Aleteia compie una radiografia dei martiri del XXI secoloIl sangue dei martiri continua ad essere seme di nuovi cristiani all’inizio del 2018. Giunge a questa conclusione chi ripercorre la testimonianza di uomini e donne che in vari Paesi del mondo hanno effuso il proprio sangue per la fede in Gesù.
Di seguito presentiamo una lista di questi testimoni contemporanei del Vangelo fino alle conseguenze più estreme.
L’elenco è necessariamente incompleto. Se conoscete altri casi di cristiani delle varie confessioni che hanno perso la vita in modo cruento per via della loro fede in Cristo, potete suggerircene i nomi nella sezione dedicata ai commenti di questo articolo, offrendoci fonti che ci permettano di documentare le circostanze della loro morte.
1) Pakistan: assassinato brutalmente a 15 anni perché era cristiano
Si chiamava Sharon Masih e aveva solo 15 anni. Da tempo aveva chiesto alla sua famiglia e ai professori di poter cambiare scuola a Burewala (vicino Multan), nel sud del Punjab, perché i suoi compagni lo avevano trasformato nel bersaglio di ogni tipo di minacce e vessazioni per un motivo: era cristiano.
Il 30 agosto 2017 la situazione è degenerata. Alcuni ragazzi della sua classe lo hanno preso con la forza e hanno iniziato a picchiarlo in un luogo appartato.
“O professi la tua conversione all’islam o ti uccidiamo!”, gli hanno gridato. Il ragazzo, che aveva già ricevuto questa minaccia, ha risposto come nelle altre occasioni, un “No” in quel momento indebolito dai tanti colpi ricevuti.
Influenzati dal fanatismo che domina in certi ambienti islamici del Pakistan, i compagni di Sharon lo hanno tempestato di pugni e calci, fino a ucciderlo. Il personale della scuola lo ha portato all’ospedale di Burewala, dove i medici non hanno potuto fare altro che constatarne la morte.
La cronaca del suo martirio è stata pubblicata dall’agenzia missionaria della Santa Sede, Fides.org. “La violenza inizia tra i banchi di scuola perché i libri di testo usati fin dalle scuole primarie e instillano negli allievi odio e intolleranza verso i non musulmani”, ha affermato James Paul, professore cristiano pakistano presidente della Pakistan Minorities Teachers’ Association (PMTA).
La situazione dei cristiani, cattolici e protestanti, nel Paese è drammatica: il 2 giugno 2017 l’operaio cristiano Iran Masih, comparso mentre lavorava in una fogna di Umerkot, a Lahore, è morto dopo che un medico dell’ospedale, in pieno Ramadan, si era rifiutato di toccare il suo corpo sporco, come ha registrato Fides.
Sempre in Pakistan, Asia Bibi ha passato il suo nono Natale dietro le sbarre di un carcere di Multan, accusata ingiustamente di blasfemia. In realtà, si era limitata a invocare il nome di Gesù di fronte alle sue vicine mentre lavava i panni. Purtroppo il suo non è un caso isolato, e altri cristiani hanno vissuto il Natale in carcere vittime della legge sulla blasfemia.
2) Bolivia: giovane missionaria polacca ha rischiato tutto per Cristo
Helena Agnieszka Kmiec, bella e talentuosa giovane polacca di 26 anni, aveva un sogno: dedicare sei mesi della sua vita promettente ad assistere i bambini di Pacata Alta, in Bolivia, e condividere con loro la sua ricchezza più grande: l’amore di Gesù.
Il suo sogno è stato stroncato nel gennaio scorso, 15 giorni dopo il suo arrivo, da 14 pugnalate sferrate da due uomini ora in carcere.
Helena era membro della comunità cattolica Wolontariat Misyjny Salvator (WMS) di Gliwice, in Polonia. Su Facebook aveva condiviso la sua gioia per il fatto di essere arrivata in Bolivia: “Qui è estate, ci sono 27 gradi e ci hanno accolto come sorelle. Cochabamba sarà la nostra casa per i prossimi sei mesi”. Sono state le ultime parole che è riuscita a scrivere.
Helena è stata vittima di due malfattori che hanno fatto irruzione per rubare nella residenza delle religiose Serve della Madre di Dio, dove viveva. Quando sono stati scoperti dalla ragazza l’hanno uccisa.
La sua generosità l’aveva già portata in altri Paesi – Romania, Ungheria e Zambia —, doveva aveva lasciato un ricordo indimenticabile con il suo sorriso e le melodie delle sue canzoni accompagnate dalla chitarra, autentica carezza di Dio per molte persone bisognose.
Il caso di Helena sottolinea la sfida che vivono i missionari in America Latina, subcontinente in cui nel 2017 sono morti undici misisonari (otto sacerdoti, un religioso e due laici).
In particolare, i sacerdoti hanno pagato un prezzo molto elevato per via dell’ondata di insicurezza che si vive in molti Paesi latinoamericani. In Messico ne sono stati assassinati 4, in Colombia 3, in Brasile e a Haiti uno.
Negli ultimi anni l’America Latina è diventata purtroppo il luogo più pericoloso per i missionari. Non sono martiri della fede (perché sono morti vittime della delinquenza), ma la maggior parte di loro ha accettato volontariamente di essere missionaria, pur consapevole del rischio che si correva.
3) Nigeria: assassinati dalle bombe umane
I cristiani della Nigeria sono tra gli obiettivi prioritari di Boko Haram, uno dei gruppi terroristici di carattere fondamentalista islamica più sanguinosi del pianeta.
L’11 dicembre scorso, terroristi suicidi si sono avvicinati alle porte della chiesa di Pulka, nel nord-est della Nigeria, particolarmente impegnata nell’assistenza ai rifugiati rimpatriati dal Camerun.
La Radio Vaticana ha rivelato che tra i militanti di Boko Haram c’erano due donne, che vedendo il catechista Joseph Naga si sono avvicinate per abbracciarlo.
L’altro catechista del gruppo, John Manye, e uno dei suoi aiutanti, del quale si è saputo solo il nome, Patrick, hanno sospettato cosa stesse per accadere e si sono avvicinati per aiutare John.
Rendendosi conto della loro reazione, le due donne hanno fatto esplodere i propri giubbotti esplosivi, provocando la morte anche di altri catecumeni che si trovavano accanto ai catechisti in preparazione della visita che il vescovo avrebbe realizzato per amministrare i sacramenti.
Joseph, di 56 anni e padre di 11 figli, era catechista da 36 anni; John, 38 anni, padre di 5 figli, esercitava questo servizio da più di un decennio. Patrick aveva 27 anni ed era celibe.
Boko Haram, che ha aderito al cosiddetto Stato Islamico, ha tra i suoi obiettivi dichiarati instaurare la sharia (la legge islamica) in tutti gli Stati della Nigeria. I cristiani del Paese, protestanti e cattolici, sono tra le sue vittime principali.
4) Cina: “martiri” in vita
Erano “martiri” in vita. Nel 2017 hanno perso la vita numerosi vescovi e sacerdoti della Chiesa cattolica in Cina, dopo aver subito tremende persecuzioni e numerosi anni di carcere o lavori forzati.
Monsignor Silvestro Li Jiantang, già vescovo di Taiyuan, è morto il 13 agosto a 93 anni. Per 14 anni (tra il 1966 e il 1980) era stato incarcerato in un campo di lavori forzati, secondo quanto ha reso noto Asianews.it. Dopo essere stato ordinato vescovo, aveva dedicato buona parte dei suoi sforzi a rilanciare il seminario della sua diocesi. Il Governo locale aveva reagito chiudendo la struttura nel 2013.
Monsignor Paolo Xie Tingzhe, vescovo di Urumqi, nello Xinjiang, è morto il 14 agosto a 86 anni. Alla fine degli anni Cinquanta, quando era ancora seminarista, venne incarcerato per essersi rifiutato di aderire all’Associazione Patriottica cattolica, controllata dal regime comunista.
È stato costretto ai lavori forzati per quasi vent’anni (tra il 1961 e il 1980). Dopo la sua liberazione è stato ordinato sacerdote, e nel 1991 vescovo in modo clandestino. Era molto attivo su Internet nell’annuncio del Vangelo. Animava anche gruppi di chat in cui insegnava canti in latino ai suoi amici.
Il 7 dicembre è morto a 90 anni monsignor Mattia Yu Chengxin, vescovo coadiutore emerito di Hanzhong (nello Shaanxi), ha reso noto Asianews.
Era entrato in seminario nel 1956, ma la struttura era stata chiusa due anni dopo. Durante la Rivoluzione Culturale (1966-1976) era stato sottoposto agli arresti domiciliari e poi ai lavori forzati in un campo di concentramento. Era stato ordinato vescovo nella clandestinità nel 1989.
Il 9 giugno è morto a 89 anni monsignor Juan Liu Shigong, vescovo di Jining (Tsining), nella Mongolia Interiore, nella Cina continentale. Ordinato sacerdote nel 1956, era stato costretto ai lavori forzati durante la Rivoluzione Culturale.
Monsignor Casimiro Wang Milu di Tianshui (Qinzhou), nella provincia di Gansu, morto a 74 anni il 14 febbraio, aveva trascorso buona parte del suo ministero episcopale in carcere. Era stato ordinato vescovo clandestinamente nel 1981. Nel 1983 le autorità lo avevano chiuso in carcere per dieci anni.
La vita dei vescovi clandestini in Cina continua ad essere estremamente difficile, perché alcuni di loro sono privati della libertà.
È il caso, ad esempio, di monsignor Thaddeus Ma Daqin, vescovo ausiliare di Shanghai, agli arresti domiciliari dal 2012 perché in occasione della sua ordinazione episcopale ha annunciato che lasciava l’Associazione Patriottica controllata dal Governo.
Un altro caso è quello di monsignor Pietro Shao Zhumin, vescovo di Wenzhou (Zhejiang), da circa otto mesi sotto il controllo della Polizia. L’11 settembre il vescovo era stato visto nell’ospedale Tongren di Pechino, dove doveva essere operato a un orecchio. In un messaggio inviato per Wechat ha chiesto ai fedeli di pregare per lui ma di non andare a trovarlo per motivi di sicurezza.
I casi dei sacerdoti che hanno perso la libertà in Cina sono ancora più numerosi. Autentici “martiri” in vita.
5) Filippine: operai danno la vita per non rinnegare la propria fede
Sono morti assassinati per non recitare la shahada, la professione di fede islamica. È la testimonianza che hanno offerto con la propria vita otto cristiani nell’isola filippina di Mindanao.
Il loro martirio è stato confermato dalle indagini svolte dalle autorità locali dopo la barbarie, perpetrata dai terroristi del Gruppo Maute, noto anche come Stato Islamico di Lanao, collegato allo Stato Islamico.
I cristiani erano operai che andavano da Marawi alla città di Iligan quando sono stati fermati dai terroristi, che hanno legato loro le mani e li hanno posti di fronte a un’alternativa: professare la fede islamica e salvarsi la vita o morire.
Gli otto filippini non hanno esitato e hanno affidato la propria anima al Signore. Uno sparo sordo è stata l’unica cosa che hanno sentito prima di cadere a terra. I loro corpi sono stati abbandonati in strada, con un cartello su cui si leggeva “Munafik”, che significa traditore o bugiardo.
Lo stesso gruppo terroristico aveva sequestrato poco prima nella cattedrale di Maria Ausiliatrice di Marawi il sacerdote cattolico filippino Teresito “Chito” Soganub (noto come “padre Chito”), molto famoso a Mindanao per la sua opera di promozione del dialogo tra cristiani e musulmani, e 23 fedeli. I terroristi hanno poi dato alle fiamme la cattedrale. Il sequestro del sacerdote, durato 117 giorni, si è concluso grazie a un’operazione antiterrorismo dell’Esercito filippino.
6) India: lo avevano avvertito dicendo “Smetti di predicare la Bibbia”
Gli avevano detto in varie occasioni di smettere di predicare la Bibbia, ma Sultan Masih, di 47 anni, pastore pentecostale della chiesa del Tempio di Dio di Ludhiana, la città più grande dello Stato indiano del Punjab, non li ha ascoltati.
Due uomini gli hanno sparato alle gambe, al volto e al petto mentre usciva dal tempio, secondo le cronache locali.
Il pastore, che dirigeva anche una scuola per bambini poveri, svolgeva la propria missione da vent’anni in quella chiesa. Aveva quattro figli, due dei quali adottati.
La figlia 22enne Alisha Masih ha spiegato che il padre aveva ricevuto molte minacce per telefono e via Internet, che riassumendo dicevano “Smetti di predicare o ti uccideremo”.
È chiaro che si è trattato di un omicidio pianificato, perché gli assassini avevano studiato i suoi movimenti e sapevano quando sparargli con più facilità.
Le indagini della Polizia e dei servizi di intelligence indiani sono ancora in corso.
Il 31 dicembre, The Times of India ha spiegato che la Polizia ritiene che questo omicidio, come altri avvenuti nel 2017 nel Punjab, sia stato progettato dallo Stato Islamico con sede in Pakistan.
Il 2017 è stato molto difficile per la comunità cristiana indiana, che rappresenta solo il 2,3% della popolazione. Secondo Persecution.org, solo nei primi sei mesi dell’anno sono stati registrati 410 attacchi violenti contro comunità cristiane, nella maggior parte dei casi perpetrati da fondamentalisti induisti.
7) Corea del Nord: Martiri anonimi
La situazione più difficile per i cristiani nel mondo si vive in Corea del Nord, e paradossalmente non è possibile conoscere il nome dei martiri e dei perseguitati.
Secondo il Rapporto sui “cristiani oppressi a causa della loro fede tra il 2015 e il 2017” pubblicato dall’opera pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, nel Paese di Kim Jong-un la libertà per i cristiani è stata totalmente schiacciata.
“In Corea del Nord, il più spietato Paese persecutore – come il rapporto definisce lo Stato presieduto da Kim Jong-un –, le indicibili atrocità commesse contro i cristiani includono la privazione di cibo e l’aborto forzato, mentre sono stati riportati casi di fedeli
legati a delle croci sospese sopra il fuoco e di altri schiacciati da compressori a vapore”.
Nel Paese, “il sistema di stratificazione sociale ‘Songbun’ determina l’accesso a beni e servizi necessari quali cibo, educazione e assistenza sanitaria, sulla base della posizione occupata dai cittadini in una delle 51 potenziali categorie che indicano maggiore o minore lealtà al regime”.
“Chi si trova nelle ultime categorie è classificato ostile allo Stato (i protestanti si trovano in posizione 37, mentre i cattolici alla 39). Questo sistema favorisce la discriminazione basata sul credo religioso all’interno della struttura portante della comunità comunista”.
La morte dello studente statunitense Otto Warmbier, avvenuta nel giugno 2017 dopo la sua detenzione nelle carceri della Corea del Nord, ha portato alla luce la situazione in cui vivono i perseguitati.
Il regime ha attribuito la sua uccisione al cristianesimo, anche se Warmbier era ebreo. Lo Stato lo ha accusato di aver tolto un cartellone politico esposto nel suo hotel su richiesta di un amico appartenente alla Chiesa metodista Friendship United.
Nelle sue accuse a Warmbier, il regime ha insistito sul fatto che il cristianesimo è una realtà straniera.
Un ex agente di sicurezza nordcoreano ha rivelato alla ONG Christian Solidarity Worldwide (CSW) che il regime collega il cristianesimo agli Stati Uniti e considera i cristiani spie straniere, motivo per il quale vanno giustiziati.
Il terribile stato di salute in cui Otto Warmbier è tornato negli Stati Uniti, totalmente incosciente, è servito per comprendere un po’ meglio le condizioni tremende dei detenuti nei campi di concentramento nordcoreani.
Fonti dello studio pubblicato da Aiuto alla Chiesa che Soffre ritengono che tre quarti dei cristiani detenuti nei campi di concentramento muoiano a seguito di atroci punizioni.
I loro nomi vengono tuttavia nascosti dai servizi di sicurezza. Sono i martiri anonimi del nostro tempo.
8) Copti: fedeltà a Cristo fino all’eroismo
Mentre il mondo si preparava a festeggiare la fine dell’anno, il 30 dicembre 9 persone sono state brutalmente assassinate in un attacco contro la minoranza cristiana in Egitto perpetrato da un jihadista armato in una chiesa a sud del Cairo e rivendicato dal gruppo dello Stato Islamico.
È stato l’ultimo di un serie di attentati commessi dagli jihadisti, che solo nel 2017 hanno provocato oltre cento vittime. Un prezzo elevatissimo che viene pagato dai cristiani copti, comunità che rappresenta il 10% dei quasi cento milioni di abitanti del Paese, a maggioranza musulmana, la prima minoranza religiosa.
I copti costituiscono la comunità cristiana più grande del Medio Oriente e una delle più antiche, visto che secondo la tradizione questa Chiesa si è insediata nel 50 d.C., quando l’evangelista San Marco, che i copti considerano il primo patriarca (Papa) di Alessandria, visitò l’Egitto.
Il suo successore, Teodoro II, Papa della Chiesa ortodossa Copta, patriarca di Alessandria, ha affermato in un messaggio di cordoglio che la sua comunità “continua ad essere forte e capace di sconfiggere le forze oscure” con la forza della sua adesione a Cristo.
Dal dicembre 2016, il ramo dello Stato Islamico in Egitto ha ucciso dozzine di cristiani in attacchi con bombe e armi da fuoco contro chiese di tutto il Paese.
Lo Stato Islamico ha rivendicato un attacco suicida contro la chiesa copta di San Pietro e San Paolo al Cairo l’11 dicembre 2016, che ha provocato 29 morti.
Nell’aprile 2017, 45 persone sono morte in due attacchi suicidi rivendicati dallo Stato Islamico ad Alessandria, seconda città del Paese, e a Tanta, nel nord.
A maggio, un uomo armato di quel gruppo terroristico ha ucciso a sud del Cairo 28 cristiani che si stavano recando in un monastero.
L’ossessione dello jihadismo terrorista contro i copti egiziani fa parte dell’intolleranza religiosa che professa. I cristiani sono un nemico debole, sia per il loro carattere minoritario in una società a maggioranza musulmana che per il fatto di vivere in una situazione di emarginazione sociale.
Tutti questi attentati hanno avuto luogo quest’anno di fronte a una certa indifferenza della comunità internazionale e dei mezzi di informazione. Basta immaginare come reagirebbe la comunità internazionale se una serie di attentati così gravi fosse stata perpetrata contro qualche Paese europeo. Sembrerebbe che ci siano vite umane di prima e di seconda categoria, quando queste non vivono in Occidente.
Sembra preoccuparsi di quello che accade ai cristiani copti solo Papa Francesco, che nel suo viaggio in Egitto il 28 e il 29 aprile ha voluto richiamare l’attenzione del mondo sulla loro persecuzione, rendendo omaggio alla Chiesa copta per la sua fedeltà a Cristo ormai quasi bimillenaria nonostante le persecuzioni continue che deve affrontare.
9) Camerun: Morte al vescovo?
I nemici della Chiesa a volte si inorgogliscono per la morte dei cristiani, a volte la nascondono, lavando il sangue di cui hanno macchiate le mani. Questo secondo caso sembra spiegare la morte violenta di monsignor Jean-Marie Benoît Balla, che Giovanni Paolo II aveva nominato vescovo di Bafia, nel suo Camerun natale.
Il presule era noto nel Paese per il suo spirito missionario, che lo aveva portato a fondare parrocchie, promuovere scuole cristiane e introdurre nelle celebrazioni liturgiche il balafon, uno xilofono tipico della tradizione musicale africana.
Nella notte tra il 30 e il 31 maggio 2017 ha lasciato la sua residenza dopo aver ricevuto una telefonata. Nella sua automobile, apparsa il giorno dopo su un ponte sul fiume Sanaga, c’era un biglietto: “Sono in acqua”. Tutto sembrava indicare una manovra per fingere un suicidio. Tre giorni dopo, il suo corpo è apparso nel giume.
In base ai primi elementi delle indagini, il corpo del presule sarebbe stato gettato nell’acqua dopo che il vescovo era stato torturato e assassinato. Il procuratore generale del Camerun ha presentato il 4 luglio un rapporto in cui si affermava che l’ipotesi più probabile è che il vescovo sia morto affogato per suicidio.
Quattro giorni dopo, monsignor Samuel Kleda, arcivescovo di Douala e presidente della Conferenza Episcopale del Camerun, ha dichiarato di non essere d’accordo con le conclusioni del procuratore e ha confermato che “monsignor Jean-Marie Benoît Balla è stato brutalmente assassinato”. A luglio, la Conferenza Episcopale ha deciso di presentare una denuncia contro ignoti per l’omicidio del vescovo.
Il 3 agosto, il successore provvisorio del vescovo come amministratore della diocesi, monsignor Joseph Akonga Essomba, ha affermato che gli assassini del vescovo godono della protezione dei membri del Governo.
Il 28 agosto la tomba del vescovo, nella cattedrale di San Sebastiano di Bafia, è stata profanata. Si indaga sull’accaduto, come è ancora aperta l’indagine sulla morte del presule.
La mancanza di chiarezza nelle indagini ricorda che molti altri missionari cattolici sono stati assassinati negli ultimi decenni in Camerun senza che siano stati trovati i colpevoli.
È il caso, ad esempio, di uno dei collaoratori più stretti di monsignor Balla, il rettore del seminario minore di Sant’Andrea a Bafia, il sacerdote Armel Djama, morto in circostanze sospette.
Altri casi di missionari cattolici morti in modo tragico e senza che siano stati trovati i colpevoli sono monsignor Yves Plumey, arcivescovo emerito di Garoua (1991), il sacerdote Joseph Mbassi, editore della pubblicazione cattolica L’Effort camerounnais (1988), il teologo gesuita Engelbert Mveng (1995), le religiose francesi Germaine Marie Husband e Marie Léone Bordy, responsabili di un dispensario in una missione cattolica (1992), e il sacerdote Apollinaire Claude Ndi, parroco di una chiesa vicina a Yaoundé (2001). Dal 2010 numerose parrocchie e vari parroci hanno subito attacchi, seguiti spesso dal silenzio delle autorità.
In Camerun l’assassinio di cristiani viene presentato come suicidio, anche se nessuno sembra crederci.
10) Nelle mani dello Stato Islamico
Non sarebbe completo ripercorrere i testimoni della fede che hanno dato la vita per Cristo nell’ultimo anno senza menzionare il caso dei missionari cristiani sequestrati dallo Stato Islamico o da gruppi jihadisti in vari Paesi.
Il caso più recente è quello di una missionaria colombiana, suor Gloria Cecilia Narváez Argoty, sequestrata l’8 febbraio nel villaggio di Karangasso, in Mali.
A luglio il gruppo Al Qaeda del Mali, attraverso le reti sociali, ha pubblicato un video in cui si vedeva la religiosa con altre cinque persone, anche loro ostaggi stranieri sequestrati dalla rete jihadista. Malgrado la mobilitazione della Chiesa e dei Governi, non si hanno notizie concrete di suor Gloria.
Molto più tragica è la situazione del sacerdote gesuita italiano Paolo Dall’Oglio, sequestrato il 29 luglio 2013 ad Al Raqa, in Siria. Negli ultimi anni si sono susseguite voci di ogni tipo, ma per il momento non c’è alcuna notizia sicura sulla sua sorte.
In questa serie tragica di fatti, è stata fonte di speranza, il 12 settembre, la liberazione del sacerdote indiano Tom Uzhunnalil, salesiano, sequestrato il 4 marzo 2016 ad Aden, nello Yemen, durante l’attacco di alcuni jihadisti alla casa per anziani delle suore di Madre Teresa in cui sono state assassinate 4 religiose e altre 12 persone.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]