Lo denuncia un sacerdote: la stampa dovrebbe raccontare tutta la verità
«Di quello che succede qui a Damasco non parla nessuno ma sono settimane che siamo sotto alle bombe dei ribelli. Le scuole sono chiuse, la vita sociale ed economica è paralizzata, siamo stati fino a pochi minuti fa sotto ai colpi di mortaio provenienti da Goutha, dai ribelli».
Nell’enclave di Goutha, a pochi chilometri da Damasco, una delle ultime zone rimaste in mano ai ribelli anti-Assad, tra cui la gran parte sono miliziani di al Qaeda, ci siano vittime civili.
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Due facce della medaglia
Ma forse, come ha detto padre Munir Hanashy, parroco a Damasco e direttore delle scuole salesiane nella capitale siriana (raggiunto al telefono dopo ore di bombardamenti sulla capitale siriana da parte dei “ribelli”) a Il Sussidiario (1 marzo) sarebbe ora di ammettere che ci sono due facce alla medaglia dipinta da Obama e dal suo successore Trump.
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Lancio di missili
Padre Munir sostiene che gli attacchi siano cruenti e avvengano con missili, in risposta ai bombardamenti delle truppe filo-governative di Bashar al Assad.
«A Damasco sono anni che siamo attaccati, lei pensa – risponde al giornalista de Il Sussidiario – che un governo che ha a cuore i suoi cittadini possa non reagire e cercare di spazzare via questi cosiddetti ribelli e cercare di difenderci? Non sono neanche più colpi di mortai, hanno imparato a fabbricare missili e ci colpiscono con quelli».
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Rapimenti e violenza
Il sacerdote svela un retroscena sulle stragi che in pochi dicono. «Purtroppo ci vanno di mezzo i civili di entrambe le parti – afferma padre Munir – ma nessuno dice che appena è cominciata la tregua proposta da Putin e sono stati aperti i corridoi umanitari, i civili di Goutha che cercavano di fuggire sono stati presi di mira dai cecchini ribelli. O che molti civili sono siriani rapiti che vengono rinchiusi in gabbie messe lungo il confine così che il nostro esercito non possa bombardare. Loro usano scudi umani, lo hanno sempre fatto in questa guerra, anche ad Aleppo».
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“Enormi esplosioni”
Suor Yola, delle missionarie del Cuore Immacolato di Maria di Damasco, spiega: «Non abbiamo dormito tutta la notte. Dalle 2 alle 5 ci sono state continue esplosioni. Circa un mese fa era tutto tranquillo, sembrava quasi che la guerra fosse finita. Tranne che a Bab Touma, dove comunque continuavano a piovere missili. Dopo l’arrivo dell’esercito i lanci dei missili sono però aumentati. I missili ci terrorizzano perché provocano enormi esplosioni». Una settimana fa, la situazione è però peggiorata: «I ribelli hanno infatti colpito Jaramana provocando molti morti».
A Bab Touma è stato colpito anche Lias, di otto anni. I suoi genitori hanno lottato per anni prima di averlo, poi però i missili dei ribelli lo hanno portato via con un colpo di mortaio. «Ora Bab Touma è il posto più pericoloso. Due settimane fa dovevo andare lì e sono partita molto presto per cercare di evitare i missili. Sono stata fortunata: poco dopo la mia partenza i ribelli hanno lanciato 11 missili. Era un vero e proprio incubo» (Occhi della Guerra, 1 marzo).
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Il ruolo di Papa Francesco
Uno dei pochi leader al mondo ad aver acceso una luce sulla reale portata del dramma siriano, come ammette Il Fatto Quotidiano (1 marzo) è stato Papa Francesco, che domenica 25 febbraio ha parlato di Siria, epicentro di una crisi umanitaria, bellica, culturale, che coinvolge ormai altri due continenti.