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Associazione Peter Pan, una casa “magica” dove la malattia fa meno paura

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Geraldine Schwarz - Credere - pubblicato il 12/01/18
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L’onlus romana ospita i piccoli pazienti oncologici e i loro genitori: «Condividiamo la sofferenza, come in famiglia»

«Scusi, signora scusi, lei sa dove andare?». Spesso inizia tutto così, con un dottore del reparto di Oncologia infantile Bambin Gesù di Roma o del Policlinico Umberto I che, avendo valutato la situazione, tende la mano alla famiglia che ha appena saputo di avere un figlio malato che per mesi dovrà curarsi lontano da casa. È a quel punto che, se c’è posto, il dottore propone la possibilità di un’accoglienza gratuita, una “famiglia allargata” a poche centinaia di metri dall’ospedale. Così gli ospiti sono invitati a entrare nel “magico” mondo di Peter Pan, l’onlus che da 18 anni ospita i piccoli pazienti oncologici con le loro famiglie per la durata della cura.

Quattro strutture in un quadrilatero di strade alle pendici del Gianicolo, a poca distanza dall’ospedale, per una capienza totale di 32 famiglie, circa 120 persone al giorno. «Il nostro scopo è garantire alle famiglie una vita normale, fatta di condivisione: la famiglia è al centro della nostra missione e anche i piccoli devono respirare un’atmosfera di normalità e sentirsi a casa», dice Marisa Fasanelli, fondatrice insieme a Giovanna Leo.

L’AMICIZIA AIUTA A VOLARE

E allora ecco apparire Peter Pan e la sua ciurma, i timonieri, le fate felici, Trilly e i pipistrelli, che dal mattino alla sera cercano di essere un punto di riferimento con un ascolto attivo e una mano sempre tesa. La macchina organizzativa è composta quasi esclusivamente da volontari, circa 200, e da un piccolo nucleo di staff professionale. Nelle attività e nella gestione del tempo, lo staff segue la favola del bambino vestito di verde che vola verso nuove avventure.

Trilly accoglie le famiglie, i timonieri le accompagnano alle cure o negli spostamenti, Wendy organizza le attività nel tempo libero con docenti ed esperti, Spugna ripristina l’igiene nelle camere, e i pipistrelli si occupano del turno notturno.

SPAZI COMUNI E PER LE FAMIGLIE

Ogni famiglia ha uno spazio privato e poi ci sono le aree comuni: la cucina, la zona pranzo, l’aula scolastica e le aree dove vedere la televisione o fare attività. La giornata inizia con il pulmino dell’ospedale che viene a prendere i piccoli pazienti, poi si pranza negli spazi comuni e nel pomeriggio per chi vuole ci sono le attività, dai laboratori artistici e musicali a quelli di astronomia, dalle visite al museo alle feste di compleanno organizzate con l’animazione. Anche i genitori hanno varie opportunità: possono usufruire di massaggi, yoga e parrucchiere tutte le settimane.

Tutto è compreso nei servizi offerti in casa. E ci sono sempre una psicologa e un responsabile volontari per mediare tra le diverse esigenze. I volontari, inoltre, scrivono un diario per restare aggiornati di turno in turno, e i “nuovi” sono affiancati da un tutor per circa un anno. «I volontari sono la benzina di tutta la macchina», spiega Giampaolo Montini, direttore generale dell’onlus. «Facciamo due corsi di formazione all’anno e li seguiamo per l’inserimento nelle attività: è molto importante che siano pronti ad affrontare ogni situazione, ciascuno ovviamente per il tempo che riesce a dedicare».

DAL DOLORE ALLA SPERANZA

L’intuizione di un polo di accoglienza è arrivata a Emanuele Fasanelli, figlio di Marisa, morto di tumore a 25 anni. Un giorno, mentre erano a Minneapolis, negli Stati Uniti, in una struttura che li accoglieva per le cure lontano da casa, lui le disse: «Mamma, dovremmo fare anche noi qualcosa del genere a Roma, per tutti quelli che vivono le nostre difficoltà». Il nonno gli aveva regalato dei soldi per fare un master, ma lui aveva capito che non lo avrebbe mai fatto, e allora la prima donazione fu la sua. «Siamo ben felici di offrire ospitalità, purtroppo siamo sempre pieni. Da quando esiste l’associazione, non c’è niente di certo: viviamo delle donazioni dei privati, di quello che riceviamo con il 5 per mille e della raccolta fondi».

A livello legale l’associazione è nata nel 1994, da un gruppo di genitori di bambini malati in cura al Bambin Gesù che si ritenevano fortunati a vivere vicino all’ospedale e decisero di mettere la propria esperienza a servizio delle famiglie “fuorisede”.

«All’inizio avevamo comprato un forno a microonde per il reparto e regalavamo tessere telefoniche a chi non poteva stare con i figli», ricorda sempre Fasanelli. «Poi deve averci messo mano la Provvidenza perché nel 1997, mentre cercavo una sede e avevo appena ricevuto un no, ho visto questo grande edificio di tre piani (la sede del liceo artistico Ripetta, di proprietà dell’Istituto per l’assistenza all’infanzia, ndr) e, anche se era ridotto male, ho pensato che sarebbe stato perfetto per noi di Peter Pan. Mai avrei immaginato che sarebbe diventato la prima casa, ma sentivo che era un posto giusto».

IL MIRACOLO DEL BENE

Da allora è un crescendo di adesioni. Alitalia nel 1998 fa la prima campagna marketing per aiutare i genitori a viaggiare gratis e il costruttore romano Francesco Gaetano Caltagirone investe nel progetto. Poi dalle pagine di Repubblica la giornalista Barbara Palombelli lancia un appello e smuove un mare di solidarietà.

Ancora oggi il miracolo continua a rinnovarsi ogni giorno. Grazie all’accoglienza, i bambini possono seguire cure in day hospital e il tasso di deospedalizzazione ha raggiunto l’82 per cento.

Le storie dei piccoli pazienti ospiti sono tante, e non sempre a lieto fine. Tra le tante, è rimasta nel cuore di tutti quella della piccola Alice, arrivata con la famiglia dal nord Italia a 10 mesi, quando ancora gattonava. A casa Peter Pan Alice ha imparato a camminare, ha conosciuto Khaled, un bimbo iraniano, e per due anni hanno fatto coppia fissa, giocando a “marito e moglie”. Quando ha finito le cure, Khaled non voleva più ripartire. Alice invece non ce l’ha fatta, ed è morta a tre anni. Ma quando la mamma le diceva andiamo a casa, lei rispondeva: «Sì, mamma, torniamo a Peter Pan».

Articolo tratto da “Credere”

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