Intervista al Segretario di Stato a pochi giorni dal viaggio del Papa in Cile e Perù e sul Sinodo riguardante i giovani che la Chiesa si appresta a celebrareL’imminente viaggio apostolico in Cile e Peru, il Sinodo sui giovani, l’Incontro mondiale delle famiglie a Dublino e ancora Amoris Laetitia e la riforma della Curia Romana. Sono i temi forti dell’intervista rilasciata dal cardinale Pietro Parolin a Vatican News. Il segretario di Stato vaticano si sofferma innanzitutto sulle grandi aspettative che la Chiesa nutre nei confronti dei giovani, nell’anno che vedrà la celebrazione del Sinodo dedicato alla gioventù, il prossimo ottobre, preceduto da un pre-Sinodo a marzo:
La Chiesa guarda con speranza ai giovani
R. – Certamente, quest’anno – l’anno 2018 – sarà caratterizzato proprio da una speciale concentrazione dell’attenzione della Chiesa a tutti i suoi livelli sui giovani, quindi sulle loro attese, sulle loro aspirazioni, sulle sfide che devono affrontare e anche sulle speranze che portano con sé, come sulle debolezze e sulle paure. Quindi sarà un anno importante: il Papa l’ha già ricordato anche nei recenti discorsi durante questo periodo natalizio. Io credo che la cosa più innovativa di questo approccio sia la ricerca di una nuova relazione della Chiesa con i giovani, improntata ad un paradigma di responsabilità esente da ogni paternalismo. La Chiesa vuole entrare veramente in dialogo con la realtà giovanile, vuole capire i giovani e vuole aiutare i giovani. Nello stesso tempo vorrei riferirmi a quel famoso discorso che fece John Kennedy quando prese possesso del suo ufficio, nel lontano 1961, quando disse: “Non dovete chiedervi che cosa il Paese può fare per voi, ma dovete chiedervi cosa voi potete fare, dovete fare per il Paese”. Credo che questo sia, in fin dei conti, anche l’approccio innovativo, cioè la Chiesa chiede ai giovani, il Papa, la Chiesa chiedono ai giovani che cosa possono fare loro per la Chiesa, quale contributo possono dare al Vangelo, alla diffusione del Vangelo, oggi! E credo che a questo invito i giovani sapranno rispondere con la loro generosità e anche con il loro entusiasmo.
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D. – I giovani richiamano, ovviamente, la famiglia. Ad agosto, a Dublino, l’Incontro mondiale delle famiglie: un appuntamento importante che arriva due anni dopo la pubblicazione di Amoris laetitia. Che bilancio si può fare, secondo lei, sulla recezione di questo documento e perché, secondo lei, ha suscitato un confronto così acceso nel mondo cattolico?
Amoris Laetitia scaturisce da un nuovo paradigma
R. – Evidentemente, la Chiesa dopo la celebrazione dei due Sinodi e la pubblicazione dell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, si è messa in questa direzione. E sicuramente, anche la celebrazione della Giornata mondiale della famiglia a Dublino sarà una tappa – io penso –importante perché è anche la prima, in fin dei conti, dopo la pubblicazione del documento. Una tappa di riflessione, una tappa di approfondimento e una tappa anche per portare avanti questo processo di applicazione delle indicazioni dell’Amoris laetitia. Anche qui forse userei lo stesso termine che ho usato prima, cioè che in fin dei conti l’Amoris laetitia è scaturita da un nuovo paradigma che Papa Francesco sta portando avanti con sapienza, con prudenza e anche con pazienza. Probabilmente, le difficoltà che sono sorte e che ancora esistono nella Chiesa, oltre che ad alcuni aspetti del contenuto, sono dovute proprio a questo cambiamento di atteggiamento che il Papa ci chiede. Un cambiamento di paradigma, insito proprio nello stesso testo, che ci viene chiesto: questo spirito nuovo, questo approccio nuovo! Quindi, evidentemente, ogni cambiamento comporta sempre delle difficoltà, ma queste difficoltà vanno messe in conto e vanno affrontate con impegno, per trovare delle risposte che diventino momenti di ulteriore crescita, di ulteriore approfondimento. Anche qui credo che l’Amoris laetitia, oltre ad essere un abbraccio che la Chiesa fa alla famiglia e alle sue problematiche nel mondo d’oggi, per aiutare davvero a incarnare il Vangelo all’interno della famiglia – che è già un Vangelo: il Vangelo della famiglia – è nello stesso tempo anche una richiesta di aiuto alle famiglie perché collaborino e contribuiscano alla crescita della Chiesa.
D. – Eminenza, a marzo ricorre il quinto anniversario dell’elezione di Papa Francesco. Uno dei punti forti del Pontificato, come sappiamo, è il processo di riforma, della Curia e non solo. Come, secondo lei, si potrà sviluppare questo processo nel prossimo futuro?
Riforma più importante è la conversione personale
R. – Evidentemente già ci sono stati dei passi, dei notevoli passi in avanti. Già l’anno scorso, il Papa nel discorso alla Curia elencava un po’ tutti i provvedimenti che sono stati presi dopo studio, soprattutto da parte del Consiglio dei cardinali del C9. Però, mi pare che nel discorso – ed è un motivo che ritorna costantemente nel Magistero di Papa Francesco, quando si parla della Curia – non si tratti tanto di insistere sulle riforme strutturali, con la promulgazione di nuove leggi, di nuove normative, nomine, eccetera; quanto piuttosto sullo spirito profondo che deve animare ogni riforma della Curia, ed è la dimensione fondamentale della vita cristiana, cioè quella della conversione. Quindi, far sì che la Curia – sempre più e sempre meglio, togliendo anche quelle ombre che possono ostacolare questo impegno e questa missione – possa diventare davvero un aiuto al Papa per annunciare il Vangelo, per testimoniare il Vangelo, per evangelizzare il mondo di oggi. Io insisterei ancora una volta su questo, anche se è uno sguardo di fondo e non scende nella concretezza delle singole riforme o dei singoli cambiamenti, che però ci sono già stati e che continueranno. Sono in corso altri approfondimenti riguardanti altri organismi della Curia romana, però questa è la prospettiva fondamentale nella quale dobbiamo metterci e sulla quale il Papa continuamente ci richiama e su cui vorrei mettere l’accento.
D. – Il 2018, appena iniziato, sarà ovviamente anche un anno di viaggi apostolici per Papa Francesco. Tra pochi giorni, il Papa torna in America Latina. Qual è il significato più importante, secondo lei, della visita in Cile e Perù?
Viaggio in America Latina ricco di sfide
R. – E’ sempre l’incontro con le Chiese, è sempre l’incontro con la comunità cristiana. Il Papa va da pastore della Chiesa universale per incontrare delle Chiese locali; naturalmente, Chiese che sono particolarmente vivaci, particolarmente attive come la Chiesa in Cile, come la Chiesa in Perù e che d’altra parte, anche, si trovano ad affrontare numerose sfide di fronte alla realtà del mondo di oggi. Sono tante le sfide! Accenno a due, in particolare, che stanno molto a cuore al Papa. La prima è la sfida della popolazione indigena, degli indigeni: e qui faccio riferimento anche al Sinodo sull’Amazzonia che è stato convocato dal Papa recentemente e che si terrà nel 2019; quindi, qual è il ruolo, qual è il contributo di queste popolazioni all’interno dei singoli Paesi, delle loro società, e per dare un contributo anche a queste società. Poi, un tema che il Papa sente forte e sul quale è tornato con parole anche molto marcate, quello della corruzione, che impedisce lo sviluppo e che impedisce anche il superamento della povertà e della miseria. Credo che sarà un viaggio non semplice, ma sarà davvero un viaggio appassionante.