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Quando i Cavalieri di Colombo combattevano contro il Ku Klux Klan

KU KLUX KLAN
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L'Osservatore Romano - pubblicato il 23/11/17
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Dagli anni ’20 del ‘900 la lunga lotta per dei Cavalieri per difendere i cattolici in America e con loro ebrei e afroamericani dall’odio del Klandi Gabriele Nicolò

«Un voto per Smith è un voto per il Papa»: era questo lo slogan coniato dallo stesso Alfred E. Smith, governatore di New York per assicurarsi la preferenza degli elettori quando, nel 1928, si candidò, per il partito democratico, alla presidenza degli Stati Uniti. Ma quello slogan, di facile effetto, in realtà affondava le radici in un tessuto sociale e storico ben preciso. Smith infatti era allora un fiero oppositore del Ku Klux Klan, che nel paese stava seminando da tempo morte e terrore, macchiandosi anche di plateali gesti profani, come incendiare i crocifissi. E lo stesso Kkk, nel tentare di contrastare l’ascesa del governatore di Ne York, ribadiva, con crescente timore, che «un voto per Smith è un voto per il Papa». Smith, durante la campagna elettorale, denunciò più volte l’attività di quel movimento come lesiva delle fondamenta della libertà del popolo americano. E in quella denuncia si specchia il senso della grande battaglia combattuta dai Cavalieri di Colombo contro il Ku Klux Khan, come ricorda Kevin Coyne nell’articolo The Knights vs. the Klan contenuto nel numero di novembre di «Columbia», la rivista mensile dell’organizzazione cattolica.

Era una sera dell’estate del 1923 quando Luke E. Hart, noto avvocato di St. Louis, annotava nel suo diario la crescente marea del Ku Klux Klan, che stava travolgendo sia le persone di colore che i cattolici, puntando in particolare proprio contro i Cavalieri di Colombo i quali — fedeli agli insegnamenti del loro fondatore, il sacerdote irlandese-americano Michael J. McGivney — professavano i principi della carità, della fratellanza e dell’unità. Principi avversati dal movimento che, al contrario, inseguiva deliri a sfondo razzista propugnando la superiorità della razza bianca e ricorrendo alla violenza per affermarla. Il Klan vedeva i cattolici come «invasori» e i Cavalieri di Colombo come le principali forze che facevano rispettare le regole della Chiesa.
Testimonia l’avversione per i Cavalieri, nonché il timore per la loro valenza strategica sul piano sociale e politico, l’introduzione a un pamphlet del Kkk, redatto nel 1921, in cui i membri dell’organizzazione cattolica sono definiti «la milizia di Cristo» al soldo del Papa, suoi «docili strumenti» riuniti in un patto segreto volto a distruggere sia il sistema della scuola pubblica statunitense sia i dettami stessi della Costituzione. Insomma il Kkk aveva montato una campagna denigratoria in grande stile, avendo ben compreso il valore e l’influenza dei Cavalieri di Colombo, e quindi la necessità di screditarli agli occhi dell’opinione pubblica. Come sottolinea Coyne, il Kkk allora ci aveva visto giusto nel temere la ferrea determinazione di chi veniva concepito come un acerrimo avversario, perché la battaglia combattuta in quegli anni dai Cavalieri contro un’ideologia di stampo razzista, che seminava odio contro i cattolici e alimentava uno scriteriato revisionismo storico è la battaglia che ancora oggi viene portata avanti con altrettanto impegno e passione, pur in contesti e scenari differenti.

Creato nel 1865 dopo la guerra di secessione da reduci dell’esercito della Confederazione, il Kkk crebbe di importanza e di estensione dopo il congresso di Nashville del 1867. E nei primi anni del Novecento conobbe il suo acme quando, scrive Coyne, il movimento era arrivato a esercitare una decisiva influenza nelle elezioni di governatori e senatori in numerosi stati, dall’Oregon all’Oklahoma, dall’Indiana al Colorado. E fu proprio in questo periodo che i Cavalieri di Colombo ingaggiarono una strenua lotta con l’obiettivo di arginare questa nefasta influenza: una lotta che i cattolici condussero indefessamente ricorrendo in particolare a pamphlets, lettere, documenti legali, come pure a discorsi appassionati.
Attraverso queste carte i membri, dimostrando grande coraggio di fronte a possibili, violente rappresaglie, denunciavano alle autorità costituite i misfatti perpetrati dal Kkk a danno di cittadini innocenti. E merito dei Cavalieri di Colombo fu quello di aver ostacolato con successo la diffusione dell’allora celeberrimo Bogus Oath, ovvero un compendio di «fantasie anticattoliche», come le definisce Coyne, in cui si esortava la popolazione ad attaccare i nemici, ovvero i cattolici, «impiccandoli, scuoiandoli, strangolandoli e seppellendoli vivi». Insomma una barbarie cui i Cavalieri di Colombo seppero opporsi con indomita determinazione.
Numerosi sono gli episodi che scandiscono questa lunga battaglia. L’autore ricorda il primo consiglio dei Cavalieri tenuto in spagnolo negli Stati Uniti, nel 1922, il quale riuscì a sventare il tentativo del Kkk di assumere il controllo a El Paso, in Texas, sia delle scuole che del municipio. Fu questo un successo molto importante, perché significava aver impedito le allora tanto temute “infiltrazioni” del Kkk negli apparati governativi delle città statunitensi. Anche i Cavalieri, rileva Coyne, si videro talvolta costretti ad armarsi, accantonando così i loro tradizionali e ben collaudati strumenti pacifici (la ragione e la legge) per rintuzzare gli attacchi del Kkk. Come nel 1924, quando imbracciarono i fucili per avere la meglio sui criminali che avevano poco prima picchiato e mutilato, a Gainesville, il sacerdote John Conoley e che stavano per infierire su un altro religioso e incendiare la chiesa.
Una battaglia combattuta comunque quasi sempre a colpi di pamphlets, fondati su solidi principi etici e morali, portò anche alla creazione e diffusione di una vasta letteratura sugli argomenti che erano stati alla base dell’operato dell’organizzazione. La Commissione storica dei Cavalieri di Colombo fu istituita nel 1921. Tre anni dopo, ricorda Coyne, venne pubblicata la Racial Contributions Series, composta da The Gift of Black Folk: The Negroes in the Making of America di W.E.B. DuBois; The Jews in the Making of America di George Cohen e da The Germans in the Making of America di Frederick Schrader.

L’avversione del Kkk era arrivata a investire anche Cristoforo Colombo, in onore del quale l’organizzazione cattolica aveva scelto il proprio nome. E così si cercò di cancellare il Columbus Day nelle varie città statunitensi, inscenando manifestazioni e minacciando rappresaglie contro tutti coloro che avessero partecipato alle celebrazioni. Ma i Cavalieri non si persero d’animo, diffondendo pamphlets in cui si sottolineava che continuare a rendere omaggio a Cristoforo Colombo significava abbracciare la nobile causa dei migranti, i quali non incrinavano l’identità del popolo americano, come sosteneva invece il Kkk: al contrario, la rafforzavano.

Tra le più significative vittorie ottenute dai Cavalieri di Colombo sul Ku Klux Klan si annovera quella conseguita negli anni venti del Novecento, quando negli Stati Uniti i ragazzi che frequentavano le scuole cattoliche venivano costretti a passare a quella statali. Ciò avveniva in particolare nell’Oregon, dove il potere del Kkk era particolarmente forte. Quando, nel 1922, in questo stato si tennero le elezioni, il Ku Klux Klan sosteneva la candidatura di Walter M. Pierce a governatore, il quale era fermo assertore della necessità di impedire agli alunni di iscriversi alle scuole cattoliche. Per suggellare questo orientamento venne anche promulgata l’Oregon School Law. I Cavalieri di Colombo non potevano tollerare questa ingiusta e offensiva situazione. E così il supremo cavaliere James A. Flaherty convocò da ogni dove i membri dell’ordine, in modo da creare un solido fronte comune in difesa delle scuole cattoliche. Nella causa legale che ne derivò (finanziata dai Cavalieri di Colombo) la parte civile era rappresentata dalla congregazione delle Sorelle dei Santi Nomi di Gesù e Maria. Dopo un strenua battaglia a colpi di codici giuridici e di appassionate arringhe, la suprema corte degli Stati Uniti abrogò, nel 1925, l’Oregon School Law: i Cavalieri di Colombo avevano così conseguito non solo una vittoria legale, ma anche e soprattutto una vittoria morale.

 

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