«L’aborto in Italia è un diritto bistrattato», si legge in un op-ed a firma Ilaria Maria Sala sul prestigioso Nyt. L’argomentazione usata per sostenere l’assunto è però sempre la stessa: «Ci sono troppi medici obiettori di coscienza». A farci cadere l’occhio su questo editoriale del Nyt è Tempi che ne riporta alcuni estratti e spiega perché parlare di influenza cattolica su una legge dello Stato sotto la tutela della Costituzione sia – nel migliore dei casi – un non-sense. Eppure sarebbe bastato andare a leggere la relazione del Ministero della Salute al Parlamento per scoprire due o tre cosette:
Dai dati emerge che nel 2015 il numero di IVG è inferiore a 90.000, infatti sono state notificate dalle Regioni 87.639 IVG, una diminuzione del 9,3% rispetto al dato del 2014, pari a 96.578 (-6.0% rispetto al 2013, quando erano stati registrati 102.760 casi). Le IVG cioè si sono più che dimezzate rispetto alle 234.801 del 1983, anno in cui si è riscontrato il valore più alto in Italia.
Tutti gli indicatori confermano il trend in diminuzione: il tasso di abortività (numero di IVG per 1000 donne tra 15 e 49 anni), che rappresenta l’indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza del ricorso all’IVG, è stato 6,6 per 1000 nel 2015 (-8.0% rispetto al 2014 e -61.2% rispetto al 1983), era 7,1 nel 2014.
Il rapporto di abortività (numero delle IVG per 1000 nati vivi) nel 2015 è risultato pari a 185,1 per 1000 con un decremento del 5,7% rispetto al 2014, anno in cui questo valore è stato pari a 196,2 (da considerare che in questi due anni i nati sono diminuiti di 18.666 unità), con un decremento del 51.5% rispetto al 1983 (quando era 381,7).
Rimane elevato il ricorso all’IVG da parte delle donne straniere, a carico delle quali si registra il 31,% delle IVG sul totale del 2015, 33% nel 2014 (rispetto al 7% del 1995): un contributo che è andato inizialmente crescendo e che, dopo un periodo di stabilizzazione, sta diminuendo in percentuale, in numero assoluto e come tasso di abortività.
In generale sono in diminuzione i tempi di attesa, pur persistendo una non trascurabile variabilità fra le regioni; la mobilità fra le regioni e province è in linea con quella di altri servizi del Servizio Sanitario Nazionale: il 92,2% delle IVG nel 2015 viene effettuato nella regione di residenza, di cui l’87,9 nella provincia di residenza (Salute.gov).
Tralasciando per un momento le implicazioni morali e sociali di questa scelta Governo e Parlamento (che recepisce la relazione) concordano che sostanzialmente si abortisce di meno, che questo “diritto” viene garantito al pari di ogni prestazione sanitaria garantendo alla paziente di potersi spostare in caso di impossibilità, ma che comunque in quasi l’88% dei casi è possibile farlo dentro la propria provincia di residenza in un contesto che – va ricordato – raramente richiede il carattere di urgenza. Se è vero che al Sud il numero di obiettori è spesso più alto che altrove è anche vero che il numero di aborti è più basso della media nazionale. Qui alcune tabelle elaborate da #TrueNumbers:
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Qui per classi di età e distribuzione geografica che dimostra come La maggioranza degli aborti si colloca nella fascia di età 30-34 anni (21,6%). Seguono le donne di poco più mature, quelle tra i 35 e i 39 anni, che rappresentano il 20,9%.
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L’altra fake news: l’educazione sessuale a scuola
Sempre grazie a True Numbers scopriamo che sul tema dell’aborto l’Italia è tutto sommato all’avanguardia nell’educazione sessuale se il numero di ragazze non ancora o appena maggiorenni (15-19) sono il 7,5%, quelle al di sotto dei 15 anni lo 0,2%: vale a dire il 66% in meno rispetto alle loro coetanee inglesi, americane, francesi e danesi, paesi in cui l’educazione sessuale è insegnata a scuola da decenni. Sarà mica merito delle famiglie?
https://vimeo.com/143921795