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Metti Gesù e Bud Spencer seduti in Cielo a mangiare spaghetti…

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Giovanni Marcotullio - Aleteia Italia - pubblicato il 18/10/17
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Esce domani in libreria “Spaghetti con Gesù Cristo” di don Samuele Pinna. A più di un anno dalla morte di Carlo Pedersoli, universalmente noto col nome d’arte di “Bud Spencer”, arriva un felice tributo d’affetto a evidenziare la bellezza e la complessità del percorso di vita dell’artista

Si avvicina il 31 ottobre, e mentre tutti i bambini sanno che questo vuol dire “Halloween” (sfortunatamente quasi nessuno, se non ha letto il mio amico Rocco Malatacca, sa cosa sia questa festa…); gli intellettuali seriosi, invece, rimuginano tra loro che quest’anno si consumerà il 500esimo anniversario dall’affissione delle tesi luterane a Wittenberg (ma tutti quelli che hanno letto il mio maestro Giancarlo Pani sanno che non vi fu alcuna affissione…).

Verso il secondo compleanno incompiuto di Bud

Restano dunque poche certezze, quanto al 31 ottobre, per noi «non artisti / solo piccoli baccellieri». Alla sera celebreremo con gioia la vigilia di Ognissanti, naturalmente, ma nel corso della giornata non potremo che pensare a Bud Spencer, che nacque Carlo Pedersoli nel 1929 e che non soffierà sull’ottantottesima candelina così come non soffiò, per pochi mesi, sull’ottantasettesima. Peccato per noi, che abbiamo perso la compagnia sensibile di quel gigante buono entrato nelle case e negli immaginari di noi tutti dal tubo catodico (perché all’epoca i televisori ce l’avevano, il tubo catodico): quanto a lui, abbiamo diverse buone ragioni per pensare che sia preso in attività più liete, considerando a quale decisa esasperazione fosse giunta la sua curiosissima “fame di Dio” nel corso degli anni e dei decenni. Proprio domani esce nelle librerie un libro di don Samuele Pinna, giovane sacerdote e teologo dal sangue sardo-lombardo, che sembra scritto apposta per consolare la nostra nostalgia di Bud. E di Carlo – ci spiega pazientemente Pinna in Spaghetti con Gesù Cristo! –, perché il segreto di quest’uomo poliedrico fu soprattutto la sua calda e pastosa umanità. O non si spiegherebbe un libro-tributo di un giovane sacerdote che non ha ricevuto incarichi, né ricompense, né promesse da editori e produttori (e tantomeno dalla normalissima famiglia dell’attore). La ragione principale è un debito personale, che l’autore intende palesare al lettore:

In casa mia fin da quando ero ragazzo si guardava poco la televisione; i miei genitori erano molto attenti e scrupolosi al riguardo. Ma c’erano dei programmi, rari, che con loro e mio fratello si potevano tranquillamente vedere, rimanendo alzati più dell’orario consentito. Perlopiù erano i film di Bud Spencer e Terence Hill (oltre a quelli di Totò e, soprattutto, di Don Camillo sceneggiati da quel “geniaccio” di Guareschi). Io ragazzetto li aspettavo con gioia incontenibile, benché magari fosse la millesima replica (tra l’altro questo mi capita anche oggi, nonostante segua ancor meno di un tempo i programmi televisivi).

Rammento, inoltre, come il punto più bello e atteso del film fosse per me (ma anche per mio fratello Cristian) la scazzottata finale, dove mi immedesimavo nei protagonisti. Passando gli anni ho compreso sempre più in profondità la morale buona di quei lungometraggi restituita con semplicità. Ho iniziato a nutrire anche un’umana simpatia, confermata dalla scoperta che gli interpreti principali di quei racconti erano persone “perbene” e – per dirla ancora alla Bud Spencer – “decenti”.

Samuele Pinna, Spaghetti con Gesù Cristo!, 144

La teologia dei cazzotti e degli spaghetti

Questa è bella: restare svegli fino a tardi per Don Camillo è una trasgressione a cui anche i Papi Benedetto XVI e Francesco ci hanno abituati (e facilmente facevano lo stesso pure i loro predecessori); ma che il clero sovvenzioni gli spaghetti western… e in particolare le scazzottate, lodandone apertamente “la morale buona”… è cosa che desta stupore.

O ne desterebbe, di stupore, in chi non avesse mai letto le cose di don Pinna, tanto attivo nell’attività pastorale quanto impegnato nella ricerca accademica e nella divulgazione della dottrina cristiana. Possibile parlare di “teologia di Bud Spencer”, seriamente ancorché con le virgolette in copertina? Pinna sembra immaginare questa obiezione fondamentale, per cui mette avanti le mani nell’Introduzione:

Ogni battezzato è, in realtà, un teologo in quanto parla – e non solo attraverso concetti – del suo Dio, che è Padre e Figlio e Spirito Santo, e della sua fede nella Chiesa.

Ivi, 12

Questo Bud Spencer lo fece di continuo, perfino rispondendo “importune” a Chiara Maffioletti che gli chiedeva per il Corriere della Sera come si autovalutasse in generale, in quanto persona:

Glielo dico dopo, quando mi chiama nostro Signore. Cambio di continuo per via delle mie curiosità. L’aldilà è tra queste. E se arrivo lì e non c’è niente… se arrivo lì e non c’è niente allora mi arrabbio.

Ivi, 142

Era questa sincera e sentita teo-logia di un cristiano semplice e modesto, quantunque pieno di talenti e beneficiato di una vita straordinaria:

Ho fatto tante cose ma senza Dio non avrei fatto nulla. Ho un grande senso di gratitudine verso il Cielo.

Ivi, 12

E del resto Inos Biffi – lo riporta fedelmente Pinna, puntuale nel citarlo – così illustrava la cosa:

Radicalmente teologo è ogni credente, dal momento che l’adesione di fede come tale ha intima in sé una plausibilità o un “vedere”, che rende “umano” l’atto di credere. Anzi l’intelletto dell’uomo è “precostituito”, capace di fede”, ossia “affine” alla Parola di Dio. Se poi in ogni atto di fede c’è un’“intelligenza della fede”, teologo è colui che sviluppa questa intelligenza, l’articola, le dà sistemazione, ne ricerca il linguaggio e la dicibilità storica. Sotto forma, certo, di proposte e di possibilità, ma con l’intenzione e la convinzione di rendere esattamente e con coerenza il dato stesso della fede.

Ibid.

Le lacrime del giovane Pedersoli

Qualcuno starà pensando: «Questo articolo è un trappolone: promette che si parli di Bud Spencer e invece finisce a discutere di epistemologia teologica…». Nient’affatto, eravamo stati chiari e veritieri: il passaggio di Biffi serve più a spiegare che cosa ci fa Pinna, nel proprio libro, che non cosa ci faccia Banana Joe.

Perché anzi – e anzi al ricostruire intelligentemente il dato biografico l’autore dedica molte pagine – personaggi come il venditore di banane nemico degli speculatori e degli sfruttatori delle donne dicono molto non solo di Bud Spencer, né unicamente di Carlo Pedersoli, ma di quello che all’ex campione di nuoto accadde quando la gloria sportiva finì (senza peraltro essere mai esplosa quanto avrebbe forse potuto…).

La fama nell’adolescenza, il successo anche con le donne, la protezione di due bravi genitori, le feste e le goliardate con gli amici non hanno potuto eludere la domanda di senso che chiedeva di capire chi era davvero Carlo, ammesso di andare oltre all’effimero titolo sui giornali e al trofeo sul comodino. Così, poche settimane dopo aver avuto il coraggio di farsi quelle domande, che da tempo covavano inascoltate nelle ceneri del suo essere, si ritrova in Amazzonia. A piangere come un disperato: «Ero scosso, turbato – confessa –. E lasciai | tutto partendo senza soldi per un Paese che non conoscevo». Non aveva mai davvero pianto, se escludiamo qualche naturale capriccio durante l’infanzia. Nella giungla, in un mondo estraneo e poco ospitale, scoprì invece il potere curativo delle lacrime, facendo attenzione però a non farsi vedere da nessuno, perché agli occhi degli altri rimaneva comunque un bianco massiccio con l’aria del “duro”.

Vicino alla trentina Bud diede, finalmente, una svolta al suo stile di vita, che ricorda «come una folgorazione. Mi chiedevo: “Ma tu chi sei?”, perché non lo sapevo. “Hai fede in qualche cosa?”». E «così ho scoperto solo da adulto di essere credente».

Ivi, 45-46

E a don Pinna, giovane ma ancora cresciuto in una formazione amica delle belle lettere, tornano in mente il lavacro del pianto di Pietro (peraltro è autore di un pregevole saggio su un inno liturgico che a quel lavacro accenna elegantemente) e quello manzoniano delle lacrime dell’Innominato. Il libro procede così, pagina dopo pagina, in un gioco serio di meditazioni letterarie, di assonanze e di rimandi che comprendono alcuni grandi classici, come Saint Exupéry, Tolkien, Bach (Richard, non J.S.…), e gli autori di una vita, i fidi compagni a cui l’autore si rivela debitore non meno che a Bud Spencer – il cardinale Giacomo Biffi, ad esempio, e il pur evocato Giovannino Guareschi.

Tra filosofi e polpette

Forse qualcuno obietterà: «Insomma, è il Bud Spencer di don Pinna, non proprio Bud Spencer». Ecco, una simile domanda toccherebbe in parte un difetto strutturale del libro – cioè l’essere stato iniziato per l’impatto emotivo dato dalla morte di Pedersoli, e dunque necessariamente privo di un confronto con l’autore –, ma rivelerebbe pure una qualche diffidenza nei confronti dell’operazione, quasi che si sospettasse Pinna di voler forzatamente non dico “battezzare” Bud Spencer (la sua fede era così trasparente e impertinente che salta fuori anche dalle colonne del Corsera), ma “intellettualizzarlo”.

E si rivelerebbe allora il corto ingegno dietro a un simile sospetto: come se Pippo e Roger Rabbit non ci avessero da tempo insegnato, dopo Stanlio e Ollio, Chaplin e Sordi, quanta serietà ci voglia per far ridere, e quanti pensieri per rilassare le persone. E sì che il buon Terenzio, già ai suoi tempi, se ne fece quasi una malattia… Ma torniamo a Bud Spencer – la cui malattia semmai era la fame: fame di cibo, sì, ma tanto più di esperienze, di affetti, di mondi, di spirito – e torniamo ai suoi libri filosofici (perché scrisse anche di filosofia e, da partenopeo naïf, fu molto meno abusivi di tanti maître à penser…). Particolarmente in uno – Mangio ergo sum – si taglia a fette la golosa gioia di pensare e di riversare le proprie considerazioni nei letti già scavati dai grandi pensatori della storia.

L’incontro notturno con gli intellettuali di tutte le epoche inizia con Cartesio: egli è criticato perché secondo Bud Spencer la prova dell’esistenza non è il cogito, bensì il mangio. Per Bud anzitutto c’è il mangio seguito dal futteténne. Nel confronto con Cartesio si sfiora il tema di Dio, entità insondabile ma esistente. Senza l’ente Perfettissimo, l’uomo, imperfetto, non potrebbe aspirare alla perfezione, perché non ne avrebbe neppure il concetto.

Ivi, 101

E poi Galilei, con Copernico e san Tommaso, Machiavelli, Voltaire e molti altri. E Pinna in controcanto coi “suoi” Maritain, Paolo VI, Giovanni Paolo II (e tra le righe i maestri privati, come il compianto Piero Viotto…). Sembrano i colloqui notturni del governatore negromante dei Viaggi di Gulliver, ma a differenza del personaggio partorito dalla fantasia di Jonathan Swift Bud Spencer non è affatto angosciato dalla morte:

Sono sempre più appassionato della vita ogni giorno che passa, ma la morte non mi spaventa. Perché credo che in realtà non si muore, e che la nostra anima sia viva anche dopo aver lasciato la terra. Anzi, sono certo che la vita continua. Intanto affronterò la morte, in ogni caso, con dignità e con la stessa dignità affronterò il giudizio di Dio.

Ivi, 124

«Chi è curioso va all’inferno»

Certo, la curiosità non è mai stata una virtù, in sé e per sé, e probabilmente Bud Spencer deve a questa “spina nella carne” tutta l’incompiutezza del proprio personaggio – che, dice Pinna riferendosi a Cyrano «fu molte cose / e tutte invano»  – e molta della bellezza che pure ne promana. In nessun modo, però, la bellezza promana dalla sola curiosità, senza che vi si apponga accanto – come dire – un elemento di stabilità, qualcosa che “faccia massa”. Ecco perché Pinna affronta nei capitoli del libro “gli amori” di Bud Spencer – il cinema, i motori, Terence Hill e soprattutto la moglie Maria (a questi ultimi due è dedicato l’intero lavoro) – nei quali si è stabilizzato e reso limpido il cuore inquieto di questo gigantesco bambinone.

Infatti –  riconosce Bud  – «ci sarebbe voluta la pazienza, la dolcezza e la sensibilità di quella piccola ragazza che poi sposai, Maria Amato, tanto bella quanto mingherlina rispetto a me, per farmi maturare fino al punto di dirle un giorno: “L’eco del mio amore rimbalza nei tuoi occhi e mi fa capire quanto ti amo” (il che non implica che io sappia quanto lei ami me). […]»

Ivi, 49

Va bene, va bene –  diceva mentre ultimavo la lettura il criticone che sempre alberga in me  –: non è difficile cucinare insieme un poco di belle dichiarazioni da libri e interviste e tirare fuori un polpettone convincente, ma non per questo saremo costretti a credere che quella succulenta pietanza abbia un giorno davvero scorrazzato felice per qualche prateria, così come ci appare adesso! E come a rispondere a quella voce, dai ringraziamenti delle ultime pagine – fra i meno rituali che io abbia mai letto – ho visto addensarsi le calorose ombre della moglie, dei figli, della sorella e dell’amico del cuore di Bud Spencer.

Presentai il progetto un po’ emozionato e preoccupato: speravo di fare bella | figura perché i fogli dinnanzi a me avevano non solo lo scopo di rendere omaggio a una persona buona e carica di valori positivi, ma di proporre una testimonianza.

L’incontro fu davvero provvidenziale: da quel giorno in poi ho ricevuto tanti suggerimenti per il mio scritto che hanno elevato di molto il suo valore. Desidero, quindi, ringraziare di vero cuore e con tanto affetto per quanto ha fatto la signora Maria, che mi ha accompagnato passo dopo passo sino alla fine del lavoro. […] A Giuseppe, Cristiana e Diamante devo porgere il mio ringraziamento per la disponibilità, la simpatia e per aver letto, nelle varie stesure, Spaghetti con Gesù Cristo! La “teologia” di Bud Spencer. Devo, inoltre, dire un grande grazie anche a Vera Pedersoli, sorella di Carlo, che con sollecitudine e disponibilità mi ha fatto sentire la sua vicinanza raccontandomi come il legame con suo fratello sia sempre stato forte, un’autentica “vita di comunione”.

Ivi, 147-148

Pinna non teme di dilungarsi, né tantomeno che la folta schiera degli amici da ringraziare possa diluire il suo merito per la composizione di questo tributo:

[…] Vuol dire che i miei “amici” si sono accresciuti: è la fortuna dei cristiani che sanno di non essere mai soli, ma sempre in una dolce ed ecclesiale compagnia. Questo mio libro, pertanto, è in qualche modo anche un po’ loro.

Ivi, 149

Al cuore di un grande viaggio

“Grazie”, peraltro, è stata l’ultima parola detta da Bud Spencer ai suoi famigliari, e al di là del suo valore eucaristico è geniale anche dal punto di vista della “scenografia”. Nella prima parte del libro don Pinna aveva significativamente fatto osservare che l’immensa epopea de Il Signore degli anelli si conclude con l’asciutta riga: «Egli trasse un profondo respiro. “Sono tornato”, disse». E lascia la parola a Gnocchi e a Palmaro, giacché soltanto

un genio poteva chiudere con una simile riga le 1.258 pagine di un capolavoro come Il Signore degli anelli. In quest’ultima riga, di cui Samvise Gamgee è protagonista assoluto, si racchiude il segreto dell’immortalità letteraria. Perché la grande epopea, la grande poesia, il grande romanzo, alla fine, non sono altro che il grande racconto del ritorno a casa. Non sono altro che la riscrittura della parabola del figlio prodigo. Perché la grande epopea, la grande poesia, il grande romanzo sono riti letterari dell’unica vera religione, che è quella cattolica.

Ivi, 32

Non si tratta quindi di una canonizzazione o dell’erezione di un simulacro cui tributare nostalgici sbuffi d’incenso: il racconto della vita di Bud Spencer – una vita in parte girovaga e frammentaria (come sono tutte le vite vere, che acquisiscono unità e senso unicamente nello sguardo giubilante del naufrago superstite) – è l’ennesima prova del fatto che nel Grande Viaggio le tappe sono già parte (ed antipasto) della meta.

Bud Spencer –  ricorda don Pinna – inizia i capitoli della sua autobiografia sempre con un esergo tratto da un grande pensatore per poi giustapporne uno suo. In […] [una] sezione cita Honré de Balzac: «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi», per poi aggiungere dal suo repertorio: «Io ci vedo poco, ma intanto parto lo stesso».

Ivi, 24

E con questo motto arguto e sornione, umile come sono le parole di un uomo «del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore», perfino Balzac mi resta meno indigesto. Buon pranzo, Bud: ci vediamo presto.

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