Cominciare a riconoscere il male che si commette nei confronti degli altri, ci conduce a ritrovare le tracce del male che noi stessi abbiamo subito.di Marie Romanens
Ciò che gli altri possono dire o pensare di noi, è a volte inficiato da errori causati da una interpretazione errata da parte loro, dei nostri comportamenti. Ma quando il loro giudizio si rivela corretto e noi siamo capaci di accettare di rimetterci in discussione, questo chiarimento apportato da chi vive intorno a noi, ha come conseguenza positiva di provocare una presa di coscienza interiore, generatrice di cambiamenti.
Veronica parlava liberamente durante una riunione tra amici, dicendo a ciascuno ciò che pensava di lui, portandolo così a rimettersi in questione. Con delicatezza il gruppo le fece capire quanto la sua capacità di intuire fosse poco comune e la sollecitò a prendere maggior coscienza di questo suo dono ma di considerare anche che la sua fine percezione della natura profonda delle persone, la portava spesso ad esprimersi in un modo troppo diretto il che rischiava di avere degli effetti controproducenti, soprattutto quando gli amici non erano ancora pronti a guardarsi in quello specchio che essa mostrava loro. Veronica, colpita da questa richiesta, ha cominciato ad interrogare se stessa. Mai avrebbe potuto immaginare che le sue osservazioni potessero essere così pertinenti, il suo discernimento così profondo, la sua capacità di capire così netta. Non dando peso all’esattezza delle sue impressioni e, nello stesso tempo alla forza delle sue parole, si trovava così nell’incapacità di capire che poteva facilmente offendere gli altri ,non sempre in grado di accettare immediatamente certe verità sulla propria persona. La scoperta di questo aspetto negativo della sua personalità, la portò a ritornare sul proprio passato.
Quando ero piccola, gli adulti non tenevano in nessun conto ciò che i bambini provavano e ciò che pensavano. L’educazione era basata su modelli antichi Eravamo ben nutriti, a volte anche viziati, ma nessuno si preoccupava di ciò che passava nelle nostre teste di bambini. Per di più mio padre ,aveva la tendenza a monopolizzare i discorsi. Ho imparato a non interrompere, a tacere, ad ascoltare soltanto. Ora capisco perché mi succedeva, all ‘età di 18 anni, di andare nei campi ad urlare tutta sola!”.
Cominciare a riconoscere il male che si commette verso gli altri, ci conduce a ritrovare le tracce del male che noi stessi abbiamo subito. Da questo istante si determina un movimento di andata-ritomo, che ci permette di dare un senso sia a ciò che ci succede, che a ciò che si è vissuto di doloroso e che ci ha lasciato delle ferite e di capire le difficoltà che si provocano in coloro che ci circondano.
“I nostri genitori, ci incutevano paura, con racconti di lupi cattivi che ci avrebbero portato via se non ci fossimo comportati bene. Essi non pensavano nemmeno lontanamente alle conseguenze di questo loro comportamento sulla nostra crescita; non si preoccupavano per nulla di ciò che eravamo veramente. Ho conosciuto molte paure durante tutta la mia vita, soprattutto durante 1’adolescenza: paura di mostrarmi, paura di esprimermi. Sottovalutavo le mie idee, avevo l’impressione di non saper nulla. Ora, dal momento che non valuto esattamente il peso e l’importanza delle mie parole, non ho mai l’impressione che ciò che dico alle persone, sia veramente importante. Non mi rendo dunque conto dell’inopportunità di alcune mie osservazioni. Faccio ciò che mi è stato fatto: non vedo l’altro com’è, non ho coscienza dei suo proprio ritmo ed esercito, a mia volta, una violenza su di lui.”
La teologa Lytta Basset, partendo dal libro di Giobbe e dalle sue conoscenze di psicanalisi, ha portato nuova luce sul problema del male (1). Per sfuggire all’esperienza del male senza fondo, provocato dalla violenza (anche in quella inflitta in maniera non evidente, nel quotidiano apparentemente banale)noi cerchiamo di trovare un responsabile. O si tratta dell’altro, e allora ci proibiamo così di riconoscere la nostra corresponsabilità, oppure ci sentiamo noi colpevoli e allora il senso di colpa che ne deriva, non permette di percepire il male esercitato nei nostri confronti. Queste due vie servono ad allontanare la disperazione e il senso di impotenza, ma ci allontanano dagli altri. “Il male è ridotto così ad una colpa, che emerge all ‘esterno, ma che può anche rimanere nascosta nel profondo….e il risultato è sempre, in sostanza, la rottura di un rapporto.”
Veronica riesce a sfuggire a questo scoglio: confessando l’errore commesso, accetta di guardare in faccia la sofferenza provocata dal male subito durante la sua infanzia. Grazie a questa presa di coscienza, si può sicuramente scommettere che Veronica saprà mettersi all’ascolto degli altri.
(tratto da Camminare verso se stessi)
(1) In Guérir du malheur (Albin Michel, 2000).