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Aiutare a tutti i costi: la sindrome della “samaritanite”

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Dimensione Speranza - pubblicato il 20/02/18
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Le relazioni con “l’altro” possono essere difficoltose ed offuscate da problemi in grado di condizionare anche lo stare insieme sereno e costruttivo.di Felice Di Giandomenico

C’è un aneddoto, del filosofo Arthur Schopenauer; che riguarda le difficoltà dell’uomo di instaurare una buona convivenza col prossimo e di vivere delle relazioni in modo costruttivo.

Due porcospini cercavano di resistere al rigido gelo invernale. Non trovando ripari adeguati, pensarono di stringersi l’uno con l’altro per sfruttare il calore del loro corpo. Ma la presenza degli aculei impediva loro di abbracciarsi e di comunicarsi calore. Il freddo si faceva sentire sempre più, e i due animaletti tentarono più volte di entrare in contatto, senza mai riuscirvi per il dolore che si procuravano reciprocamente con le loro spine. Finì che morirono di freddo.

Aiutare l’altro

Questo aneddoto offre alla nostra riflessione una visione alquanto pessimista della vita di relazione, ma può servire per evidenziare come, a volte, nonostante la buona volontà ed i migliori propositi, le relazioni con “l’altro” possono essere difficoltose ed offuscate da problemi che possono condizionare non poco anche lo stare insieme in modo sereno e costruttivo.

Che succede quando, ad entrare in relazione, sono due persone con vissuti diversi tra loro, dove l’una ha bisogno di aiuto e l’altra decide di prodigarsi per dare una mano? E’ il caso del rapporto medico-paziente, volontario-utente, sacerdote-fedele e via discorrendo.

Situazioni che richiedono un rapporto basato sulla fiducia reciproca, sul rispetto della dignità dell’altro, sulla discrezione e la non invadenza e dove, le “spine” dell’onnipotenza, dei giudizi azzardati, di vissuti interiori mal gestiti, possono far naufragare le pretese di essere utili agli altri.

Spesso, soprattutto davanti a chi si trova in difficoltà, si danno per scontate troppe cose e ci si dimentica di considerare seriamente aspetti di vitale importanza per imbastire rapporti interpersonali in grado di arricchire reciprocamente sia chi ha bisogno di aiuto, sia chi si propone per offrire una presenza.

Una strana sindrome

Si rischia di cadere vittime della “sindrome della samaritanite”, dove tutto è dato per scontato e dove i confini esistenziali si dissolvono generando una commistione di sentimenti, emozioni, modi di vedere le cose che rendono arduo un rapporto, sconfinando, non di rado, nell’inopportuno.

Parlo di sindrome, ossia una serie di sintomi che possono manifestarsi contemporaneamente durante quel processo in cui si tenta di divenire compagni di viaggio di coloro che sono costretti a transitare negli aridi e desolati deserti del patire. Essenzialmente, i segnali di ciò che chiamo “samaritanite” possono essere così descritti:

  • voler aiutare per forza e a tutti i costi il prossimo;
  • imporre la propria presenza anche laddove non richiesta esplicitamente;
  • convinzione di aver capito tutto di chi ci sta di fronte;
  • agire in modo approssimativo, ricorrendo ad una verbosità dove il “consolare” diventa l’unica strategia di intervento.

Chi si trova nella sofferenza, a volte, ha bisogno anche di una presenza silenziosa, rassicurante, che non si impone, che non si presenta all’improvviso con la pretesa di gestire e risolvere il dolore altrui, magari in tempi brevi.

E’ necessario approfondire il concetto di “ascolto”, fondamentale per chiunque avverta l’esigenza di farsi prossimo agli altri. Non si ascolta solo con le orecchie, ma si può ascoltare anche on gli occhi e, soprattutto, con il cuore. A volte la sofferenza non ha voce. Esiste una comunicazione non verbale, fatta di atteggiamenti, di gesti, di posizioni del corpo che molto dicono su un determinato stato d’animo. È per questo che si dovrebbero “azionare insieme” “da Gerusalemme a Gerico” (Lc 10, 30), sofferenze prive di voce, che chiedono di ascoltare ciò che non dicono i sensi dell’udito e della vista lasciando al cuore il compito di accogliere con discrezione e rispetto i bisogni e le richieste dell’altro soprattutto quando si incontrano, scendendo.

È necessario sentire in qualche modo e condividere le situazioni con il cuore dell’altro, senza però coinvolgersi eccessivamente e fare propri i problemi dell’altro. Il porre confini esistenziali è di fondamentale importanza per stabilire una relazione libera da nefasti ed improduttivi coinvolgimenti emotivi.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE 

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