La missionaria italiana della Consolata è stata assassinata il 17 settembre 2016 a Mogadiscio, da due estremisti musulmani.
Il 16 settembre 2016, in pieno giorno e per strada, suor Leonella Sgorbati venne abbattuta con la sua guardia del corpo da estremisti musulmani, nei dintorni dell’ospedale pediatrico di Mogadiscio, in Somalia. Le sue ultime parole prima di morire sono state: «Perdono, perdono». Il perdono… la firma del suo martirio! Una parola che aveva fatta sua, giorno dopo giorno, con eroismo, trovando il coraggio di superare tutte le paure che può suscitare il vivere in un paese dilaniato da dieci anni di guerra civile, di carestia, di banditismo e di fondamentalismo religioso. «C’è una pallottola col mio nome scritto sopra, e Dio solo sa quando arriverà», diceva. Ma la sua vita lei l’aveva donata al Signore e aggiungeva sempre: «Di me può fare quello che vuole». Il riconoscimento del suo martirio in odium fidei è arrivato da parte di Papa Francesco l’8 novembre scorso, e apre la strada alla sua beatificazione. Dall’ottobre 2008, la sua croce è conservata nella basilica di San Bartolomeo sull’Isola a Roma, consacrata alla memoria dei nuovi martiri del XX e del XXI secolo.
Il suo martirio, segno di speranza
Rosa Maria Sgorbati, missionaria della Consolata originaria del Piemonte, aveva 66 anni, quando è stata uccida da due membri dell’unione dei tribunali islamici, un’alleanza che vorrebbe instaurare uno Stato retto integralmente dalla sharía. La sua guardia del corpo, Mohamed Mahamud, un musulmano padre di quattro figli, ha pure provato a fare da scudo tra lei e gli assassini, ma è stato ucciso anche lui.
Un simbolo forte, secondo il vescovo di Djivouti, mons. Giorgio Bertin, francescano, incaricato del processo di beatificazione di suor Leonella. Cristiani e musulmani che cercano di condividere la loro vita devono aspettarsi che cose simili possano accadere. Per il Vescovo, non si tratta di una semplice coincidenza:
Per me, la morte di un’italiana e di un somalo, di una cristiana e di un musulmano, di una donna e di un uomo, ci dice che è possibile vivere insieme, visto che si può morire insieme.
È questa la ragione per cui il martirio di suor Leonella, secondo lui, dev’essere visto come un segno di speranza.
Il perdono a ogni costo
Dovremmo avere per desiderio quello di servire la missione anche a prezzo della nostra vita. Dovremmo essere contenti di morire sulla breccia,
diceva il fondatore dei missionari della Consolata, il beato Giuseppe Allamano. Leonella, che l’amava molto, passava il suo tempo a studiare la sua spiritualità per incarnarla nella propria vita:
Spero che un giorno il Signore, nella sua bontà, mi aiuterà a darGli tutto, oppure… se lo prenderà… perché Egli sa cosa voglio realmente,
diceva. E suor Leonella voleva “dare tutto” perché “amava tanto”, dicono le sue consorelle. E quest’amore la portava a “perdonare incessantemente”.
Una delle sue consorelle, originaria della Tanzania, ne dà testimonianza, dopo aver imparato dai suoi insegnamenti a perdonare a seguito della tragica morte del fratello. Le diceva: «Sei tu che devi cominciare a fare questo gesto di perdono, non aspettare che tuo fratello si scusi», facendole comprendere che lei stessa si esercitava a perdonare per prima. Il ruolo educativo e caritativo di Leonella in Somalia, ma pure in Kenya, dove aveva cominciato la sua missione in Africa, fu immenso e pieno di prove, ma la religiosa lo esercitò sempre col sorriso sulle labbra, testimoniano quanti l’hanno conosciuta. Era come il suo biglietto da visita. Quando le si chiedeva: «Perché sorridi sempre, anche a quelli che non conosci?», rispondeva: «Così quelli che mi guardano sorridono a loro volta e saranno un poco più felici».
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]