I casi raccontati dall’Osservatore Romano. Spesso sono senza contratto, guadagnano poco e restano in silenzio nonostante una profonda insoddisfazione
Suore che si sentono sfruttate alla stregua di colf sotto-pagate da vescovi e cardinali. Si alzano alle sei del mattino, lavano, cucinano, fanno servizi e non siedono neppure alla stessa tavola che preparano.
Ovviamente non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma casi del genere ne esistono, eccome. A denuciarlo è l’Osservatore Romano (1 marzo).
Una suora (che resta nell’anonimato), giunta a Roma dall’Africa nera una ventina di anni fa, da allora accoglie religiose provenienti da tutto il mondo e da qualche tempo ha deciso di testimoniare ciò che vede e che ascolta sotto il sigillo della confidenza.
«Ricevo spesso suore in situazione di servizio domestico decisamente poco riconosciuto. Alcune di loro servono nelle abitazioni di vescovi o cardinali, altre lavorano in cucina in strutture di Chiesa o svolgono compiti di catechesi e d’insegnamento. Alcune di loro, impiegate al servizio di uomini di Chiesa, si alzano all’alba per preparare la colazione e vanno a dormire una volta che la cena è stata servita, la casa riordinata, la biancheria lavata e stirata…. In questo tipo di “servizio” le suore non hanno un orario preciso e regolamentato, come i laici, e la loro retribuzione è aleatoria, spesso molto modesta».
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“E’ giusto farle mangiare da sole?”
La suora sostiene che queste religiose raramente sono invitate a sedere alla tavola che servono.
«Un ecclesiastico pensa di farsi servire un pasto dalla sua suora e poi di lasciarla mangiare sola in cucina una volta che è stato servito? È normale per un consacrato essere servito in questo modo da un’altra consacrata? E sapendo che le persone consacrate destinate ai lavori domestici sono quasi sempre donne, religiose?».
Silenzio e omertà “forzata”
Queste religiose, sempre secondo questa suora, provano una profonda frustrazione ma restano omertose. Non hanno il coraggio di denunciare la loro situazione personale. Hanno storie complesse.
Nel caso di suore straniere venute dall’Africa, dall’Asia e dall’America latina, ci sono a volte una madre malata le cui cure sono state pagate dalla congregazione della figlia religiosa, una fratello maggiore che ha potuto compiere i suoi studi in Europa grazie alla superiora…. Se una di queste religiose torna nel proprio paese, la sua famiglia non capisce. Le dice: ma come sei capricciosa! Queste suore si sentono in debito, legate, e allora tacciono.
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Nessun contratto di lavoro
Dal punto di vista lavorativo, spesso le religiose non hanno contratto o una convenzione coni vescovi o le parrocchie con cui collaborano. Quindi non possono godere di tutele, per così dire, “sindacali”.
«Quindi – lamenta un’altra religiosa al quotidiano della Santa Sede – vengono pagate poco o per niente. Così accade nelle scuole o negli ambulatori, e più spesso nel lavoro pastorale o quando si occupano della cucina e delle faccende domestiche in vescovado o in parrocchia. È un’ingiustizia che si verifica anche in Italia, non solo in terre lontane».
“Il clericalismo uccide la Chiesa”
Ma come si risolve questa incresciosa situazione che coinvolgerebbe molte religiose? Partendo dal riconoscimento delle stesse. Perché le religiose hanno la sensazione di essere poco valorizzate rispetto alla loro vocazione appannaggio di quella maschile. Rimarca sempre la stessa suora:
«Dietro tutto ciò, c’è purtroppo ancora l’idea che la donna vale meno dell’uomo, soprattutto che il prete è tutto mentre la suora non è niente nella Chiesa. Il clericalismo uccide la Chiesa».
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E ancora:
«Ho conosciuto delle suore che avevano servito per trent’anni in un’istituzione di Chiesa e mi hanno raccontato che, quando erano malate, nessun prete di quelli che servivano andava a trovarle. Dall’oggi all’indomani venivano mandate via senza una parola. A volte succede ancora così: una congregazione mette una suora a disposizione su richiesta e quando quella suora si ammala viene rimandata alla sua congregazione… E se ne invia un’altra, come se fossimo intercambiabili».
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Un maggiore riconoscimento del loro lavoro spirituale
Insomma, le suore non chiedono la luna, ma solo più rispetto. Come conclude questa religiosa:
«Da parte mia, quando vengo invitata a fare una conferenza, non esito più a dire che desidero essere pagata e qual è il compenso che mi aspetto. Ma, è chiaro, mi adeguo alle disponibilità di quanti me lo chiedono. Le mie sorelle e io viviamo molto poveramente e non miriamo alla ricchezza, ma solo a vivere semplicemente in condizioni decorose e giuste. È una questione di sopravvivenza per le nostre comunità».
Una sfida spirituale
Essere riconosciute per il loro lavoro è anche una sfida spirituale.
«Il riconoscimento del loro lavoro costituisce anche, per molte, una sfida spirituale. «Gesù è venuto per liberarci e ai suoi occhi noi siamo tutti figli di Dio» precisa suor Marie. «Ma nella loro vita concreta certe suore non vivono questo e provano una grande confusione e un profondo sconforto».