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Cos’è un eremita e come vive?

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Vanderlei de Lima - pubblicato il 21/11/17
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La parola “eremita” deriva dal latino “eremus” (= deserto) e designa, originariamente, la persona che si ritirava nel deserto per viverci offrendosi a Dio nella preghiera, nel silenzio e nella solitudine. È considerato il primo tipo di vita consacrata maschile nella Chiesa. In seguito anche le donne hanno abbracciato questo stile di vita.

Possiamo distinguere, per effetto della legislazione canonica, due tipi di eremiti: quelli legati a un’Associazione o Istituto riconosciuto dall’autorità ecclesiastica competente, con la propria Regola di vita, e quelli autonomi, retti dal canone 603 del Codice di Diritto Canonico, del 1983.

Quelli legati a un’Associazione o Istituto approvato dalla Chiesa vivono in modo isolato, ma emettono i propri voti (atto canonico giuridicamente valido) davanti ai superiori dell’istituzione in cui sono entrati. Quelli cosiddetti autonomi, non essendo legati a un’istituzione che abbraccia questo tipo di vita, assumono il proprio impegno (voti o qualcosa di equivalente) nelle mani del vescovo diocesano e ne seguono le direttrici. Entrambe le modalità di eremitismo non devono essere considerate una fuga dalla realtà (il che non sarebbe saggio), ma una dedizione a Dio a favore dei fratelli.

L’eremita è un consacrato (monaco) che fa la professione dei cosiddetti consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza, legandosi così alla vita di santità della Chiesa (cfr. Lumen Gentium, n. 44).

Questi tre voti classici della consacrazione si oppongono ai tre ostacoli di santificazione presentati nella Sacra Scrittura. Dice infatti San Giovanni, “tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre” (1 Gv 2, 16). È a questa triplice concupiscenza che la Chiesa offre i suoi rimedi efficaci: alla concupiscenza della carne il voto di castità, alla concupiscenza degli occhi il voto di povertà, e alla concupiscenza della superbia di vita il voto di obbedienza.

Detto questo, ci si può chiedere come viva un eremita. L’eremita vive nella ricerca della perfezione a cui tutti siamo chiamati tutti noi cristiani (cf. Mt 5,48) attraverso la preghiera pubblica della Chiesa – la Santa Messa e la Liturgia delle Ore distribuita nei vari momenti della giornata – e la preghiera particolare del fedele: il Rosario, la Meditazione della Sacra Scrittura tra le tante altre forme di preghiera a Dio a favore dei bisognosi (poveri, anziani, malati, perseguitati…). Cerca anche di rispondere nella carità alle richieste di preghiere o consigli che gli arrivano, e studia, lavora e si esercita nella saggia carità pastorale.

A livello materiale, si sostiene, nella semplicità, con quello che la Divina Provvidenza gli concede per i frutti di un lavoro adatto al suo stato di vita e attraverso le donazioni di chi riconosce in questo modo di vivere un grande bene per la Chiesa e per l’umanità intera. Alla fin fine, la preghiera è l’anima dell’anima.

È un bel modello di sequela di Cristo più da vicino, ed è aperto a uomini e donne di ogni tempo e luogo.

Fr. Vanderlei de Lima è un eremita della diocesi brasiliana di Amparo.

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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