Don Tolentino de Mendonça spiega il tema degli esercizi spirituali al Pontefice e alla Curia romanadi Nicola Gori
«L’acqua è insegnata dalla sete». Cita una poesia di Emily Dickinson per spiegare che oggi è necessario ritrovare «il coraggio di prendere la sete come maestra nei cammini dell’anima». Don José Tolentino de Mendonça ha scelto proprio l’«elogio della sete» come tema degli esercizi spirituali quaresimali che dal 18 al 23 febbraio predicherà al Papa e alla Curia romana nella casa Divin Maestro ad Ariccia. In questa intervista all’Osservatore Romano il sacerdote portoghese, vicerettore dell’università cattolica di Lisbona e consultore del Pontificio consiglio della cultura, ma anche poeta e scrittore, racconta la sua esperienza spirituale e letteraria, illustrando le linee di fondo delle dieci riflessioni che terrà a partire da domenica sera.
Come ha accolto l’invito del Papa a predicare gli esercizi?
Le sorprese di Dio ci fanno tremare, ma al tempo stesso portano con sé un invito alla fiducia, poiché sappiamo che Dio si rivela nella nostra debolezza. L’invito del Santo Padre mi ha portato un senso profondo di umiltà, perché sono un semplice padre che insegna Nuovo Testamento in una capitale quasi periferica dell’Europa qual è Lisbona, responsabile di una piccola comunità urbana di cristiani, con una presenza nel mondo universitario e culturale del mio paese. Ma quando gli ho detto che ero un anonimo operaio della vigna del Signore, Papa Francesco mi ha esortato a condividere la mia povertà, con semplicità e libertà.
Qual è la sua formazione teologica e accademica?
Ho studiato Sacra scrittura nel Pontificio istituto biblico, a Roma, e poi ho fatto il dottorato in teologia biblica su un testo del vangelo di Luca, la scena dell’incontro tra Gesù e la peccatrice in casa di Simone, il fariseo (7, 36, 50). In questi anni sto lavorando su alcuni temi del cristianesimo delle origini, sia nella tradizione dei Sinottici, sia nei testi di Paolo. M’interessa molto, per esempio, il tema della mensa e del pasto. Ma anche la costruzione dell’identità cristiana nell’universo paolino.
Lei è anche poeta e scrittore: qual è il rapporto tra arte e fede nella sua esperienza letteraria?
Lo scrittore Marcel Proust ci ha dato della letteratura una delle definizioni più precise. Secondo lui, la letteratura è una lente fotografica che ingrandisce la realtà, permettendoci di accedervi nei suoi dettagli e in profondità. Oggi si affronta sempre più la letteratura come un interlocutore importante per il lavoro teologico o per il percorso spirituale. La letteratura ci coinvolge nell’esperienza, ci permette di conoscere il mondo attorno a noi e il mondo dentro di noi.
Perché ha scelto la sete come tema delle sue riflessioni?
Una cosa che mi preoccupa molto concretamente è che la fede non abbia solo una credibilità razionale, ma che sia anche credibile dal punto di vista antropologico. La fede non è un’ideologia: è un’esperienza. La sete è un tema che lo mostra bene. La sete non è un’idea, ma rivela la vita nella sua realtà. Non è un caso che la Sacra scrittura faccia della sete un tema ricorrente. Per esempio, più di una volta, nei Vangeli ascoltiamo Gesù dire che ha sete. Che cosa significa questa sete? E che cosa può significare per noi in questa stagione concreta della vita della Chiesa? La spiritualità e la mistica cristiane hanno coltivato con saggezza la tematica della sete, ma quest’ultima per noi può funzionare anche come un’utile mappa per affrontare il presente.
Quali risposte si possono dare oggi alla sete spirituale dell’uomo?
Quando accogliamo veramente le sfide della sete, percepiamo che la cosa più importante non è propriamente appagarla, ma interpretarla, approfondirne il significato, intensificarla, portarla più lontano. La sete, di per sé, è un patrimonio spirituale. Come diceva la poetessa Emily Dickinson, «l’acqua è insegnata dalla sete». Dobbiamo avere il coraggio di prendere la sete come maestra nei cammini dell’anima.
La sete è anche una delle povertà materiali dell’uomo. Qual è il compito dei cristiani di fronte a questa sfida?
È una questione molto importante, perché corriamo il rischio d’intendere comodamente la sete solo in senso simbolico e spirituale e di dimenticarci del suo senso letterale. La sete, però, non ci chiude in noi stessi. Al contrario, ci pone dinanzi alla domanda che Dio fa all’inizio: «Dov’è tuo fratello?». C’è una sete delle periferie che ci obbliga a reinventare il significato di fraternità, non come un concetto, ma come una pratica, uno stile di relazione ecclesiale.
Ma sete di Dio e sete dell’uomo spesso non coincidono. Come si può trovare un punto di incontro?
La sete del nostro cuore ha bisogno di essere purificata e reindirizzata. In una società del consumo, come quella tipica del mondo occidentale, la sete è molto spesso ridotta a un gesto consumistico. Ciò che oggi percepiamo come un problema grave delle nostre società è che l’iper-stimolazione del desiderio sta generando un’incapacità di desiderare. Le piccole seti che ci assorbono si trasformano in un ostacolo a vivere la grande sete: la sete di significato, di verità, di bellezza, di assoluto o d’infinito.