Una domanda. Nella mia parrocchia due genitori hanno portato il loro bambino per chiedere il Battesimo, raccontando che è nato con la fecondazione assistita. Il parroco giustamente non ha fatto problemi per battezzare il bambino. Mi chiedevo però se i genitori possono fare la Comunione.
Lettera firmata
Risponde padre Maurizio Faggioni, docente di Teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia centrale.
La domanda a prima vista può suonare inopportuna e un po’ stonata. Di che cosa potrebbero essere accusati due genitori che hanno desiderato tanto un figlio e che, dopo una lunga attesa, sono finalmente riusciti ad averlo? Quale colpa potrebbe mai macchiare questa gioia così naturale? Il fatto, però, che essi raccontino – o si vantino? – in parrocchia di essere ricorsi a un aiuto medico ha creato nel nostro lettore qualche perplessità.
Sappiamo che la morale cattolica approva il ricorso a terapie destinate a ripristinare la fertilità di una persona (es. interventi di microchirurgia tubarica) e non proibisce quei mezzi artificiali che permettono ad un atto d’amore fra coniugi di fiorire nel concepimento di un figlio (es. inseminazione omologa o intraconiugale). Sappiamo, però che alcune tecniche di fecondazione artificiale oggi molto diffuse non sono ritenute lecite, come il caso della fecondazione in vitro, anche fra sposi, o il ricorso a gameti donati da estranei perché negano od oscurano alcuni valori umani essenziali del generare. Ogni essere umano ha, infatti, diritto ad essere concepito nel contesto dell’amore coniugale e attraverso i gesti che incarnano questo amore.
Questo giudizio negativo – come il lettore ben sottolinea – non coinvolge certo il figlio: lo sguardo paterno di Dio si posa su ogni creatura umana e non dipende dalle circostanze del concepimento e da nessun altra considerazione sulla qualità della sua vita, ma dall’alleanza d’amore che Dio stesso ha stretto, fin dall’inizio del mondo, con ogni figlio d’uomo. L’istruzione Donum vitae nel 1987 ricordava a questo proposito che, «pur non potendo essere approvata la modalità con cui viene ottenuto il concepimento umano nella FIVET, ogni bambino che viene al mondo dovrà comunque essere accolto come un dono vivente della Bontà divina e dovrà essere educato con amore».
Come valutare, allora, la posizione morale dei genitori? Il loro desiderio di avere un figlio è naturale, buono e lodevole ed esprime una delle esigenze dell’amore coniugale, quella di aprirsi al dono della vita. Bisogna, d’altro canto, riaffermare che non tutte le modalità di aiuto offerte dalla medicina sono ritenute dalla sensibilità credente degne della persona e della piena verità dell’amore coniugale. Non di rado, poi, nelle tecniche extracorporee come la FIVET e la ICSI, tenuto conto di una percentuale di riuscita generalmente inferiore al 30%, il conseguimento della nascita tanto desiderata si accompagna al concepimento di un numero di embrioni superiore a quanto è prudente trasferire e al susseguente congelamento di quelli da tenere di riserva per nuovi tentativi. L’efficienza del risultato e la garanzia di avere figli sani comportano, infine, la selezione degli embrioni concepiti in vitro e la distruzione di quelli che, pur essendo viabili, presentano un qualche difetto.
Non sappiamo, nel caso concreto, se i genitori hanno fatto ricorso o meno a tecniche illecite e a quali o se erano consapevoli degli aspetti conturbanti ad esse connesse o se, pur essendone consapevoli, hanno deciso comunque di proseguire a qualunque costo e con qualunque mezzo nel loro progetto di genitorialità. Nella preparazione al sacramento del battesimo il parroco probabilmente ne ha parlato con loro e, a quanto è dato a noi di sapere, essi si accostano alla mensa eucaristica in buona coscienza, magari dopo essersi confessati. Di che cosa avrebbero dovuto pentirsi? Non di aver messo al mondo un figlio, ma del modo e delle circostanze in cui egli è stato concepito.