separateurCreated with Sketch.

È vero che gli economisti sanno misurare la felicità? Come fanno?

HAPPY,PEOPLE,THUMBS UP
whatsappfacebooktwitter-xemailnative
Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 01/03/18
whatsappfacebooktwitter-xemailnative

Per stabilire se una strategia di mercato è migliore dell’altra utilizzano quattro sistemi di misurazione. E studiano quali sono i fattori che condizionano in positivo l’umore

Lo scopo dell’economia è quello di rendere più felici le popolazioni? Se si come fanno gli economisti a sapere se una ricetta è migliore di un’altra? Esiste un “felicitometro” che faccia le veci del termometro?

Sono le domande che Alessandro Giuliani, biologo di fama mondiale dell’Istituto Superiore di Sanità, pone all’economista cattolico Leonardo Becchetti in “Cristiani ragionevoli” (edizione Città Nuova).

Gli studi sulle determinanti della felicità, replica Becchetti, hanno fatto progressi impressionanti. Esistono ormai centinaia e centinaia di studi statistici che indagano, su centinaia di migliaia di osservazioni individuali ripetute nel tempo, i fattori significativamente correlati con la felicità. E sono state costruite misure di felicità che si sono rivelate piuttosto attendibili.



Leggi anche:
Come essere felice nell’imperfezione

4 sistemi per misurare la felicità

Le metodologie utilizzate sono generalmente quattro. La prima è quella del diario giornaliero, una specie di “holter della felicità” dove si chiede a un campione di individui di registrare il proprio livello di soddisfazione durante la giornata accompagnato alle vicende quotidiane.

La seconda è la misura del positive o negative affect (la durata dei periodi di gioia o depressione durante un determinato intervallo di tempo).

La terza è la domanda sulla soddisfazione di vita complessiva (con un valore dichiarato che può andare da 0 a 10).

La quarta è la misura della felicità eudaimonica (ovvero la domanda se si ritiene che la propria vita abbia senso).



Leggi anche:
7 pensieri negativi che rubano la felicità…

Felicità come sensazione del momento

In questi studi non si parte da un concetto di felicità legato a una certa filosofia o religione, ma si chiede alle persone se sono felici. È altrettanto evidente che il modo in cui si pone la domanda implica comunque una qualche scelta sul concetto o sul tipo di felicità registrata.

Metodi come quelli del diario giornaliero o del positive o negative affect sono più legati alla sensazione del momento (e sono infatti chiamati «misure affettive della felicità»).

Felicità come riflessione sulla vita

Il metodo della soddisfazione di vita produce invece una misura cognitiva della felicità perché presuppone una riflessione del soggetto sul proprio passato, presente e futuro; la risposta dunque non è il risultato della traduzione in emozioni della propria esperienza immediata, ma una riflessione a più vasto raggio sulla propria vita.



Leggi anche:
Il corso della felicità a Yale è il più seguito di sempre

Felicità come piacere

I metodi del diario giornaliero e del positive o negative affect avvicinano di più la felicità al piacere (se portando il ragionamento all’estremo misuro la mia reazione momentanea, anche un bicchiere di vino per un alcolizzato aumenta la felicità).

Quelli della soddisfazione di vita e della misura eudaimonica di felicità l’allontanano (l’alcolizzato dirà una volta sobrio che la sua soddisfazione di vita complessiva è molto bassa e anche il senso della sua vita).

Felicità come “martirio”

La misura eudaimonica prevede anche possibili casi di eroi e martiri: uomini e donne che spendono la propria vita a costo di sacrifici in tema di giustizia e che diranno di ritenere profondo il senso della propria vita, ma che probabilmente vivranno non senza sofferenza a causa della difficoltà della propria battaglia.



Leggi anche:
Piccolo manuale per l’infelicità: come rovinarsi la vita in poche mosse

Notevoli differenze ma risultati simili

Nonostante queste notevoli differenze i risultati sono straordinariamente simili tra diverse misure e se le indagini sono ripetute in diversi Paesi e diversi periodi di tempo.

È dimostrato ad esempio che le dichiarazioni di soddisfazione soggettiva predicono correttamente i comportamenti futuri, che esiste una buona corrispondenza tra dichiarazioni del soggetto sulla sua felicità e dichiarazioni di amici sulla sua felicità.

Disoccupazione e redditi

Se gli economisti studiano la felicità “misurandola”, a questo affiancano l’analisi dei fattori fondamentali della felicità: la disoccupazione ha effetti d’infelicità forti e permanenti nel tempo, il reddito ha rendimenti positivi ma via via decrescenti sulla felicità (ovvero impatto forte se un povero aumenta il proprio benessere economico e impercettibile se un ricco aumenta le proprie ricchezze). Muoversi in avanti non è la stessa cosa che tornare indietro perché perdere quello che avevamo rende più infelici.

Le relazioni

La qualità e il successo delle relazioni occupa un ruolo fondamentale. In ogni Paese e periodo considerato la perdita della persona amata (vedovato, separazione, divorzio) ha effetti negativi sulla felicità mentre avere un partner dà più felicità che essere soli. La gratuità ha un impatto positivo e significativo sulla soddisfazione di vita, impatto mediato dal positive affect che la stessa gratuità produce. È sorprendente vedere come tutto questo si traduca anche in un impatto sulla salute.



Leggi anche:
L’ingrediente segreto di una vita non facile ma felice? Preghiera in dosi esagerate

Partner e volontariato

Negli studi effettuati sulle persone al di sopra dei cinquant’anni in Europa, i fattori più importanti (assieme ad attività fisica, dieta, qualità delle strutture sanitarie) che ritardano l’avvento di malattie croniche sono appunto avere un compagno di vita e svolgere attività di volontariato e il trauma maggiore quello di perdere il proprio partner.



Leggi anche:
4 domande per rendere più forti le nostre relazioni

Effetto ad “U”

Ancora: l’età, al netto di tutte le altre variabili considerate, ha un effetto a U sulla felicità (ovvero positivo in giovane età, poi decrescente fin verso i cinquant’anni e successivamente di nuovo crescente) perché le generazioni intermedie sono “povere di tempo”.

Top 10
See More