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Giorgia: “la fiducia e la fede sono esercizi che si fanno proprio nei momenti difficili”

GIORGIA SINGER

Italian singer Giorgia performs during the "Festival di Sanremo" Italian song contest, in San Remo, Italy, Friday, Feb. 29, 2008. (AP Photo/Antonio Calanni)

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Paola Belletti - Aleteia Italia - pubblicato il 30/01/18
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La cantautrice romana racconta la sua storia attraversata anche da momenti difficili e depressione. Una sofferenza preziosa che le ha permesso una vera rinascita“Credo in questa vita”, canta Giorgia per milioni di visualizzatori, me compresa. Siamo a quota 19.429.807 visualizzazioni.

Fa parte dell’Album Oronero Live.

Fiducia e fede si esercitano nei momenti difficili, dice. Questa donna sottile e forte scandisce con precisione e calore nella bella intervista per TG2000 di Silvio Vitelli frasi chiare, vere e con un’alta concentrazione di ossigeno.

Si vede che è “rinata” come racconta schiettamente esplicitando la necessità di morire, prima.

La maternità le ha riacceso una miccia che sembrava come soffocata.

«Da quando sono diventata mamma io in realtà ho ripreso tutta una serie di entusiasmo, voglia, emozioni che nel mio lavoro cominciavo a sentire poco»

Poco prima aveva usato un’altra espressione vivida e riuscita: “ognuno ha i suoi pusher di energia”.

Chi il lavoro, chi un amore… il suo caso, forse, li abbraccia entrambi: diventare madri scatena un amore incontenibile e diventa forza motrice per svariate attività!

Il suo interlocutore suggerisce: “Ogni mamma è una macchina”. Giorgia accetta e rilancia: “Ogni mamma è una macchina. Io direi che ogni donna è una macchina!”. E non penso che lo faccia per ottemperare all’obbligo di culto all’attuale imperatore del pensiero dominante. Che in ogni donna ci sia una forza particolare è vero. Che ogni donna, anche senza che possa esprimerla biologicamente, ci sia la capacità di accogliere, portare, “far nascere” le persone che che incontra è vero!



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Sentendo il singolo anche a me, come mi pare di avere intuito nelle parole del giornalista, è sorto un certo sospetto o disincanto: no, ancora. Non è che la cantautrice stia ripiegando su un fiacco concetto di generica bontà, di fede colpevolmente ingenua nell’essere umano? Quasi come l’uomo, se la società non lo guastasse, potesse essere davvero innocente, libero, costruttivo?

Invece Giorgia, che non nomina il Salvatore ma parla di essere salvi, non è così sprovveduta. Si vede, davvero, che il dolore l’ha forgiata.

Non conosco la sua eventuale maturità di fede ma si intuisce che dell’animo umano qualche cosa ha imparato e sperimentato. Butta tanto fiato dentro la parola “credo” perché se l’è pagata, in un certo senso.

Insiste sul coraggio, sulla necessità di decidersi per il bene, sulla volontà. Sulla fede come scelta. Sono quelle le leve da usare per sollevare se stessi e confortare gli altri.

Ma il punto di appoggio?

Non lo dice. Però parla di energia, di anima, di possibilità di guardare a ciò che è già sano o in via di guarigione e di incoraggiarlo, proteggerlo anche.

Ogni volta che sento parlare di “energia” sono abituata a rizzare antenne e levare scudi. Spesso è una visione anti cristiana che si esprime con questi termini.

Ma in Giorgia non mi è parso affatto che ci fosse questo retroterra. Anzi. Si mostra come una donna fragile e robusta, sottile e resistente, abituata ad osservare sé stessa e gli altri. Una persona che si è misurata con gioie e asperità e che abbia intuito la profondità del mistero di ogni vita umana. E con essa l’immensità dell’anima – sfacciatamente più grande della mente, per quanto con essa facciamo cose mirabili-  voluta dalla forza superiore di Qualcuno che ci ha buttati nell’esistenza e ci spinge a riconoscerle  maestosità.

Senza mettersi in cattedra o assumere pose da Grande Dolente dice che sì, ci sono stati momenti di sofferenza intensa.

E aggiunge che ogni sofferenza è preziosa poiché inietta in noi nuova linfa. Ammette e racconta anche gli aspetti di prostrazione e di resa che ha attraversato. Diventavano pensieri e desiderio: “spero di non farcela. Vorrei lasciarmi andare. Vorrei non uscire più da questo dolore”. 

Ma poi chiama in causa la vita e il cielo e queste “energie superiori”: non lo so se per iscritto ci avrebbe messo una qualche maiuscola. Mentre era a terra o sotto ha percepito una voce, una forza che «ti prende a calci nel sedere  (gli Angeli sono spiriti celesti e senza dubbio di energia ne hanno in abbondanza. Che sia stato il Suo Custode ad assestarle la salutare pedata?) e ti dice “devi vivere, perché sei qua”».



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Strana voce questa che non sa darci spiegazioni migliori. Quando noi soffriamo, quando siamo in una condizione di dolore e di mancanza di senso, quando la depressione è nera, quello che vogliamo fortissimamente sapere è perché caspita siamo qua. E invece chi ci soccorre non trova di meglio che ripeterci che siccome siamo qua allora abbiamo il dovere di vivere.

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Ma certo! L’uomo esiste perché è voluto. E’ chiamato fuori, come a scuola, per un’interrogazione a sorpresa. Vieni qui, tu, vieni ad esistere! Forse Giorgia ha intuito questo? Nei momenti di angoscia e oppressione ha sentito la mano forte di chi ci vuole vivi. Ci vuole per noi stessi. 

E Dio, che si ritira e si nasconde ma mai del tutto, rimane in attesa del nostro contraccambio. Sa che senza ri amarLo non saremo mai felici eppure non ci obbliga. Ci lascia indizi, i figli, l’amore, la musica. La povertà e il dolore. Inverni e primavere!

Giorgia da anni si impegna per la difesa dell’ambiente ma anche per la protezione e il sostegno di bambini e famiglie. Ho trovato così bella questa combinata: cos’altro è il Creato se non una meravigliosa dimora pensata per l’uomo? Difendiamo e l’uno e l’altro. L’uno in vista dell’altro. Vale di più l’uomo!

«Perché finché ci sei devi farlo. Poi ci trasformeremo e vivremo altrove». Conclude. Sembra come una convertita che non ha ancora imparato i nomi delle realtà soprannaturali alle quali vuole riferirsi.

Il fatto che quando parla di cosa ha intuito nei momenti di buio e di depressione usi il verbo dovere mi fa proprio ben sperare. Sì, per il fatto che è Dio che comanda, è l’unico che può farlo davvero.

Siamo noi che ci siamo inventati tutta la manfrina dell’amore che deve essere spontaneo e disarticolato, fiorire e diffondersi su muri scelti a caso come un rampicante grazioso e aereo.

L’amore, invece, è un comandamento.

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