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Un nuovo libro per essere fiere della propria femminilità

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Maëlys Devolvé - pubblicato il 16/02/18
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Con “Mon corps ne vous appartient pas” [“Il mio corpo non vi appartiene”, N.d.T.], la giovane madre e filosofa Marianne Durano propone delle piste per riappropriarsi del proprio corpo femminile, troppo spesso sottomesso alla tecnica e al mercato.

Nel suo gagliardo saggio, comparso il 18 gennaio per le edizioni Albin Michel, Marianne Durano, giovane docente di filosofia e madre di due bambini, denuncia le violenze tecniche e mediche che subiscono le donne del nostro tempo. Pratiche ginecologiche abusive fin dall’adolescenza, pillola contraccettiva, ipermedicalizzazione della gravidanza, vista come una malattia, inadeguatezza del mercato del lavoro, PMA e GPA… accade di tutto!

Ma questo libro non è che un inventario – innegabilmente necessario – di tutte le dipendenze tecniche attuali che alienano il corpo della donna. Attraverso la propria testimonianza di donna e di madre, Marianne Durano propone delle piste, da applicare a livello personale, sociale e politico, per aiutare le donne a riappropriarsi del proprio corpo. È questo che fa la forza del libro, oltre alla penna incisiva dell’autrice, che si fonda su una preparazione filosofica illuminante e salutare.

Riconoscere che le donne non sono degli uomini come gli altri

Come accettare serenamente il proprio corpo di donna in una società che cerca di attenuarne le specificità? La risposta di Marianne Durano è semplice: «Cessando di vedere la donna come un uomo mancato». L’ultimo capitolo della sua opera porta questo titolo incisivo: «Dove l’autrice mostra quanto la nostra società sia ereditiera di tutta la storia della filosofia che, da Aristotele a Simone de Beauvoir, registra un disprezzo del corpo femminile, considerandolo con disgusto o semplicemente ignorandolo».


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A fronte di questo tradizionale rigetto, Marianne Durano rivendica la necessità di pensare il corpo della donna come soggetto di riflessione filosofica, con tutte le sue specificità. Si tratta di riprendere coscienza del fatto che il corpo femminile è differente da quello dell’uomo perché può accogliere la vita. Questa possibilità della maternità non è anodina, ed è necessario riconsiderare il corpo femminile come un “corpo materno”, «luogo di sorgiva ed imprevedibile eruzione della vita».

Per la filosofa, non si tratta di posizionarsi in un rapporto di gerarchia in cui il mascolino avrebbe supremazia e dove le donne dovrebbero negare la propria femminilità per assomigliare agli uomini e attendere una utopica uguaglianza, ma di riconoscere questa maternità come specificità fondamentale del corpo della donna. È solo riconoscendo e valorizzando questa incredibile capacità delle donne di accogliere la vita che si potranno aiutare le donne ad accettare la propria femminilità.

Conoscersi per meglio accogliere le proprie specificità

Ben a ragione dunque Marianne Durano lo ricorda: «Il mio corpo non è una proprietà, un bene, è la condizione di ogni bene». E allora, partendo da qui, come possiamo evitare che il nostro corpo divenga proprietà dei laboratori farmaceutici e di un sistema medico intrusivo? Imparando a conoscersi, ad ascoltare il proprio corpo senza soffocarlo a botte di ormoni. Per questo Marianne Durano raccomanda una migliore informazione sui metodi naturali di regolazione delle nascite, che riposano sulla conoscenza dei propri cicli da parte della donna.

Troppo sovente presentati come poco efficaci e obsoleti, tali metodi sono invece affidabili se sono ben vissuti e ben compresi. Esistono in Francia organismi che propongono alle coppie delle formazioni su questi metodi, come il CLER (Centre de Liaison des Équipes de Recherche [Centro di raccordo delle squadre di ricerca, N.d.T.]), oppure siti internet come sympto o cycle féminin, che permettono alle donne di seguire il proprio ciclo e di annotare le proprie osservazioni giorno per giorno. Un buon metodo per controllare la propria fecondità, imparando a conoscere il proprio corpo e a rispettarlo.

Vivere al ritmo delle proprie stagioni

Da questa conoscenza dei propri cicli la donna prende coscienza del proprio vivere ogni mese nel proprio corpo le quattro stagioni: l’inverno, fase di morte e di rinascita, con le mestruazioni; la primavera, quando il corpo si prepara all’ovulazione; l’estate, fase di pienezza che segue l’ovulazione; e l’autunno, un attimo prima delle mestruazioni successive. Per questo motivo, la donna non presenta la medesima linearità dell’uomo nel suo rapporto col tempo; ella non può essere sempre ugualmente “efficace” e “produttiva”, tutti i giorni del mese, come tuttavia le chiede il mercato del lavoro così com’è attualmente concepito.



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Per aiutare le donne a essere fiere della loro femminilità, la società deve rispettare la loro natura. Per questo è necessario, secondo Marianne Durano, prendere in considerazione lo specifico rapporto col tempo della  donna, che si distingue da quello dell’uomo in quanto ogni mese vive una morte e una rinascita, segni della sua fecondità e della sua possibile maternità. Questo passa attraverso una nuova ripartizione del lavoro, in un mondo dove «il piano di carriera ideale è assolutamente contraddittorio con il ritmo del corpo femminile», poiché favorisce un ingresso sul mercato del lavoro verso i 25 anni e un picco di carriera a 40 anni, cioè nel momento esatto in cui la donna non ha più possibilità di diventare madre.

Gravidanza: circondar(si) bene al momento giusto

A partire dalla propria esperienza, Marianne Durano denuncia la maniera in cui la nostra società vede la gravidanza come una patologia, e lascia le donne incinte – talvolta isolate – in preda ai loro interrogativi e alla loro tristezza. Come fare per non subire questa visione della gravidanza, profondamente distorta?



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Da una parte, incoraggiando le associazioni che accolgono le donne incinte sole e in difficoltà (come fa Magnificat Accueillir la vie); d’altro canto, aiutando i ginecologi che responsabilizzano le donne e non le considerano delle malate ma persone che si apprestano a generare un nuovo essere umano.

Si tratta infine di sapersi circondare adeguatamente, anche dopo il parto. Marianne Durano evoca la questione della “quarantena”, il periodo di quaranta giorni dopo il parto in cui la madre è ancora indebolita dall’evento che ha appena vissuto. Queste poche settimane non vanno trascurate, ed è necessario che la puerpera si faccia aiutare dalla famiglia, da amiche che si prendano cura di lei e l’aiutino a occuparsi di sé stessa e del neonato.

«Il focolare della rivolta»

Tutte queste piste non potranno essere vissute personalmente se non vengono incoraggiate dalla società. Marianne Durano incita così a «rifondare la nostra società sul focolare e non più sulla finanza», tornando al senso primigenio della parola “economia”, dal greco οἴκος [óikos] – focolare, casa comune. Questo comporterebbe una nuova valorizzazione dei mestieri della cura e dell’educazione, spesso esercitati dalle donne, troppo spesso denigrati a vantaggio dei mestieri che generano del profitto.



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Quindi bisogna attendere questi cambiamenti sociali e politici, per vivere meglio la propria femminilità? Per Marianne Durano, che definisce il corpo della donna come “il luogo per eccellenza della gratuità e della libertà”, la resistenza comincia dal focolare, nell’autogestione. Ogni atto domestico – la cucina, le piccole riparazioni, le faccende… – deve essere vissuto come altrettanti atti di resistenza a un sistema che non crede se non nella crescita e nel profitto. In tal senso, le donne hanno un ruolo primordiale da svolgere nella costruzione del mondo di domani, per rimettere al cuore della società il rispetto della vita e la trasmissione alle future generazioni. C’è di che rimboccarsi le maniche senza più paura di assumere la propria femminilità.

9782226396181-j

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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