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La fiaba, dove vivere le emozioni negative senza morirne

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Silvana De Mari - pubblicato il 24/01/18
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Nate dal basso, senza alcuna pretesa di verosimiglianza, sono da sempre lo specchio più fedele dell’epoca che le generaLa fiaba è un posto protetto reso protetto dall’ambientazione fantastica e dal lieto fine, dove diventa possibile sperimentare le emozioni negative, senza il timore di venirne travolti, senza il rischio che da esse siano travolte le relazioni fondamentali della vita, quelle senza le quali vivere perde di senso o, molto più semplicemente, non è materialmente possibile.

Nella onnipresente figura dell’orfano, personaggio chiave di tutta la narrativa per l’infanzia, c’ è ovviamente la paura di diventarlo, ma, soprattutto, è nascosta l’eterna paura di non essere abbastanza amati.

La matrigna da un lato è la rappresentazione di una realtà storica precisa, di un pericolo reale in altre epoche costantemente in agguato: quello di restare orfani di una madre uccisa dal parto, in balia di una matrigna che avrebbe diviso in maniera disuguale tra i figli di primo e secondo letto il poco cibo, le molte botte e le infinite ore di lavoro massacrante.

Dall’altro lato la matrigna è, soprattutto, il fantasma universalmente fruibile di una mamma che ama poco o meno di quanto vorremmo.

Dentro fratellastri e sorellastre c’è il timore costantemente presente, anche nei figli di famiglie realmente amorevoli, che i fratelli (sorelle) siano più amati di noi. Dentro la strega e l’orco ci sono madre e padre quando sono irati e urlanti: con i lineamenti stravolti, infinitamente più grandi del bambino su cui incombono, onnipotenti, terrificanti.

Le fiabe, narrazione fantastica senza alcuna pretesa di verosimiglianza, sono, in assoluto, in quanto opera nata dal basso, lo specchio più fedele di un’epoca. Tanto più un’epoca è atroce, tanto più lo sono le sue fiabe.

Bisogna arrivare alla fine del diciottesimo secolo perché la miseria entri stabilmente nella storia della letteratura. Nelle fiabe è da sempre uno dei protagonisti, insieme alla fame, alla paura, all’infanticidio, all’idea che i bimbi possano essere scacciati, allontanati, venduti, scambiati, abbandonati in un bosco buio dove un orco orrendo li mangerà per cena, a meno che una fila di sassolini che brillano sotto la luna li riporti a una casa dove nessuno li vuole.



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Nella fiaba osano comparire l’abuso sessuale, la pedofilia e l’incesto (Pelle d’Asino), la psicosi criminale e l’uxoricidio (Barbablù).

Quando passavano la guerra, i lanzichenecchi, la siccità e le cavallette, quando non c’erano più raccolti, quando la peste infieriva, poteva succedere che i bambini venissero abbandonati nei boschi, uccisi (Biancaneve), massacrati di lavoro (Cenerentola) oppure venduti in cambio di cibo (Raperonzolo).



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Forse poteva succedere che il corpo di un bambino diventasse cibo, come rischia di capitare ad Hansel, Gretel, Pollicino e i suoi fratelli. La guerra dei trent’anni ridusse la Germania a un tale livello di barbarie e carestia che la sopravvivenza fu spesso possibile solo grazie al cannibalismo: il fantasma di questa immane tragedia è rimasto intrappolato nelle fiabe.
Qual’è la vostra fiaba preferita?

 

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