Con questo piglio apre le ostilità Stefano Gabbana. Non fa nessuna crociata, ma vuole dire le cose con come stanno e come sembra ormai vietato dirle.Vuole colpire, sì parlano proprio di colpire lui e Michela Proietti del Corriere della Sera che gli serve la prima domanda, tutto l’ambaradan del politicamente corretto. Personalmente non vedo l’ora passi questo trend. Non se ne può più di dire e scrivere “politicamente corretto”. Nemmeno in inglese. Un’espressione infelice che appesantisce persino chi la usa per smontarla.
Fatto sta che lo stilista italiano tra i più amati al mondo, pure da quella parte che cavalca senza pudore la sella del politically bla bla…, intende far arrivare a chi vorrà sentirlo il suo secco rifiuto all’imposizione di una parola che non serve. E non esiste nemmeno, in senso stretto. Gay.
Bellissimo l’accento, sì anche quello milanese che sentirete nel video riportato, ma soprattutto quello che mette sulla vera parola chiave.
Essere. Sono. È.
E non ci si scappa. Un uomo è un uomo, una donna è una donna. Non vuole che un sacco di gente in giro per il mondo e il web si senta buona affibbiandogli un termine che lui (e chissà quanti altri) disconosce categoricamente. Né che ci sia bisogno di sentirsi buoni parlando di lui e dei suoi omologhi come di una categoria a sé. Le uniche due categorie innegabili e negate con arroganza da un po’ di tempo a questa parte, sono uomo e donna. Abbracciate tutte e due nella parola essere umano.
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Sono un uomo e non voglio essere chiamato gay. Lo dice, lo fa scrivere. Sui giornali e sulle t-shirt.
“Mi sembra incredibile che ancora oggi si usi questo termine: sono biologicamente un maschio: lo stesso vale per una donna, che è una donna punto e basta, al di là di tutto. La parola gay è stata inventata da chi ha bisogno di etichettare e io non voglio essere identificato in base alle mie scelte sessuali»
Perché dare una definizione ad un uomo? Che ce l’ha già, intende.
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Un’altra cosa che non vuole Stefano Gabbana è essere difeso. Mandato che molte sigle tutte consonanti i sono auto assegnate. Si difende da solo, da sempre.
Sono un uomo. Lei è una donna e i diritti per i quali lottare sono degli esseri umani. Di quelli dovrebbe occuparsi la politica e non strumentalizzare istanze inesistenti.
Invece essere gay è una cosa che non esiste. Lo dice senza paura – ma lo sa di sicuro che avrà conseguenze in termini, speriamo solo, di cagnara mediatica. Anche questo denota coraggio.
Dire gay serve per identificare delle persone.
“ma io non voglio essere identificato per la mia scelta sessuale. L’omosessualità è sempre esistita, non è che è una novità. Io sono un uomo, punto.”
Interessante che consideri il termine gay fuori tempo massimo, superato, mentre viene spacciato come conquista di indiscutibile progresso. Stefano invece vuole discuterne, eccome, visto che è parte in causa. E lo fa ponendosi ad un piano esterno rispetto a quella che potrebbe sembrare una messa in scena. La comunità gay, i diritti gay, le esigenze dei gay. No. Esce da questo perimetro soffocante e rifiuta il tag: un’etichetta? E perché mai? Non le sopporta e ha ragione. E chi davvero vuole essere etichettato? Nessuno che si stimi più degno di un prodotto da supermercato.
Nel testo scritto trae limpide conseguenze da questa contestazione: nemmeno il cinema, o la moda o i locali o la cultura devono essere “gay”! Il cinema è di tutti. La cultura è di tutti.
La giornalista gli fa, tra le altre, una domanda alla quale, possiamo essere certi, si sarà già risposto prima di rilasciare l’intervista; e forse anche prima di mettere in produzione una t-shirt con la scritta “I’m a man, i’m not a gay” che indosserà a breve, annuncia.
Certo, lo sa che la lobby gay è molto potente. L’ha sperimentato sulla sua pelle di uomo e imprenditore. Ma questo lo rafforza ancora di più nel rifiuto della parola incriminata: è una decisione maturata un anno fa anche se pare che esprima una coscienza che Stefano ha sempre alimentato e che attinge al concetto alto che ha della persona umana. Non banalizza il dolore che le beffe subite da chi ha un orientamento sessuale diverso subisce. Ne ha patito lui stesso, si è sempre difeso.
Rincorreva chi lo apostrofava per strada “Frocio!”. E se i semafori diventavano rossi non doveva essere un bel momento per i dileggiatori. Lo racconta Stefano stesso:
«Del resto ho sempre fatto così: quando per strada mi urlavano “frocio”, io li inseguivo». Davvero?
«Certo. Una volta uscendo di casa una macchina con quattro ragazzi mi ha gridato dal finestrino qualcosa del genere. Sfortuna per loro nel frattempo il semaforo è diventato rosso, li ho raggiunti e gli ho detto di scendere dalla macchina. Erano spiazzati».
Sa che ci sono persone più deboli e che vivono contesti più ostili dove lo stigma può diventare pesantissimo da sopportare. Proprio per questo sa che questa strategia che sembra a difesa degli omosessuali è falsa e dannosa.
Quando racconta del suo percorso personale, del venire allo scoperto, dell’annuncio fatto sui giornali prima che di persona ai genitori (che però sapevano, ne era praticamente sicuro) riferisce qualcosa della sua infanzia, di un papà scoperto tardi, poco presente. Di essersi sentito diverso molto presto. Parla di quanto pesi il giudizio altrui. Riferisce con una certa enfasi di come abbia consolato la mamma in lacrime, che gli telefonò dopo aver letto le sue dichiarazioni su Sette…
“Non sono un assassino, non spaccio, non uso stupefacenti. Al posto di amare una donna amo un uomo. Tu che problema hai?”
Stefano racconta anche del suo modo di vivere le relazioni, all’insegna della fedeltà e dell’esclusività. (Fosse per lui sarebbe ancora legato a Domenico, dice). Ma non possiamo tacere che a questa coscienza, seppure piuttosto equilibrata, manca un pezzo di verità.
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I comportamenti omosessuali non sono affatto innocui, né per sé né per il proprio partner sessuale. Né tantomeno sono privi di ricadute negative sulla comunità, sulla società.
Ma quanto bene sta facendo con questo coraggio e questa virilità! Questo siamo davvero lieti di sottolinearlo.
Sì, ci troviamo nel pieno della famosa epoca nella quale fuochi (o telecamere) sarebbero state accesi per dire che le foglie son verdi in estate. E Stefano lo dice molto chiaramente, guardando in camera: io sono un uomo. E un uomo è un maschio. Nulla da aggiungere.