oggetto della meditazione la propria vita o le decisioni che si appresta a prendere, si muove sempre all’interno della vita di fede ed è questa che si sforza di far crescere» (Ch. A. Bernard).
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Nel corso della storia sono stati elaborati diversi metodi di meditazione, sia in ambito monastico, a partire dalla lectio divina della Scrittura, che considera la meditazione una ruminatio, «una investigazione accurata di una verità nascosta con l’aiuto della ragione» (Guigo il certosino); sia al di fuori di esso, come, ad esempio nella tradizione ignaziana con la meditazione delle tre potenze, in cui memoria, intelletto e volontà vengono applicate successivamente ai diversi aspetti dei misteri da meditare.
Il Catechismo della Chiesa cattolica al n. 2707 sottolinea che «i metodi di meditazione sono tanti quanti i maestri spirituali», e tuttavia, «il metodo non è che una guida; l’importante è avanzare, con lo Spirito Santo, sull’unica via della preghiera: Cristo Gesù». È quanto raccomanda anche la Congregazione per la dottrina della fede che nella lettera Orationis formas su alcuni aspetti della meditazione cristiana, evidenzia che «la preghiera cristiana è sempre determinata della struttura della fede cristiana» e che essa si configura come un «dialogo personale intimo e profondo tra l’uomo e Dio», che richiede «un esodo dall’Io verso il Tu di Dio». La preghiera cristiana pertanto rifugge da tecniche impersonali o incentrate sull’Io; essa si configura piuttosto come «l’incontro di due libertà, quella infinita di Dio con quella finita dell’uomo». (n. 3).
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Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma inoltre al n 2708 che la meditazione, «forma di riflessione orante», ha certamente un grande valore, «ma la preghiera cristiana deve tendere più lontano: alla conoscenza d’amore del Signore Gesù, all’unione con Lui». Deve tendere dunque ad una forma superiore di preghiera più semplificata, più intuitiva che è la contemplazione. Essa è caratterizzata da «uno sguardo semplice sulla verità che termina nell’amore» (Tommaso d’Aquino); da una «scienza d’amore la quale è notizia amorosa infusa da Dio che simultaneamente illumina e innamora l’anima fino a farla salire di grado in grado a Dio suo creatore, poiché solo l’amore è ciò che unisce e congiunge l’anima con Dio» (Giovanni della Croce). La contemplazione infatti è uno «sguardo di fede fissato su Gesù» che purifica i cuore e «ci insegna vedere tutto nella luce della sua verità e della sua compassione per tutti gli uomini» e ci «conduce alla conoscenza interiore del Signore per amarlo e seguirlo di più» (CCC n. 2715).