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Quali sono i 3 atti che ogni penitente dovrebbe compiere in modo efficace?

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia Italia - pubblicato il 27/10/17
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La penitenza (o riconciliazione) deve sempre rispettare: contrizione, confessione e soddisfazione. Se non si comprende il loro vero significato, il sacramento sarà inefficace!

Il sacramento della penitenza è costituito dagli atti del penitente – contrizione, confessione e soddisfazione – e del sacerdote che giudica e assolve (cf n. 1491).

Come si legge in un commento di Antonio Miralles nella speciale edizione del Catechismo della Chiesa Cattolica, a cura del Gruppo Editoriale San Paolo, in coedizione con la Libreria Editrice Vaticana, tali atti sono esterni, come corrisponde a un sacramento (cf n. 1131), ma in continuità con la penitenza interiore e animati da essa.

A differenza del battesimo, inoltre, nella penitenza gli atti del penitente fanno parte del sacramento; accade qualcosa di simile nella vita corporale: nella nascita, all’inizio della vita, si è completamente passivi; nella guarigione, l’organismo umano adulto deve cooperare al processo terapeutico guidato dal medico.



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1) LA CONTRIZIONE

La contrizione (nn. 1451-1454) è atto della volontà: come volontario è il peccato, volontaria deve esserne la riprovazione. Proprio nel pentirsi e indirizzare la propria condotta a Dio l’uomo esercita e manifesta la sua dignità di creatura libera. Il dolore della volontà può essere accompagnato da altre componenti sensibili di tristezza e dispiacere, e di solito è così, a causa dell’unità della persona umana, ma tali emozioni sensibili non determinano l’autenticità del pentimento, né la sua misura.

Passato e futuro

La contrizione guarda sia al passato che al futuro. Guarda al passato, perché pentirsi non è semplicemente smettere di peccare, ma implica anche il detestare il peccato commesso.

Guarda al futuro, perché include il proposito di non peccare più. La sincerità e fermezza del proposito garantiscono l’autenticità della contrizione; senza il proposito di non peccare più in avvenire, la volontà non si opporrebbe veramente al peccato.

Motivi di natura soprannaturale

I motivi del pentimento possono essere svariati, ma, perché diano luogo a vera contrizione, devono essere di natura soprannaturale: perché Dio, offeso dal peccato, è infinitamente buono; per il timore delle pene eterne dell’inferno; per la bruttezza morale del peccato ecc. Motivi semplicemente naturali non fanno del rincrescimento una vera contrizione: non ce l’ha, per esempio, il commerciante che si rammarica di aver frodato, soltanto perché ha perso la clientela. Se il pentimento è motivato dalla carità, ossia dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa, la contrizione è perfetta.

2) CONFESSIONE

La confessione al sacerdote (nn. 1455-1458) è essenziale, perché senza di essa i peccati non sarebbero sottoposti al giudizio della Chiesa, alla potestà delle chiavi. Non basta, perciò, dichiararsi genericamente peccatore, occorre che la confessione sia integra: «Il fedele è tenuto all’obbligo di confessare secondo la specie e il numero tutti i peccati gravi commessi dopo il battesimo e non ancora direttamente rimessi mediante il potere delle chiavi della Chiesa, né accusati nella confessione individuale, dei quali abbia coscienza dopo un diligente esame» (CIC, can. 988, § 1).

I peccati gravi

Ciò vuol dire che vanno anche confessati i peccati gravi forse già perdonati, ma non accusati in una confessione individuale per oblio o altra impossibilità.

Il precetto di ricevere l’assoluzione sacramentale dei peccati mortali prima di ricevere la santa comunione non è una semplice legge ecclesiastica, soggetta a mutazione, ma poggia su una solida base dogmatica costituita dalle parole di 1 Cor 11,27-29, così come sono state interpretate dalla Tradizione viva della Chiesa (cf DS 1646-1647).

La raccomandazione di San Paolo

Ecco le parole di san Paolo: «Chiunque in modo indegno mangia il pane e beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna». Perciò san Giovanni Paolo II affermava categoricamente che questa norma inculcata da san Paolo e dal Concilio di Trento sempre sarà in vigore nella Chiesa (Discorso del 30.01.1981).



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3) LA SODDISFAZIONE

Dopo l’assoluzione sacramentale il peccato non è ancora completamente annientato (nn. 1459-1460). Alle volte rimangono ancora da compiere propositi di necessaria riparazione dei danni causati dal peccato: restituzione di beni sottratti, risarcimento di danni materiali, riparazione dello scandalo, rettifica delle calunnie ecc. E sempre rimangono da compiere le opere di penitenza imposte dal confessore.

Espiatoria e medicinale

Esse hanno una finalità al contempo espiatoria e medicinale. Medicinale, perché le opere di penitenza, pur leggere, sempre comportano una certa penalità, almeno quella legata allo sforzo e fatica di vincere la resistenza in noi a compiere il bene. In questo modo l’uomo si esercita nel bene, approfondendo le buone disposizioni, e diventa più cauto per non cedere alla tentazione nell’avvenire.

Pena temporale

La finalità espiatoria delle opere di penitenza deriva dal fatto che il peccatore, avendo dato soddisfazione al proprio diletto malgrado ciò dispiacesse, gravemente o lievemente, a Dio, è giusto che debba contrariare se stesso, distaccandosi in qualche modo dalle creature per aderire più decisamente a Dio. In sintesi, per mezzo di queste opere di penitenze si sconta la «pena temporale» del peccato (cf nn. 1472-1473).

Il valore delle opere di penitenza deriva dall’unione con Cristo; da qui la particolare efficacia espiatoria della soddisfazione sacramentale, poiché attraverso di essa agisce, come in tutti i sacramenti, l’efficacia salvifica della passione di Cristo.



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