Parla Norma McCorvey nota anche come “Jane Roe”di Andrés Jaromezuk
Questo articolo non è l’analisi di un importante tema teologico, né una risorsa che ci permette di rafforzare qualche aspetto della nostra vita cristiana, e men che meno tratterò di qualche episodio della vasta storia della nostra Chiesa. Ciò che vi proponiamo è qualcosa di estremamente importante per l’evangelizzazione nei tempi che corrono: vi proponiamo di sviluppare il senso critico e di imparare a dubitare.
Il dubbio, se non si impantana nello scetticismo, ci mette sempre sulla via della conoscenza, e quindi ci guida alla verità. Il dubbio sorge quando non percepiamo ragioni sufficienti per affermare o negare qualcosa e optiamo per sospendere – momentaneamente – il giudizio affermativo o negativo di fronte a due versioni contraddittorie.
Dicevamo che il dubbio non è scetticismo. Non esiste una cosa come un dubbio universale e permanente, perché ci sono conoscenze indubbie dalle quali non possiamo prescindere. Anche se vogliamo dubitare di tutto, partiamo dalla certezza che tutto dev’essere oggetto di dubbio. Possiamo forse dubitare del fatto che stiamo dubitando senza esercitare il dubbio?
Questa breve introduzione serve per dire che, per quanto possa sembrare paradossale, il dubbio è un atteggiamento “metodologico” che dobbiamo allenarci a esercitare – forse soprattutto noi cattolici -, soprattutto in questi tempi di frenesia informativa e proliferazione di “fake news”, argomentazioni ripetute e statistiche invocate in modo irresponsabile. Quando diciamo che il dubbio è uno stato momentaneo della mente umana, ci riferiamo al fatto che è il primo passo per avvicinarci alla verità. Il secondo passo è cercare la certezza attraverso un metodo, quella via che permette di arrivare a una conoscenza certa su una cosa. Per quanto possa sembrare più tecnico, è valido non solo per le scienze, ma soprattutto nella nostra esperienza quotidiana.
Se vi dicessimo che la legge più ingiusta e aberrante della storia è nata da una grande farsa ci credereste? Sentiamo la protagonista.
Norma McCorvey, più nota come Jane Roe, ricorse nel 1970 a due avvocatesse statunitensi per ottenere il permesso di abortire, sostenendo che la sua gravidanza era frutto di una violenza. A questo scopo, le avvocate presentarono una richiesta allo Stato del Texas – la cui legislazione proibiva l’aborto – perché la loro cliente potesse abortire. Il procuratore del distretto incaricato del caso, contrario all’aborto, si chiamava Henry Wade, da cui il nome del caso Roe vs. Wade. Di fronte al rifiuto del tribunale distrettuale di limitare la legislazione pro-vita, si ricorse in appello finché nel 1973 la Corte Suprema di Giustizia degli Stati Uniti emise una sentenza a favore della richiesta di Jane Row e delle sue legali, sostenendo che il Quattordicesimo Emendamento della Costituzione statunitense – in cui si preservava particolarmente il diritto alla privacy – poteva essere interpretato a favore della libertà di abortire. Visto che si ritiene che la Costituzione sia al di sopra della legislazione statale, si stabilì che nessun distretto potesse legiferare contro la decisione della Corte. Era stato legalizzato l’aborto, anche se in attesa della risoluzione del caso Jane Row aveva partorito e dato in adozione la figlia.
Nel 1995, però, Norma McCorvey si è detta pentita e ha confessato che durante il processo aveva dichiarato cose false. In base a quanto ha detto, le due legali che l’avevano rappresentata cercavano un caso che permettesse di abolire il divieto di aborto nello Stato del Texas. Lo stupro era stato inventato per suscitare polemiche.
Da questo inganno ordito per mobilitare a livello emotivo la popolazione statunitense è nata la legalizzazione dell’aborto, e anche se oggi si conosce la verità dietro quell’episodio il danno è ormai stato fatto. Secondo statistiche del 2017 dell’organizzazione National Right to Life, dal 1973 negli Stati Uniti sono stati effettuati 59.115.995 aborti, e molti Paesi hanno applicato o vogliono applicare una legislazione simile. Cosa pensare di queste cifre? Non vi accontentate di questa versione, indagate e mettete in discussione questi dati. Non potrà affiorare altro che la verità.
Questo caso ci interpella e ci porta a chiederci se mettiamo sufficientemente in discussione le statistiche, le notizie e i dati che ci vengono offerti dai mezzi di comunicazione di massa e sulle reti sociali. Quanto è veritiera la valanga di informazioni che ci travolge ogni giorno? Non potrebbero forse ripetersi gli stessi meccanismi? Quante cose di quelle che affermiamo ogni giorno hanno una base solida? In queste sede vogliamo condividere alcune semplici pratiche che possono aiutare a elaborare il vostro metodo critico per valutare le informazioni e favorire il riconoscimento della verità.
1. Un esercizio di imparzialità: estraniarsi
Per esercitare un buon senso critico, la prima cosa di cui c’è bisogno è estraniarsi. Cosa significa? È allontanarsi dalle proprie convinzioni e credenze al momento di analizzare un’informazione, cercando di far sì che la nostra soggettività non ci faccia respingere o far nostro qualche dato perché attacca o rappresenta quello in cui crediamo. Attenzione! Questo non vuol dire affatto relativizzare i nostri principi, ma solo sospenderli momentaneamente per valutare i dati con tutta l’obiettività che possiamo impiegare.
2. Usare la lente d’ingrandimento: valutare le informazioni
Questo passo è una sfida per la quantità e la diversità di informazioni che riceviamo ogni giorno. Cercheremo di offrire qualche raccomandazione generale. Pensiamo in primo luogo alle notizie. Davanti a una determinata informazione, sarebbe importante abituarci a distinguere le fonti che vengono utilizzate. Una fonte è la persona o l’istituzione che fornisce un’informazione, e alla quale ricorrono i giornalisti per ottenere dei dati. Convenzionalmente, si dice che una notizia deve prevedere almeno tre fonti che ratifichino la stessa versione di un fatto perché un dato si possa ritenere credibile. Per questo, leggendo una notizia bisognerebbe porsi queste domande: a quante fonti ha fatto ricorso il giornalista per validare una determinata informazione? Quali sono queste fonti? Sono credibili o oggettive?
Un altro tipo di informazione che riceviamo sono le statistiche o gli studi scientifici, che in generale rispondono a qualche ricerca svolta da un’istituzione. Se quest’ultima non viene citata, è un motivo sufficiente per scartarla. In caso contrario, quale organizzazione realizza lo studio? È affidabile? Com’è stato condotto lo studio? Si esplicita il modo in cui è stato portato avanti lo studio perché se ne possano giudicare i risultati? Forse sembra troppo pretenzioso avere atteggiamenti per valutare le diverse statistiche o i vari studi che leggiamo, ma alcuni bastano per smontare molti dei falsi dati che circolano su Internet.
Forse, infine, leggiamo argomentazioni di un dibattito o una polemica circa un problema. È importante porsi alcune domande: cosa si dice a favore e contro negli atteggiamenti che si affrontano? Come si validano le proprie affermazioni? Quali conseguenze derivano da quelle interpretazioni?
3. Seguire il filo per arrivare alla fonte
Abbiamo già parlato di notizia, statistica o argomentazione, c’è sempre un’emittente attraverso la quale ci perviene l’informazione e possono esserci anche vari intermediari. In ogni caso, è bene essere sempre prevenuti e fare una critica di chi dice una cosa determinata. Chi è il mezzo o l’istituzione che pubblica l’informazione? Quali altre notizie o studi ha pubblicato o realizzato? Da questi si deduce qualche interesse particolare per sottolineare soprattutto alcune tematiche? Un esercizio come questo ci permetterà di orientarci rispetto all’ideologia della fonte emittente.
4. Confrontare altre fonti affidabili, creare una rete di credibilità
Quando veniamo a conoscenza di qualche informazione che ci sembra poco credibile, ci sorprende o ci commuove in bene o in male, una sana abitudine è ricorrere ad altri mezzi di infomazione per verificare i dati. Questo vale soprattutto per le reti sociali, nelle quali circolano le invenzioni più grottesche. Anche se non c’è una certezza assoluta, perché anche i mezzi di comunicazione più rispettabili si replicano a vicenda, con una semplice ricerca su Internet possiamo verificare se altri media si sono fatti eco di un’informazione e valutare come la trattano quelli più affidabili.
5. Una visione panoramica: analizzare il contesto
Una risorsa per ottenere dati extra su un’informazione è inserirla nel contesto e valutare in quale clima o atmosfera di idee si inserisce una notizia, uno studio scientifico o una statistica. Questo tipo di lettura può offrirci un altro panorama sull’intenzionalità che può avere un dato in relazione ad altre versioni espresse in altri ambiti (mezzi di comunicazione, organizzazioni non governative o internazionali, ecc.), ma che possono avere l’obiettivo di creare artificialmente un determinato clima sociale. In questo modo potremo capire se esiste un’intenzionalità nel sottolineare – e a volte inventare – un determinato aspetto di un fatto perché gli venga attribuita una rappresentatività che in realtà non ha.
E infine un’ultima raccomandazione…
6. Attenzione agli eufemismi!
Un eufemismo è impiegare un modo decoroso o “dolce” per pronunciare un’espressione che detta in modo diretto suonerebbe scioccante. Perché bisogna prestare attenzione a queste espressioni? Perché in molti casi nascondono intenzionalmente l’immoralità di determinate pratiche dotandole di un’apparenza innocente. Un chiaro esempio è l’impiego del concetto “interruzione volontaria di gravidanza” per riferirsi all’aborto, pretendendo di dare una vernice di normalità all’annientamento di una vita umana.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]