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7 cose sorprendenti che i personaggi della storia di Natale mi hanno insegnato su me stessa

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Catholic Link - pubblicato il 24/12/17
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di  Ruth Baker

Se doveste ripercorrere la narrazione della storia della nascita di Gesù lo fareste piuttosto bene, vero? Non è una domanda-trabocchetto, perché sono d’accordo, la conosciamo tutti benissimo. E se il motivo per cui la conosciamo così bene non fosse solo perché l’abbiamo sentita tante volte, anno dopo anno da quando eravamo bambini? E se la ragione fosse un’altra, più profonda?

E se ciascuno dei personaggi principali della storia della Natività sottolineasse alcune caratteristiche del nostro cuore? E se nella storia della Natività trovassimo noi stessi al livello più profondo, nel cuore di quelli di cui leggiamo?

Quando considero ciascuno dei personaggi principali della storia della Natività, vedo che corrispondono direttamente a qualcosa nel mio cuore. Penso che valga lo stesso per tutti noi. Erano persone comuni che si sono ritrovate in una situazione straordinaria. Il modo in cui hanno risposto mostra la verità del loro cuore, e anche quella del nostro.

Per spiegare tutto questo, guarderò la stalla in cui è nato Gesù da fuori, con un conto alla rovescia dei personaggi della storia della Natività che mi hanno insegnato qualcosa di profondo su me stessa.

7. Erode: la parte di me che non vuole un altro re

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Erode è quella parte di me che non vuole un altro re, che non vuole inchinarsi davanti a qualcos’altro che non sia me stessa. Questa parte di me è totalmente dominata dalla mia paura – la paura di non essere abbastanza. Questa paura sfocia nell’orgoglio, per provare che basto da sola piuttosto che bastare quando vengo completata da Cristo. Erode è la parte di me che difenderà il proprio regno ad ogni costo (Mt 2, 16), la parte di me che ignora il desiderio del mio cuore di adorare il Dio che mi ha creata e si volge invece verso altri idoli e dipendenze che soddisfano il mio ego. È la parte di me che disprezza la chiamata ad essere “piccoli come bambini”. È la parte di me che vuole il potere, che non vuole essere controllata.

6. I consiglieri di Erode: la mia conoscenza di Dio che ignoro

Il Vangelo di Matteo (Mt 2, 3) ci dice che “tutta Gerusalemme” – non solo Erode – era turbata dalla notizia per la quale c’era un re bambino dei Giudei. Erode riunì intorno a sé i capi dei sacerdoti e gli scribi, che erano in grado di parlargli esattamente della profezia del capo di Giuda. Conoscevano Dio e sapevano del bambino che sarebbe nato. Ma dov’erano quando Erode ordinò il massacro di tutti i bambini sotto i due anni? Cercarono di trattenerlo? I consiglieri di Erode sono la parte del mio cuore che ha conosce Dio ma non lo segue con amore, ignorandolo o peggio ancora lasciando regnare il male. È la parte del mio cuore completamente governata dalla paura e che non fa nulla per alleviare la sofferenza o la paura altrui. Forse è per questo che Gesù ci esorta tante volte nei Vangeli a non avere paura – perché sa quanto il peccato derivi dalla paura.

5. I Re Magi: i miei desideri più profondi

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Quando penso ai Re Magi, penso a un senso di avventura. Quegli uomini e il loro viaggio sono la parte del mio cuore che sa che sono fatta per cose qualcosa di più grande e anela a un’avventura per scoprire cosa sia.

Anche se erano stranieri che provenivano da una terra lontana e senza nome, non sono stati soddisfatti fin quando non hanno seguito i propri aneliti più profondi per trovare il re bambino dei Giudei (Mt 2, 2). Quanto devono essere andati al di là di se stessi! Oltre i loro Paesi, le loro culture, presumibilmente la loro stessa religione. Qualcosa era stato scosso in loro e non potevano ignorarlo. Quante volte sentiamo un risveglio nei nostri cuori, un desiderio insaziabile di qualcosa di più, di qualcosa che ci superi? Sappiamo che siamo fatti per più di quello che abbiamo – ed è per questo che continuiamo a cercare dentro di noi.

Come ha scritto C.S. Lewis, “se trovo in me dei desideri che nulla a questo mondo può soddisfare, l’unica spiegazione logica è che sono fatto per un altro mondo” (da Il cristianesimo così com’è).

I Re Magi hanno riconosciuto proprio questo, e noi lo riconosciamo in noi, nei desideri del nostro cuore che non possono essere soddisfatti pienamente. Il significato del verbo “desiderare” si riferisce alle stelle. Come i Magi, seguiremo quella stella, quel desiderio, ovunque ci porti. Forse i Magi rappresentano i veri momenti di gioia nella nostra vita, i momenti in cui riconosciamo quanto Dio ci sia vicino, quando Dio ci conduce in un’avventura al di là dei nostri sogni più arditi, quando ci mostra a cosa aneliamo e ci permette di inginocchiarci davanti a Lui.

Forse questo elemento del nostro cuore può essere riassunto al meglio citando le parole pronunciate da Papa Giovanni Paolo II in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù del 2000:

È Gesù che cercate quando sognate la felicità… è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità…”

4. I pastori: la mia povertà

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Se i Re Magi sono il senso dell’avventura nel mio cuore, allora i pastori sono l’aspetto più povero di quel desiderio. I pastori rappresentano la povertà del mio cuore. “C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge” (Lc 2, 8). Consideriamo ancora una volta chi erano i pastori. Molto probabilmente poveri, forse non in grado di nutrire i propri figli, schiavi del dover accettare qualsiasi lavoro trovassero, vivevano in una terra occupata da un conquistatore ostile e brutale. Le loro credenze e i loro costumi erano a malapena tollerati. Erano oppressi, abituati a violenza e ingiustizie e ai rigori del mondo naturale e animale di cui si occupavano. La notte, l’oscurità, non era loro ignota.

Eppure sapevano come prendersi cura, come andare a cercare la pecorella perduta, come tenere unito il proprio gregge, al sicuro dai predatori. I pastori erano quelli che si sono affrettati ad andare alla mangiatoia dopo che gli angeli avevano fatto loro visita. Erano quelli che dovevano dire a Maria e a Giuseppe cosa avevano sentito sul salvatore che era nato, stupendo chiunque li ascoltasse con ciò che avevano da dire. Erano davvero il compendio delle beatitudini: i miti che ereditano la terra, gli affamati e assetati della giustizia.

I pastori sono la parte di me che riconosce la mia povertà, che il mio cuore è occupato dal peccato, che posso essere schiava della brutalità del peccato altrui che sconfina nel terreno sacro del mio cuore. È la parte di me che anela a tornare a casa, a ricevere la grazia che mi chiama a uscire dalle ombre della notte e ad entrare nel calore della stalla. È la parte di me che abbatte tutto ciò che ho (non molto), che tira fuori il meglio di me, i miei desideri, tutte le volte in cui provo davvero a fare ciò che è giusto. È la parte di me che dà una possibilità alla speranza, che si affretta nella notte per cercare il mio Dio. È la parte di me che conosce e confida nel fatto che Dio possa riempire il mio vuoto con qualcosa che il mondo non può offrire. È la parte di me che alla fin fine sa che la mia povertà non conta: la gioia di incontrare Dio è una ricchezza che va al di là di tutto quello che potrei mai sperare di possedere.

3. Giuseppe: coraggio e forza

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Penso che i momenti peggiori della vita siano quelli in cui è accaduto qualcosa di così terribile che sembra che la terra ci venga strappata sotto i piedi e la mappa della nostra vita (che forse riuscivamo a vedere in modo così chiaro davanti a noi) sia stata sconvolta. È un momento di disorientamento. Mi chiedo se è questo che ha provato Giuseppe quando ha sentito la notizia della gravidanza di Maria. Al di là delle rassicurazioni dell’angelo, servivano coraggio e forza probabilmente per molto più tempo di quello che pensiamo e riconosciamo a Giuseppe. Forse è stato un apprendimento quotidiano per calibrare nuovamente la sua disponibilità nei confronti della volontà del Padre.

Giuseppe è la parte del mio cuore che dice “Sì, Dio, confido in Te, assumerò ciò che non è mio ed eserciterò vero amore nel mettere ciò che è meglio per l’altra persona al di sopra di quello che voglio. Giuseppe è la parte del mio cuore che accetta che il progetto di Dio è migliore del mio, la parte del mio cuore che riconosce che anche quando mi sento una straniera nella mia stessa vita posso comunque confidare nel fatto che Dio tiene la mia vita tra le sue mani amorevoli.

Giuseppe è la parte della mia vita che fa ciò che è giusto, semplicemente perché è giusto, ma che esercita questa giustizia con amore e sollecitudine. È la parte del mio cuore che è madre adottiva dei progetti della mia vita che derivano da Dio e non da me ma da cui non fuggo, sapendo che la paura non è di Dio e che non ho bisogno di temere ciò che Dio mi dà.

2. Maria: il mio cuore nella sua massima profondità e purezza

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Maria è la parte di me che siede in pace davanti al Padre, sapendo che non ho bisogno di nascondere nulla davanti a Lui. È la parte del mio cuore che confida apertamente in Dio, sapendo che Egli è buono e che qualsiasi cosa mi chiede è positiva. È la parte del mio cuore che sa che Dio è Dio e che io non lo sono. Ma è anche la parte del mio cuore che sa che non sono definita da quel non esserlo. È la parte del mio cuore che sa che vengo definita dal mio posto come figlio o figlia del Re, che “forza e decoro sono il suo vestito” (Pr 31, 25) e che tutte le mie azioni e le mie scelte nella vita derivano da quella definizione.

Maria è la parte del mio cuore che conosce il dono divino del libero arbitrio, ed è la parte del mio cuore che sa che nell’obbedienza fiduciosa scopriamo il nostro vero essere e la felicità autentica.

1. Cristo: il desiderio del mio cuore

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Ciascuno di questi personaggi, con modi e profondità diversi, ha avuto incontri diretti con il bambino nella mangiatoia. Gesù ci presenta la sfida più grande della nostra vita: osiamo conoscerlo, osiamo rispondere a chi è Lui? Osiamo ascoltare la sua chiamata nella parte più silenziosa del nostro cuore, dove nient’altro osa entrare? E soprattutto, osiamo ancora sederci alla sua presenza e sentire la sua pace?

Queste domande vengono poste a tutti noi. Ciascun personaggio aveva il libero arbitrio di scegliere come rispondere. Non siamo chiamati ad appiattirci per entrare attraverso la porta stretta della stalla. Ci viene semplicemente chiesto di lasciar fuori il nostro bagaglio. C’è spazio per ciascuno dei nostri personaggi, sia se rispondiamo con lo zelo della grande avventura che se ci arrabattiamo come meglio possiamo. C’è spazio per noi sia se ci togliamo la corona dal primo momento in cui sentiamo parlare di Lui che se la gettiamo via cogliendo lo sguardo di sua madre quando ci avviciniamo al bambino. Ciò che conta è accostarsi alla mangiatoia con cuore aperto. Dio farà il resto.

Qui l’originale.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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