“L’eternità dolcissima di Renato Cane” è un simpatico monologo che ci insegna come sdrammatizzare la morte
Malattia e fine vita sul palco possono diventare occasioni di spettacoli e riflessioni, anche umoristiche! Nel monologo grottesco “L’eternità dolcissima di Renato Cane” (al teatro Elfo di Milano fino al 21 gennaio), l’autrice Valentina Diana ha messo insieme due temi in apparente contraddizione: la morte e il profitto (La Stampa, 19 gennaio).
La comparsa del cancro e le pompe funebri
Renato Cane, uomo medio, ha la sua bella famiglia con moglie e figlio e un posto di lavoro sicuro. La sua vita scorre tranquilla e monotona, finché scopre di avere un cancro e la sua morte avverrà nel giro di tre o quattro mesi. Si rivolge alla B.B.B., azienda specializzata in funerali e anche in qualcosa di più, l’eternità. Firma un patto con il demonio, ma ancora una volta il destino cambia le carte in tavola.
La miracolosa guarigione
Tornato a casa Renato racconta tutto alla moglie che però gli dice di provare uno dei miracolosi paramedicisantoniradicalkitsch. Renato guarisce. Cambia di nuovo tutto, ossia torna tutto come prima ma in realtà non del tutto ed è proprio il reinserirsi nella vita tranquilla e monotona di tutti i giorni che diventa impossibile: a Renato Cane non resterà che tenersi l’Eternità comprata a carissimo prezzo (elfo.org).
Come esorcizzare la morte
Valentina, insomma, insegna a sdrammatizzare la morte con il sorriso…sulla base di un “contrasto”.
«L’idea di scrivere sulla morte, di trovare un punto dal quale poter guardare ad essa senza soggezione – spiega l’autrice del monologo – mi affascinava. Mi sembrava utile poter indagare su ciò che la morte rappresenta per noi, noi di qua, occidentali intendo, come atto finale, ultimo, quasi teologico, ma allo stesso tempo anche come oggetto esorcizzato, che non contiene futuro ma solo presente (un presente che non promette nulla di buono, per altro)».
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Azione e denaro
Su questo ragiona Valentina Diana: «Ci agitiamo in un mondo fondato su questi due pilastri che sono l’azione (fare, facciamo, ho fatto, farò) e il denaro (ho guadagnato, guadagnerò o non guadagnerò, eccetera), tutte le altre cose vengono come conseguenza. Ossia: se faccio, se guadagno, allora poi. E questi due pilastri (che poi non so perché li chiamo pilastri, ma visivamente mi viene così) entrambi si fondano sul tempo; infatti cosa facciamo in generale nella vita? Facciamo azioni ed ipotechiamo tempo».
Trarre un beneficio dal morire
In ogni caso, trattando la morte come una circostanza che genera un bisogno (vestizione, bara, funerale), «esattamente come nel caso in cui qualcuno senta sete, o fame, o si annoi o resti senza benzina», prosegue l’autrice, «è con tale bisogno che ci si deve confrontare se si desidera guadagnarci qualcosa. E’ noto a tutti (quasi), che bisogno generi domanda, domanda generi offerta e offerta generi profitto. Tutto sta a capire come. Come trarre il maggior profitto possibile da questo della morte che normalmente è un ambito delicato e addirittura sacro, del quale non si parla volentieri?».
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“Basta renderla desiderabile”
«Mi pare estremamente interessante lavorare su queste due cose che fanno a pugni: il profitto e l’estremità assoluta, panica, dell’atto del morire. Come fai quando una cosa fa paura a tutti, non la vuole nessuno e tutti ne hanno paura? come fai a venderla? Semplice, basta renderla desiderabile. E’ andata così, che mettere insieme, uno vicino all’altro – conclude Diana – il fatto tragico e mistico anche, della morte, con il lavorio trucido del trar profitto da tutto, non so, mi piaceva, per contrasto. I contrasti, son fatta così, mi danno l’idea che ci sia sotto qualcosa di vivo, appunto, una verità che c’è e non c’è, e che mostrarlo sia poetico» (www.teatrobrancaccio.it)