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Secondo il Card. Biffi ci sono panettoni più ragionevoli di altri!

GIACOMO BIFFI CARDINALE
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Paola Belletti - Aleteia Italia - pubblicato il 15/12/17
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Alcuni pensieri tratti dalla Lettera confidenziale ai credenti del compianto card. Giacomo Biffi (1928-2015)

“Per esempio, tutti mangiamo il panettone a Natale, ma solo i credenti sanno perché lo mangiano. Non è che il loro panettone sia necessariamente più buono di quello dei non credenti: è semplicemente più ragionevole”.

(Da La fortuna di appartenergli. Lettera confidenziale ai credenti, G. Biffi, ESD, 2012)

È una delle tante gustose considerazioni del Cardinal Biffi trovata in un libretto talmente sottile e sgualcito che ritengo miracolosa la sua sopravvivenza all’interno di una della mie borse (il “cambio borsa” è per me, e forse non per me sola, un evento eccezionale con qualche tratto drammatico).

 

Il bello di appartenere a Cristo e di saperlo!

Il Cardinale, morto nel 2015, in questo scritto, col suo stile inconfondibile, garbato e graffiante insieme, si rivolge a noi. A quelli che sono di Cristo e lo sanno. Ed è questa consapevolezza di appartenenza a costituire la grande fortuna.

Dà senso e gusto a tutto. Anche al panettone. Persino al passaggio dei millenni. Osserva Biffi che la febbrile eccitazione a ridosso del giro di boa dell’anno Duemila per noi credenti era bene più sapida e sensata che per gli altri. Per noi era un esaltante promemoria dell’“ingresso sostanziale e definitivo di Dio nella vicenda umana”.

 

Fidarci del Signore ci evita tante fregature

Il cardinale bolognese è stato di sicuro un lettore intensivo di G.K.C.

Lo si capisce quando passa a considerare una delle conseguenze più belle e utili della fede cristiana per la nostra esistenza nel mondo.

Se credi in Cristo non rischi di credere a tutto: gli oroscopi, le creme di bellezza, le scie chimiche, i talismani, le promesse elettorali, la reincarnazione e altre simili “catechesi ideologiche che ogni giorno ci vengono inflitte dalla televisione”. (Ibidem, p.4)

Se non credi a Gesù Cristo, l’Unigenito del Padre, il Logos, allora credi a tutto.  E si mette in pericolo o almeno si copre di ridicolo.

Nella esperienza di molti di noi, credo si possa rintracciare il sorprendente contrasto che appare in alcuni colleghi di lavoro, per esempio. Manager efficienti e visionari, con una carriera consolidata, lucidi e geniali nell’interpretare mercato e azienda che confessano candidamente piccoli o grandi manie; riti scaramantici da compiersi sempre prima di importanti operazioni, canzoni porta fortuna. Patetiche credenze. Alle volte anche peggio.

 

E l’ateo, con chi se la prende?

Un altro passaggio davvero mirabile, delicatamente ironico, ma carico di sincera pietà per i fratelli meno fortunati, è quello che riflette sulla sfortuna degli atei.

Costoro, osserva il compianto cardinale felsineo,

“messi di fronte ai guai inevitabili in ogni percorso umano non hanno nessuno con cui prendersela. Un ateo – che sia veramente tale – non trova interlocutori competenti e responsabili con cui possa discutere dei mali esistenziali, e lamentarsene.

Non c’è nessuno contro cui ribellarsi, e ogni sua constatazione, a ben pensarci, risulta un po’ comica”.

Facciamo nostre anche noi, come Sua Eminenza, le parole di un grande convertito del ‘900, altro geniale britannico. C.S. Lewis quando confessa: “Negavo l’esistenza di Dio ed ero arrabbiato con lui perché non esisteva”.(Ibidem, p.5)



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In Cristo e per il Suo trono cruciforme tutto trova senso e tende alla gioia: anche il dolore

E anche laddove un uomo con le sue sole forze arrivi a riconoscere l’esistenza di Dio rischia di essere portato ad affibbiargli, disperandosi, o una onnipotenza incompiuta o una squisita, divina crudeltà. Certo che esiste Dio ma è cattivo! Afferma coi pugni stretti il credente parziale.

Invece nel Mistero centrale della storia, negli atti sublimi della Redenzione, vediamo disegnarsi il volto benevolo, benevolente, anzi pazzamente innamorato del nostro Dio. Che è anche il Dio di chi ancora se lo figura crudele!

Dio ci vuole bene. “Il Padre vi ama” ricorda Biffi con le parole del discepolo che Egli amava.

Tranquilli, amici miei, – sembra dire-  non temete. Il Padre ha un disegno per ognuno di voi. E finisce bene!

Resta il mistero, tutto. Resta il dolore, certo. Resta il dramma delle nostre libertà. Ma la conoscenza del senso che tutto abbraccia, giustifica, salva, guarisce, cambia. Eccome se cambia.

 

Sei conosci la verità, sei libero

La lista continua, i vantaggi del credente proseguono. La sua carta d’identità riporta sicuramente indicato tra i segni particolarissimi e indelebili la libertà. Quella dei figli di Dio. Quella che nasce dall’essere discepoli di Cristo. Dal conoscere la Verità – sempre Lui – e quella, Quello, ci fanno liberi. Sentite queste parole quanto sono tagliate su misura per noi:

“Quasi ad ogni tornante della storia compaiono uomini che sciaguratamente mirano a farsi padroni di uomini, magari perfino invadendo e condizionando il loro mondo interiore” (Ibidem, p. 8)

Il credente è invece sempre un “liberto di Cristo”. Ricomprato, riscattato. Per questo ogni totalitarismo odia i cristiani.

Non bruciamo incensi all’imperatore. Sebbene siamo di solito buoni cittadini, tra i migliori. Ma siamo di Cristo e non di Cesare. (Pure Cesare, a un bel momento, sarà di Cristo…). La salvezza, l’unica possibile e solo in quel Nome, è personale e universale. Il tono confidenziale, intimo, di amici che sanno di cosa si stia parlando non contraddice affatto la natura cattolica della salvezza. Il noi da una parte e loro dall’altra è vissuto come provvisorio. La salvezza è per tutti. Dio ci vuole tutti con sé, ci vuole liberi, salvati e felici. Vuole che Lo consociamo.

Basterà, fino alla fine della vita di ognuno, anche mezzo sopracciglio alzato, un tiepido ripensamento che incendi il cuore rinsecchito per l’ultimo falò: Dio mio, abbia pietà di me, salvami! Ed ecco, siamo salvi. Peccato essersi persi, in quel caso, la compagnia di Dio per tutto il tempo prima.

 

Fortuna delle fortune: la nostra Chiesa

La fortuna che le compendia tutte è la presenza indistruttibile della Chiesa, la Sua, quella di Cristo. Questo ci quieti sempre il cuore e ne scacci le paure. La Chiesa cattolica è il Regno di Dio già presente sacramentalmente, ricorda il Card. Biffi con il Concilio Vaticano II (Lumen Gentium 3). È nata dal Suo sacrificio. Dobbiamo restare certi che non andrà distrutta, mai.



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E cosa è la Chiesa se non una specie di innesto, di pianta rinnovata, nuova, generata da dentro dalla natura di Cristo? Il cardinale lo dice, ovviamente, meglio:

è l’umanità in quanto è raggiunta e trasformata dall’azione redentrice di Cristo, e in quanto è connessa e trasformata dall’azione redentrice di Cristo crocifisso e risorto, in virtù dell’effusione dello Spirito che egli continuamente ci invia dalla destra del Padre”. (Ibidem, p. 13)

La grande muraglia

Dove passa la cortina invalicabile tra il Corpo di Cristo che è la Chiesa e la nostra realtà di peccato fin troppo evidente?

Attraverso i cuori. Sì. In noi stessi. In quello stadio così frequentato e conteso che è il nostro cuore passa il confine tra il bene e il male. Lo scrive il cardinal Journet, e Biffi ce lo riporta:

“I membri della Chieda peccano solo in quanto tradiscono la Chiesa: la Chiesa non è dunque mai senza peccatori, ma è sempre senza peccato…Prende la responsabilità della penitenza, non prende la responsabilità del peccato…Le sue frontiere. Precise e vere, circoscrivono solo ciò che è puro e buono nei suoi membri, assumendo dentro di sé tutto ciò che è santo (anche nei peccatori) e lasciando fuori di sé tutto ciò che è impuro (anche nei giusti).

(…) La Chiesa divide dentro di noi il bene e il male: prende il bene e lascia il male. I suoi confini passano attraverso i nostri cuori. (Théologie de l’Eglise, Paris 1958, pp. 235-246).

“Con nostra comune soddisfazione, siamo arrivati alla fine”, dice a pagina 15.

Con tale espressione, di guascona modestia, il porporato prende congedo dai lettori. Dichiarando il suo intento primario: siamo salvati da cotanto Salvatore, dobbiamo ricordarcelo ed esserne contenti.

“Valete,filii, et servite Dominum, quia bonus dominus”. State in buona salute, figli miei, e continuate a servire il Signore, perché è un buon padrone. (Ep. 17,13). Ci saluta così, con le parole di S. Ambrogio ai suoi fedeli.

Ripetiamocelo pure noi, come giaculatoria di metà Avvento. Forse sono proprio questi i promemoria di cui abbiamo maggiore necessità.


SANT'AGOSTINO SANT'AMBROGIO
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