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In uscita la prima biografia intellettuale di Bergoglio. Con sorprese e smentite

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Alver Metalli - Terre D'America - pubblicato il 06/11/17
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Intervista all’autore il filosofo Massimo BorghesiBorghesi, filosofo italiano con anni di cattedra, studio e pubblicazioni, sta per far conoscere al pubblico il risultato di un lavoro che mancava. E la cui assenza era foriera di approssimazioni e misconoscimenti. Un full immersion nelle fonti prime che hanno alimentato nel tempo il modo di vedere e ragionare di chi oggi occupa la suprema cattedra della Chiesa cattolica. Nel condurre la sua ricerca Borghesi ha avuto un aiuto decisivo, proprio quello del soggetto investigato che ha collaborato alla sua fatica con quattro registrazioni audio. “Attraverso il comune amico Guzmán Carriquiry, vicepresidente della Commissione Pontificia per l’America Latina, ho potuto approfittare della cortesia di papa Francesco e fargli pervenire alcune domande” rivela l’autore. Il risultato del lavoro potrà essere letto a giorni, per i tipi della casa editrice Jaca Book che lo manderà in libreria con il titolo “JORGE MARIO BERGOGLIO. Una biografia intellettuale. Dialettica e mistica”. Quelle che seguono sono alcune anticipazioni, ottenute da Borghesi con la complicità dell’amicizia.

Cosa ti ha mosso ad iniziare questo lavoro sul pensiero del Papa?

Il pregiudizio che, particolarmente nell’ambiente intellettuale ed accademico, continua a pesare nell’immagine del pontificato. Papa Francesco si è trovato sulle spalle la difficile eredità di Benedetto XVI, uno dei grandi teologi del ‘900. Venendo dopo un pontificato fortemente marcato sul piano intellettuale lo stile pastorale di Bergoglio è apparso a molti come troppo “semplice”, non adeguato alle grandi sfide del mondo metropolitano, secolarizzato. Al Papa venuto dall’altro capo del mondo si rimprovera, in Europa e negli Stati Uniti, di non essere “occidentale”, europeo, culturalmente preparato.

Quando hai capito che non era così?

Personalmente, avevo letto alcuni testi di Bergoglio che mi avevano molto colpito. Tra questi alcuni discorsi della seconda metà degli anni ’70 allorché Bergoglio era giovane Provinciale dei gesuiti argentini. Ne avevo tratto una forte impressione. Ciò che mi aveva colpito era il “pensiero” che sorreggeva le sue argomentazioni. Bergoglio si rivolgeva ai suoi confratelli che soffrivano la dilacerazione di una situazione drammatica. L’Argentina di allora era retta dalla giunta militare che gestiva, con mani lorde di sangue, la repressione del fronte rivoluzionario dei Montoneros. Di fronte a questo conflitto la Chiesa era profondamente divisa tra fautori del governo e quelli schierati con la rivoluzione. Per Bergoglio questa dilacerazione della società era uno scacco anche per la Chiesa, che si era dimostrata incapace di unire il popolo. Il suo ideale era quello del cattolicesimo come coincidentia oppositorum, come superamento di quelle opposizioni che, radicalizzate, si trasformano in insanabili contraddizioni. Questo ideale era espresso da Bergoglio attraverso una sua filosofia, una concezione per la quale la legge che governa l’unità della Chiesa, così come quella sociale e politica, è una legge basata su una dialettica “polare”, su un pensiero “agonico” che tiene uniti gli opposti senza cancellarli e ridurli forzatamente all’Uno. Molteplicità ed unità costituivano i due poli di una tensione ineliminabile. Una tensione la cui soluzione era affidata, di volta in volta, alla potenza del Mistero divino che agisce nella storia. Questa prospettiva, che emergeva tra le righe dei discorsi del giovane Bergoglio, mi ha colpito molto. Associata alle coppie polari che il Papa richiamava nella Evangelii gaudium delineava una vera e propria “filosofia”, un pensiero originale. Avendo studiato a lungo la dialettica di Hegel e, soprattutto, la concezione della polarità in Romano Guardini questa prospettiva mi ha interessato da subito. Era evidente che Bergoglio aveva una concezione originale, un punto di vista teologico-filosofico che, singolarmente, non ha attirato l’attenzione degli studiosi.



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Il Papa è intervenuto di persona durante il tuo lavoro di ricerca con degli audio che ti ha inviato. Cosa ti hanno permesso di stabilire?

Attraverso il comune amico Guzmán Carriquiry, vicepresidente della Commissione Pontificia per l’America Latina, ho potuto approfittare della cortesia di papa Francesco e fargli pervenire alcune domande. Dopo la lettura dei suoi testi mi rimaneva, infatti, l’interrogativo sulla genesi della sua dialettica polare. Si trattava di una lettura originalissima della realtà che trovava analogie con il tomismo ilemorfico e dialettico di Alberto Methol Ferré, il più grande intellettuale cattolico latinoamericano della seconda metà del ‘900. Methol Ferrè non era, però all’inizio del pensiero di Bergoglio. I due intrecciano le loro strade solo alla fine degli anni ’70, in occasione della preparazione del grande Convegno di Puebla della Chiesa latinoamericana. Da dove allora Bergoglio trae la sua idea della tensione polare come legge dell’Essere? Su questo punto, nodale, gli articoli e i volumi non offrivano alcuna traccia. É come se Bergoglio avesse voluto conservare il segreto sulla fonte del suo pensare. É qui che le risposte del Papa si sono rivelate fondamentali. Da esse ho potuto comprendere come l’inizio del suo pensiero sia da collocare negli anni di studentato, presso il Colegio San Miguel, allorché Bergoglio riflette sulla teologia di S. Ignazio attraverso il modello della “Teologia del come se”, e, soprattutto, attraverso la lettura, determinante, del primo volume de La dialectique des “Exercices spirituels” de saint Ignace de Loyola di Gaston Fessard. La lettura “tensionante”, dialettica, che Fessard dava di sant’Ignazio è all’origine del pensiero di Bergoglio. Per me è stata una vera scoperta.

Le influenze europee sul Papa, quelle forti che ha assimilato e di cui c’è traccia nella struttura del suo pensare, quali sono?

Uno dei risultati del mio volume è proprio la grande influenza che hanno avuto su Bergoglio autori europei, gesuiti in particolare. Viene meno con ciò la leggenda del Papa latinoamericano che non sarebbe in grado di misurarsi con il pensiero europeo. L’autore chiave è certamente Gaston Fessard, gesuita, tra i più geniali intellettuali francesi del ‘900. C’è poi Henri de Lubac con la sua concezione del rapporto tra Chiesa e società espressa in Catholicisme. Les aspects sociaux du dogme. Fessard e de Lubac sono protagonisti della “Scuola di Lione”. Seguendo loro Bergoglio è, in qualche modo, un discepolo di questa scuola. Entrambi, Fessard e de Lubac, sono fautori di una concezione dialettica, ereditata da Adam Möhler, il grande iniziatore della Scuola di Tubinga, per la quale la Chiesa è coincidentia oppositorum, unità soprannaturale di ciò che sul piano del mondo rimane inconciliabile. É la stessa concezione di Bergoglio. Oltre ai due autori gesuiti ora ricordati ve n’è poi un terzo, anche lui francese, che ha esercitato una sua influenza su Bergoglio: Michel de Certeau. Anche lui protagonista della scena intellettuale, particolarmente negli anni ’70. Il de Certeau che interessa Bergoglio è, però, quello degli anni ’60, lo studioso della mistica moderna, da Surin a Favre. La sua prefazione al Memorial di Pierre Favre, il grande amico di sant’Ignazio, è un testo chiave nella formazione di Bergoglio. Il suo ideale gesuitico della vita cristiana, del contemplativo in azione, guarda a Pierre Favre.

Oltre agli autori francesi, decisivi per la sua formazione, ce ne sono altri?

Un ruolo chiave lo assume, dal 1986, l’italo-tedesco Romano Guardini. In quell’anno Bergoglio si reca a Francoforte, in Germania per una tesi di dottorato su Guardini. Come argomento sceglie non opere teologiche o di carattere religioso bensì l’unico lavoro integralmente filosofico guardiniano: L’opposizione polare. Tentativi per una filosofia del concreto vivente. Si tratta di una decisione singolare. Perché occuparsi del Guardini filosofo e non di quello teologico? La risposta diviene comprensibile alla luce del mio studio. L’antropologia “polare” di Guardini appare a Bergoglio come una conferma della sua visione dialettica, antinomica, compresa attraverso Fessard e de Lubac. L’autorità di Guardini conferisce un valore particolare al modello di pensiero che Bergoglio applica in sede ecclesiale e in quella politico-sociale. Al tempo stesso il modello guardiniano amplia quello bergogliano, consente inediti approfondimenti. Guardini diviene, dagli anni ’90, un autore di riferimento. Lo troviamo più volte citato nella Evangelii gaudium e in Laudato si’. Oltre a Guardini un altro autore chiave è il grande teologo svizzero-tedesco Hans Urs von Balthasar. Questa è stata una scoperta. A partire dagli anni ’90 Bergoglio da vescovo, e poi da cardinale, si avvicina alla grande estetica teologica di von Balthasar, ne condivide l’impianto, il primato accordato al bello onde poter comunicare il bene e il vero. L’unità dei trascendentali dell’essere diviene un punto fermo del pensiero teologico-filosofico bergogliano. Da Balthasar, Bergoglio riprende anche le categorie per opporsi allo gnosticismo, allo svuotamento della carne di Cristo nei vari “idealismi” spiritualistici. Il saggio su Ireneo, contenuto in Gloria, ha colpito molto Bergoglio. Un’ultima influenza voglio ricordare: quella dell’opera di Mons. Luigi Giussani. Bergoglio era lettore, e in taluni casi presentatore a Buenos Aires, dei volumi di Giussani tradotti in spagnolo. Nella sua prospettiva le principali categorie del metodo educativo di Giussani – l’incontro, lo stupore, l’esperienza, ecc. – vengono associate al darsi glorioso della “forma” (Gestalt) così come insegna von Balthasar. Il tutto finalizzato ad una posizione missionaria, evangelizzatrice, che pone il cristiano nell’orizzonte della Chiesa dei primi secoli: come 2000 anni fa.



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Le fonti latinoamericane che peso hanno nel suo pensiero? Un posto di riguardo nel tuo lavoro lo occupa Methol Ferré, storico e filosofo nato in Uruguay…

Tra le fonti latinoamericane metterei certamente, in prima fila, Lucio Gera con la sua “Teología del pueblo”, la riformulazione della teologia della liberazione da parte della Scuola del Rio de la Plata con la sua critica del marxismo e la sua opzione preferenziale per i poveri. É un aspetto noto e studiato del pensiero di Bergoglio. Alla “Teologia del popolo” va il merito della riscoperta del valore della religiosità popolare latinoamericana, simbolizzata dal culto della Madonna di Guadalupe, al di là dei pregiudizi della cultura illuministica. Oltre a Gera e ai teologi a lui vicini ci sono, però, anche altri autori che sono decisivi per la riflessione di Bergoglio. Tra essi Miguel Angel Fiorito, il suo professore di filosofia. É Fiorito che lo introduce ad una riscoperta degli Esercizi di sant’Ignazio attraverso la lettura dello studio ignaziano di Gaston Fessard. Poi l’incontro con Amelia Podetti, la più illustre “filosofa” argentina degli anni ’70. Studiosa di Hegel la Podetti sviluppa una riflessione sulla inculturazione della fede, sul rapporto tra centro e periferia, sul ruolo dell’America Latina nel nuovo contesto mondiale, che interesserà molto Bergoglio. Oltre a questi c’è poi l’autore per eccellenza: Alberto Methol Ferré. Con lui, che condivide l’esperienza del Celam dal 1979 al 1992 ed è l’intellettuale cattolico più lucido in America Latina, Bergoglio ha piena sintonia. Il mio volume analizza il pensiero di Methol Ferré, il suo tomismo dialettico, e questo dopo la tua intervista a Methol, consegnata nel volume Il Papa e il filosofo, è una novità nel panorama culturale italiano. Methol Ferré e Bergoglio si incrociano, condividono una stessa prospettiva sulla Chiesa e sulla società, hanno gli stessi autori di riferimento. Uno, fondamentale. Ambedue dipendono dalla visione polare, dialettica, di Gaston Fessard. Questa fonte comune spiega anche la loro vicinanza ideale, filosofica, la loro sintonia nell’affrontare le sfide della Chiesa latino-americana a partire dagli anni ’70. Bergoglio apprezza moltissimo l’”amico” Methol, legge i suoi articoli su “Vispera”, su “Nexo”, è colpito dalla sua geopolitica ecclesiale, condivide il suo ideale della “Patria grande”.

Ci sono delle acquisizioni finali del tuo studio, di sintesi, che correggono quello che è stato scritto sino ad ora su Bergoglio Papa?

Le acquisizioni sono molte. Innanzitutto, come abbiamo detto, viene chiarita la genesi ed il filo rosso del pensiero di Jorge Mario Bergoglio. E questo è la prima volta che avviene. Con ciò viene smentita l’opinione di quanti, per pregiudizio o mancanza di documentazione, continuano a ripetere che Francesco non avrebbe i titoli per esercitare il ministero petrino. Bergoglio è portatore di un pensiero originale, dipendente da una tradizione del pensiero “cattolico” tra ‘800 e ‘900, quella di Adam Möhler, Erich Przywara, Romano Guardini, Gaston Fessard, Henri de Lubac. Alcuni di questi autori sono gesuiti, altri no. Si tratta di una tradizione illustre che proprio il magistero di Francesco consente oggi di riscoprire e di valorizzare. Una tradizione che si oppone a coloro – penso soprattutto alle critiche su Amoris laetitia – che vorrebbero addebitare al Papa una teologia prassistica, relativistica, permissiva. Nella concezione “polare” di Bergoglio la Verità e la Misericordia non possono essere separate, così come il bello-bene-vero alla luce dell’unità dei trascendentali. Chi critica Francesco per un suo preteso soggettivismo e modernismo dimostra di non conoscere il suo pensiero. Così come non conoscono il suo pensiero coloro che lo accusano di ridurre la fede alla questione sociale, di dimenticare il primato del kerygma. Al contrario Francesco – come afferma esplicitamente nella Evangelii gaudium – vuole ripristinare il primato del kerygma sulla deriva etica della Chiesa degli ultimi decenni e, al contempo, vuole un forte impegno dei cattolici nel sociale. Non opera alcuna riduzione: sono due poli di una tensione che caratterizza il cattolico. Rispetto all’impegno politico la trascendenza, il primerea della fede e della grazia su ogni declinazione storica, è il punto fermo. Quella del Papa è una posizione “mistica” che conserva l’apertura del pensiero rispetto ad ogni chiusura ideologica e sistematica, e questo in funzione dell’operare del “Dio sempre più grande”.

Cosa rimane delle critiche a Bergoglio di essere “populista-peronista”?

Chi le formula evidentemente non lo conosce a fondo o lo fa sapendo che non colgono nel segno. Il Papa è un critico dell’assolutizzazione dell’economia capitalistica, svincolata da ogni legge etica, così come si è imposta nell’era della globalizzazione. Non è però un “populista”. Le sue simpatie per il peronismo, per la sua attenzione alla questione sociale, non vanno confuse con le idee salvifiche proprie di una politica ideologica. É interessante, da questo punto di vista, la valorizzazione che il Bergoglio degli anni ’90 fa del De civitate Dei di Agostino.  Agostino viene richiamato come modello attuale per criticare i modelli teologico-politici che compromettono la Chiesa con il potere, di destra o di sinistra che siano. Su questo punto la posizione bergogliana e totalmente in sintonia con la rilettura di Agostino operata da Ratzinger. Il volume chiarisce, in tal modo, molti punti della riflessione di Bergoglio che, per il pubblico europeo, sono rimasti finora in ombra così da diventare fonte di controversie. In questo risiede, spero, la sua utilità.

Massimo Borghesi, “JORGE MARIO BERGOGLIO. Una biografia intellettuale. Dialettica e mistica”. Introduzione di Guzmán Carriquiry Lecour. Jaca Book, Milano 2017

 

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