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Avete un parente che soffre di depressione e siete disperati? Vi possiamo aiutare

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BenEssere - pubblicato il 05/12/17
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Quattro semplici consigli da mettere in pratica quando, in famiglia, abbiamo una persona che soffre di questa patologia. Prima di tutto, spiegano gli esperti, occorre riconoscere il problema ed evitare di forzare il malato.di Agnese Pellegrini

in collaborazione con Gian Marco Giobbio psichiatra, direttore medico Centro Sacro Cuore di Gesù, Centro Sant’Ambrogio e ambulatorio Sanitatem Mentis, Fatebenefratelli Plv, Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio

  

Una vera e propria malattia, che ci distacca dalla realtà: la depressione. Affligge in genere le persone sopra i 40 anni, in misura maggiore donne, e non ha nulla a che vedere con la tristezza o con il cambio d’umore, anzi. È una patologia ben definita, con sintomi specifici. Spesso, però, quando in casa si vive con un genitore malato, gli equilibri famigliari si rompono e non è facile ricostruire un clima sereno. Che cosa fare – e soprattutto che cosa non fare – per ristabilire l’armonia? E come comportarci? Lo abbiamo chiesto al dottor Gian Marco Giobbio, psichiatra presso i Centri di riabilitazione dei Fatebenefratelli (dove si svolgono incontri e terapie per persone affette da depressione e famigliari), che ci ha fornito quattro preziosi consigli.

Accettare la realtà

«La depressione», spiega il dottor Giobbio, «è una vera e propria malattia e non va confusa con la tristezza, o con la malinconia, sentimenti che frequentemente sperimentiamo nella nostra vita. Sintomi depressivi possono insorgere dopo eventi di perdita, come ad esempio un lutto, ma in questo caso non si tratta di patologia: è, infatti, una fisiologica reazione, che facilita i meccanismi di elaborazione e ha una durata limitata.


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La depressione patologica compare, invece, indipendentemente da quanto ci sta accadendo; o, comunque, rappresenta una reazione esagerata, incomprensibile rispetto agli eventi. Il sintomo principale è rappresentato dal calo del tono dell’umore, ma la sua intensità è molto maggiore rispetto alla fisiologica tristezza, ha caratteristiche quasi fisiche, un peso al petto o alla testa, e si accompagna anche ad altre manifestazioni specifiche quali apatia, mancanza di energia, insonnia… Altra caratteristica è la sua immodificabilità nel tempo: non migliora neanche di fronte a notizie o eventi positivi».

L’effetto sulla quotidianità è devastante: «Tutte le scelte che facciamo abitualmente, da quelle più semplici, come la selezione dei vestiti da indossare la mattina o la ricetta da cucinare per pranzo, a quelle più complesse come le valutazioni professionali e lavorative», rileva Giobbio, «appaiono difficili, quasi impossibili».

Questo succede perché il tono dell’umore e l’affettività sono un elemento fondamentale nell’ambito del processo decisionale. In altre parole: non prendiamo decisioni soltanto attraverso il ragionamento, la logica, ma a farci decidere è piuttosto quell’opzione che risuona emotivamente come migliore, come più adatta a noi. Ed è per questo che, a volte, facciamo scelte anche contrarie a quanto il buon senso ci direbbe e, spesso, sono proprio queste le più corrette. Nel soggetto depresso, le oscillazioni dell’umore sono bloccate verso il basso, manca la risonanza emotiva e, per questo, si fa fatica a decidere. La razionalità non aiuta e l’ansia e le paure ci bloccano». Si tratta, quindi, di una patologia da riconoscere al più presto, senza sottovalutarla: accettare che il nostro congiunto sia una persona malata e non sta “esagerando o mancando di buona volontà” è il primo passo per aiutarlo.

Non vergognarsi mai

A volte, capita che si provi imbarazzo per quel genitore, o quel nonno, che non vuole più uscire di casa, che si trascina col pigiama e magari non ha neppure voglia di lavarsi.

«Spesso ci infastidisce vedere che una persona a cui vogliamo bene si lasci andare, trascorra gran parte della sua giornata a letto senza fare nulla», ammette Giobbio, «ma dobbiamo essere consapevoli che questo comportamento non è sotto il suo controllo, ed è ulteriormente compromesso dal senso di inutilità e dalla convinzione di una vera impossibilità al cambiamento, idee tipiche del soggetto depresso».

L’attenzione al proprio aspetto fisico, alla cura della propria persona al modo di presentarci agli altri perde di significato. Altro sintomo spesso presente è rappresentato dall’anedonia, ovvero l’incapacità di provare piacere nelle attività quotidiane. «Gli impegni e gli interessi che prima erano motivo di soddisfazione », spiega ancora lo psichiatra, «quali hobby, passioni sportive o artistiche destano ora soltanto indifferenza e fatica nella loro realizzazione.

Da qui, l’invito nelle fasi più critiche della malattia a non forzare il paziente a svolgere attività, ma accompagnarlo in ciò che gli è possibile fare.  Perché il soggetto depresso vive in una condizione di perenne “rallentamento”, che riguarda sia gli aspetti fisici (il passo è incerto, muoversi è faticoso), sia quelli psichici (il pensiero si sviluppa con difficoltà, diventa monotematico, la concentrazione e l’attenzione diminuiscono…).


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Ma non è tutto: si osservano alterazioni della sfera endocrino-metabolica; chi è depresso «perde peso, non ha più fame, i capelli diventano più radi, ingrigiti, la libido si riduce, il sonno è popolato da incubi, il risveglio è carico di ansia». La giornata appare monotona e faticosa: «Si fa strada il sentimento dell’inutilità della vita e, nei casi più gravi, il suicidio appare come l’unica via di uscita; anche per questo, non bisogna vergognarsi di avere un genitore malato, ma occorre dare spazio alla sofferenza e favorire la possibilità per il malato di comunicare il proprio disagio senza giudicare troppo frettolosamente».

Non forzare

In presenza di sintomi depressivi che durano da oltre una settimana e in assenza di evidenti fattori scatenanti, occorre rivolgersi al medico per una corretta diagnosi e un’adeguata terapia psicologica e farmacologica. «Molto importante, però, è l’approccio dei familiari», rimarca lo psichiatra.

«Chi è depresso vive la realtà con distacco. È come se fosse uno spettatore che guarda da lontano la vita propria e dei propri cari, senza potervi partecipare: paradossalmente, il tentativo di coinvolgere il paziente in situazioni gioiose sortisce l’effetto opposto, facendolo sentire ancora più estraneo, alieno».

Di questo si deve tener conto quando si tenta di riattivare il genitore affetto da depressione: spesso, in buona fede, si cerca di coinvolgerlo in un gran numero di iniziative, come inviti tra amici, cene, uscite mondane, quasi che la depressione potesse essere curata attraverso la trasmissione di energia e vitalità.

«Tutto questo per il malato rischia di avere l’effetto opposto, facendolo sentire ancora più estraneo e in colpa, accentuando il suo senso di svalutazione. Osservando tutti gli sforzi compiuti per lui e l’inefficacia degli stessi, si convince sempre di più di essere un peso per i propri familiari». Così, tutte le nostre migliori intenzioni risultano inutili, se non addirittura dannose o controproducenti.

Quindi, anche in questo caso, il consiglio è quello di confrontarsi prima con uno specialista:

«Va bene la nostra buona volontà, ma meglio evitare il moltiplicarsi di iniziative magari confuse, spesso attivate con il solo scopo di farci sentire meno impotenti di fronte alla malattia. Dobbiamo essere, invece, rispettosi del malessere e dell’inerzia del soggetto depresso, coinvolgendolo sì, ma in attività personali e non pubbliche, accompagnandolo nell’uscita della fase depressiva senza forzarlo, consapevoli dei suoi tempi rallentati e della sua mancanza di energia vitale».

Essere presenti

Soprattutto, quello che conta davvero è la nostra presenza.

«Se il nostro congiunto vuole rimanere a letto, è bene accettare questa condizione senza spaventarci troppo: importante è stargli vicino, magari in silenzio, facendogli sentire che ci siamo».

Per quanto riguarda la terapia, utile ricordare che esistono differenti tipi di depressione per durata, ciclicità e caratteristiche cliniche: «Nei casi meno gravi, utile e risolutiva è la psicoterapia; in caso di sintomi più marcati con forte inibizione e rallentamento o tendenze al suicidio, allora occorre prendere in considerazione una terapia con farmaci specifici».

In ogni caso, rimarca il medico, «la presenza dei famigliari è fondamentale. È importante ricordare loro che non devono scoraggiarsi, anche se i tempi di cura a volte possono essere lunghi». Per un famigliare, certo, vivere con un genitore o un figlio depresso non è facile: «Si è coinvolti e si fa fatica ad accettare di non poter essere di aiuto. A volte si cerca a tutti i costi una giustificazione alla comparsa della sintomatologia, nella convinzione che la causa vada ricercata in un litigio o nell’ambito del disagio di coppia o causata da stress lavorativo; spesso, invece, la malattia  depressiva insorge senza cause apparenti, oppure può essere innescata da questi elementi, ma poi ha un decorso indipendente».



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Ma uscirne e tornare a una vita normale, comunque, è possibile: «Abbiamo a disposizione interventi efficaci che permettono nella maggior parte dei casi un netto miglioramento e spesso una guarigione. È importante non scoraggiarsi, non far venir meno il nostro sostegno al paziente ed essere consapevoli che ci troviamo di fronte a una malattia che come tale può essere affrontata e sconfitta». Senza pregiudizi, né paura.

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