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Vivere con la Fibrosi Cistica

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Il blog di Costanza Miriano - pubblicato il 30/10/17
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“C’è una crepa in tutto. È così che la luce può entrare”di Anonimo

Un pomeriggio di settembre, in una giornata in cui mi sentivo particolarmente bene, raggiunsi quello spiazzo del lungo Po a grandi pedalate sulla mia bici azzurra, senza troppa fatica. Non tossivo, avevo mangiato con buon appetito, non avevo crampi alla pancia e non sentivo il bisogno di fare un aerosol liberatorio. Guardavo il fiume scorrere silenziosamente, strizzando lievemente gli occhi per la troppa luce, quando mi ricordai dell’atmosfera grigia dipinta dall’autunno dell’anno precedente, in cui l’acqua rifletteva il colore infelice del cielo e gli alberi attorno sembravano imitarla. Nulla in quella vista assumeva un colore proprio e indistinto dal resto e così appariva tutto noiosamente piatto e monotono. Quel giorno invece pareva un’orchestra di colori la cui vivacità data dall’estate appena passata cominciava a lasciar spazio al calore tipico delle sfumature autunnali. Inspiravo distendendo le braccia al cielo e godevo di quell’aria così frizzante e leggera che potevo respirare. Ogni respiro a pieni polmoni era una carica di eccitazione e mi venne voglia così di continuare a pedalare verso l’argine, da cui avrei visto il Torrazzo spiccare tra i tetti arancioni e la facciata bianca e accogliente del Duomo.

“La storia di una persona acquista valore con le sfide difficili”

Pensai a quanto mi riempisse di serenità osservare il paesaggio in cui ero immersa e coglierne i particolari essenziali, come l’altezza dell’erba che accompagnava la strada, la forma e la sensazione di morbidezza che ogni nuvola portava con sé o il rumore in lontananza di una città sempre troppo indaffarata. Ogni cosa che vedevo e ascoltavo e ogni odore che percepivo mi appariva parte di un tutto. Riflettevo poi sul fatto che ancor più del panorama, amo soprattutto osservare le persone e coglierne le sfumature, cercando di conoscere quale tipo di sofferenza segni la loro storia. Non godo del dolore altrui e nemmeno guardo la realtà attraverso il filtro del pessimismo; semplicemente so che la storia di una persona acquista sapore con le sfide difficili.

La mia sfida è la Fibrosi Cistica

La mia sfida più grande insaporisce senza dubbio la mia vita, anzi, posso dire la renda letteralmente salata. La mia pelle infatti ha un sapore salato, tanto che, poco dopo essere nata, dopo giornate in cui venivo riempita di baci, la mia mamma verso sera notava di avere le labbra particolarmente saporite, come se qualcuno ci avesse appoggiato qualche granello di sale sopra. Le coliche e la diarrea, poi, che mi facevano compagnia ogni giorno cominciarono a preoccupare i miei genitori che decisero di fare degli accertamenti. Così, sono stata sottoposta a un particolare test, il test del sudore, che rileva la concentrazione di cloro presente nel sudore; insomma, ti dice se sei troppo salato o no, e se lo sei allora sei anche affetto dalla malattia genetica rara più diffusa in Italia: la Fibrosi Cistica.



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“La nascita dei miei fratelli è stato il primo grande colpo sferrato alla malattia”

Pedalando, mi ritrovo spesso ad immaginare come debbano essere stati quei primi tempi per i miei genitori: la loro prima figlia era nata con una malattia molto grave, tanto grave che i libri che avevano consultato dicevano che le aspettative di vita non arrivavano ai vent’anni nei casi migliori. In soccorso ai miei genitori vennero poi dottori che da pochi anni avevano cominciato a curare i malati come me, presentando loro un quadro di speranza fatto di cure e terapie giornaliere. Anche quel giorno mi persi in pensieri come questi, che spesso mi appesantivano il cuore. Eppure, quel pomeriggio riflettei su qualcosa che mi fece sollevare gli occhi al cielo, strappandomi dal terreno a cui mi sentivo schiacciata… La Fibrosi Cistica è una malattia genetica che si manifesta con una probabilità su quattro nei figli che nascono da portatori sani della malattia, dunque ogni figlio che nasce da una coppia di portatori potrebbe manifestarla. Dopo che sono nata, i miei genitori hanno corso nuovamente il rischio, mettendomi accanto due bellissimi fratelli: Maria Regina e Leone. Ecco, questo per me è il primo colpo sferrato alla Fibrosi Cistica. La malattia – qualsiasi genere di malattia – minaccia la voglia di vivere e di far vivere, perché mette tremendamente alla prova la ricerca di un senso nella nostra vita: la sofferenza cerca di impedirci di trovarlo e così tutto comincia a perdere sapore. “Perché mettere al mondo altri figli se rischiano di essere malati, affetti da una malattia così impegnativa? Perché rischiare di farli soffrire? Perché sfidare la sorte che fino ad ora non è stata clemente? “. La Fibrosi toglie il respiro a chi è malato, ma potrebbe togliere anche la possibilità di vivere e di far vivere a chi sta attorno a un malato, minando il cuore e la testa di dubbi. Ecco perché dico che la nascita dei miei fratelli è stato il primo grande colpo sferrato alla malattia: loro sono l’affermazione vivente in risposta a una ricerca di senso, che a parole non si può spiegare, c’è bisogno di qualcosa di più concreto, di più determinante, di più sconvolgente, come per esempio guardare il figlio malato e decidere di volerne un altro, o anche due. Questo pensiero si trasformò in adrenalina e cominciai a pedalare più velocemente, come se la bici avesse ricevuto una spinta formidabile, e mi sentivo piacevolmente leggera.

“La Fibrosi Cistica richiede tanto tempo, attenzione, pazienza e impegno. Ma soprattutto richiede lealtà con se stessi”

Vivere con la Fibrosi Cistica significa vivere con qualcosa di estremamente ingombrante e scomodo, a tratti doloroso. Significa programmare la giornata sulla base della propria cura, che nel mio caso consiste in due fisioterapie respiratorie giornaliere, fatte di un aerosol, una serie di respiri in una pep-mask e un’altra aerosol e consiste anche nelle pastiglie (circa una ventina) da prendere al giorno. La malattia infatti colpisce l’apparato respiratorio, che deve affrontare un muco troppo denso, e l’apparato digerente, in cui gli enzimi pancreatici non sono in grado di digerire i grassi. I polmoni, in un costante stato di infiammazione, saranno così ottime sedi per infezioni batteriche, che col tempo diventano croniche e riducono la capacità respiratoria fino in molti casi a dover ricorrere al trapianto polmonare, mentre il grasso degli alimenti viene eliminato con le feci che creano forti dolori addominali, minacciando l’accrescimento in peso e in altezza. Le infiammazioni polmonari sono curabili con antibiotici per aerosol, per bocca e endovena, ma comunque non sono del tutto guaribili, mentre gli alimenti sono correttamente digeriti grazie al Creon pancreatico che assumiamo ad ogni pasto in quantità differenti, cercando di calcolare i grammi di grassi presenti nei cibi. Solitamente, la sveglia per noi malati suona molto prima rispetto ai nostri coetanei, e non perché siamo amanti della puntualità – non è certo il mio caso! – o perché siamo particolarmente preoccupati di progettare l’outfit della giornata, ma perché le terapie impegnano un tempo molto significativo, circa un’ora ma in certi casi anche di più. Tre volte alla settimana poi, appena sveglia, misuro la glicemia a digiuno, assicurandomi che anche nel resto della giornata non assuma valori troppo alti. Il diabete è infatti una delle principali complicanze nella Fibrosi Cistica e inizialmente può essere curato con una dieta mirata, come nel mio caso, ma prima o poi si arriva ad avere bisogno dell’insulina. Prima di andare a lezione, grazie alla fisioterapia respiratoria, cerco di liberare il più possibile i miei polmoni dal muco che potrebbe creare problemi e se nel farlo noto che c’è qualcosa che non va, come striature di sangue – molto frequenti nei malati come me – devo stare allerta e osservare come prosegue la terapia nei giorni successivi. Osservarsi è il primo modo per curarsi, perché permette di descrivere al meglio eventuali sintomi e quindi di costruire, sotto la guida dei medici e dei fisioterapisti, la cura migliore, viste le necessità. Fondamentale poi è l’attività fisica, che mette alla prova i polmoni e mantiene una buona capacità respiratoria. Insomma, la Fibrosi Cistica richiede tanto tempo, attenzione, pazienza e impegno. Ma soprattutto richiede lealtà con se stessi.



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“Ho vissuto diversi anni raccontando a me stessa bugie”

Per poter affrontare le cure con costanza infatti, è fondamentale accettare la malattia e essere consapevoli che ha colpito te, che è parte proprio di te, che sei tu il diretto interessato, il protagonista di questa sfida. Se questo non avviene, allora si finge di stare bene e ci si convince di poter fare a meno delle terapie, liberandosi così da un impegno estremamente invadente. Io ho vissuto diversi anni raccontando a me stessa bugie, bugie che prendevano la forma di medicine non assunte e terapie non seguite, convinta che mi potessi permettere di essere negligente. Imparare ad affrontare la propria ferita non è facile, direi anzi che è impossibile farlo da soli e finché qualcuno al mio fianco non ha guardato interamente la mia persona – malattia compresa -, non sono riuscita ad uscire dalla trappola che mi ero costruita. E’ molto doloroso per me essere leale e sincera con me stessa e con le altre persone per quanto riguarda la malattia: affrontare la Fibrosi Cistica significa affrontare una malattia cronica, una malattia da cui non si può guarire, talmente presente nel tempo della tua vita da poterlo determinare. Il mio futuro è con la Fibrosi, esattamente come il mio presente e passato: ogni ambito della mia vita è pervaso dalla malattia e per quanto possa sforzarmi di escluderla, lei testardamente si ripresenta. Facendo esempi concreti, questo significa che quando ho bisogno dei mezzi pubblici che, per definizione, sono stracolmi di persone – magari con dei bei raffreddori – devo proteggermi da potenziali infezioni indossando una mascherina, per non peggiorare lo stato di infiammazione polmonare già in atto, spesso beccandomi occhiatacce dagli altri passeggeri. Oppure, chiacchierando coi compagni di corso nel chiostro dell’università mi ritrovo a chieder loro di spegnere le sigarette perchè il fumo mi irrita molto, sentendomi una rompiscatole. Significa anche assicurarmi che prima di consumare un pasto fuori casa abbia con me le medicine necessarie per digerirlo e trovare un giustificazione plausibile a un mio eventuale digiuno con chi della mia malattia non sa niente (non è facile parlarne con tutti, soprattutto con chi si è appena conosciuto).

“La Fibrosi Cistica costringe chi ne è affetto a farla partecipe dei propri piani”

Programmare un viaggio deve assolutamente tener conto dei possibili imprevisti, come un improvviso ricovero che rovina i piani, e anche del mezzo di trasporto da usare – prendere l’aereo per noi non è così scontato perchè in alta quota con l’aumento della pressione ci potrebbero essere delle complicanze. Oppure se vogliamo intraprendere l’avventura dell’Erasmus universitario, c’è bisogno di assicurarsi quali siano i centri di cura specializzati nel paese di destinazione e partire possibilmente in un buono stato di salute. Progettare poi il futuro spesso invece di procurare piacere e una sensazione di libertà, genera preoccupazione e angoscia: “Chissà come starò!”. Il futuro è per tutti un enorme punto di domanda che stuzzica curiosità e suscita voglia di fare; se però viene visto sotto la luce della Fibrosi Cistica appare pur sempre stimolante ma con una nota minacciosa, come se volesse togliere la leggerezza del sognare il proprio avvenire. Perchè la Fibrosi Cistica costringe chi ne è affetto a farla partecipe dei propri piani, come nelle scelte lavorative o nel progettare una famiglia (i ragazzi malati sono sterili infatti e per le ragazze è molto difficile portare avanti un gravidanza).



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“C’è una crepa in tutto. E’ così che la luce può entrare”

Vorrei continuare a raccontare cosa significa nella quotidianità vivere con una malattia come questa, mostrando così perchè molto spesso vorrei non essere stata chiamata a questa sfida, che nei momenti peggiori mi ritrovo ad odiare. Ma c’è qualcosa che merita più attenzione, qualcosa che intuii quel pomeriggio settembrino mentre felice spingevo i piedi sui pedali e guidavo la bici verso casa, e può essere riassunto nelle poche parole di questa bellissima canzone: There’s a crack, a crack in everything. That’s how light gets in. (C’è una crepa in tutto. E’ così che la luce può entrare.) Quanto è bello il fatto che per esprimere il concetto di essere malati si dica essere affetti da una malattia! La malattia ti tocca profondamente, proprio come l’affetto da parte di una persona a noi cara che ci ha toccati in modo talmente decisivo da non riuscire più a concepire la nostra persona senza l’incontro con lei. Il rapporto con la mia malattia è proprio così: per quanto doloroso, non posso pensarmi senza di lei e sono la persona che sono anche grazie alla Fibrosi Cistica.

La malattia mi colpisce e attraverso le crepe che crea passa l’amore

L’affetto della malattia mi colpisce e mi taglia da sempre e attraverso le ferite, le crepe, le aperture che crea in me, passa qualcosa di cui non riesco a fare a meno: l’amore di chi ha deciso di farmi compagnia e la sua passione per me. Farsi compagnia è decisivo, come mi insegna sempre La Dona, che prima di essere medico è amica e mia madrina di battesimo, che si prende cura di me fin da quando il mio pannolotto minacciava chiunque volesse correre il rischio di prendermi in braccio, ma di questo lei non se ne curava. Più condivido la lotta con la mia malattia e più le persone intorno a me si appassionano alla mia persona, avendo a cuore la mia vita nella sua interezza. E questo non è dato da una mia qualche eccezionalità o da una mia qualche capacità, ma credo dal fascino che esercita il mistero di essere feriti e di voler trovare un senso, certi che ci sia. Così, facendosi compagnia con questa consapevolezza, la vita ci riappare come un dono nella sua interezza, anche nella sua misteriosa sofferenza, e acquista un sapore migliore, più… salato.

Arrivata a casa, mi assicurai di quale prelibatezze stesse preparando mia madre per cena, le diedi un bacio, misurai la glicemia e mi preparai per la fisioterapia della sera, canticchiando… There’s a crack… a crack in everything: that’s how light… gets in.



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