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Ti senti eccessivamente brutto/a? Potrebbe essere dismorfofobia

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Silvia Lucchetti - Aleteia Italia - pubblicato il 02/10/17
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Cresce fra gli adolescenti l’insoddisfazione ingiustificata per il proprio aspetto fisico: le cause e gli anticorpiQualche settimana fa sul sito de La Repubblica (Repubblica.it 10 settembre 2017) è apparso un interessante articolo sulla dismorfofobia. Termine difficile da pronunciare che identifica una patologia subdola e complessa, trasversale a disparati disturbi psichiatrici di diversa gravità.

Per comprendere più approfonditamente questo disturbo, e così offrire preziosi suggerimenti e chiavi di lettura a quanti si confrontassero a vario titolo con esso, abbiamo intervistato la dottoressa Valeria Zanna, neuropsichiatra dell’Ospedale Pediatrico di Roma Bambino Gesù.

Gentile dottoressa, cosa si intende per dismorfofobia e come si distingue dal più banale non piacersi allo specchio?

La dismorfofobia è un’alterata e distorta visione del proprio aspetto esteriore che sollecita una preoccupazione eccessiva riguardo la propria immagine corporea, e può riguardare sia la percezione globale del corpo che sue singole parti.
Se io ho un naso con la gobba e lo vedo brutto, questo non è un disturbo dismorfofobico. Ma se io ho un naso che oggettivamente non ha caratteristiche esteticamente sfavorevoli rispetto al mio viso, e nonostante ciò vivo un disagio molto importante, come ad esempio l’incapacità di guardarmi allo specchio, in questo caso invece siamo nell’ambito del disturbo.

La dismorfofobia è una patologia frequente e molto importante soprattutto nell’ambito della mia professione, in cui mi occupo dei disturbi del comportamento alimentare, rappresentandone uno dei nuclei cardine.

Se io vivo male il mio corpo perché lo vedo per esempio grasso, a fronte del fatto di essere normopeso o addirittura con un peso particolarmente basso come avviene nell’anoressia, è chiaro che poi cercherò di seguire una dieta che ritengo possa farmi dimagrire, e così può arrivare a strutturarsi pienamente il disturbo del comportamento alimentare.
È bene però precisare che si può avere un’immagine distorta del proprio corpo senza mettere per questo in atto comportamenti alimentari disfunzionali o patologici.



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La frequenza di questo disturbo è aumentata negli ultimi anni?

C’è stato un forte aumento nel tempo della percentuale di persone che si dichiarano insoddisfatte rispetto alle proprie caratteristiche corporee. Negli anni ‘70 il 15% dei maschi viveva una insoddisfazione per il proprio aspetto fisico globale: agli inizi degli anni 2000 questa percentuale è arrivata al 43%. Per le donne la frequenza era già alta all’inizio degli anni ‘70, ma siamo passati dal 23% di allora al 56% di oggi.

Quanto risente la dismorfofobia dei cambiamenti socio-culturali?

La società influenza ampiamente questo tipo di disturbo, è inutile nasconderlo, perché l’attenzione che si presta al proprio corpo oggi è esasperata. La magrezza, il bell’aspetto fisico sono molto correlati alla percezione del successo e del benessere in generale, anche se non è corretto affermare che questa sia la causa della dismorfofobia. Infatti siamo tutti condizionati dallo stesso imperante modello sociale, ma solo una piccola percentuale presenta questo disturbo.

Qual è l’età più a rischio per l’insorgenza di questa patologia?

L’età più a rischio è l’adolescenza, e questo è assolutamente comprensibile dato che in questo periodo i ragazzi assistono ad improvvise ed impetuose modificazioni del proprio corpo rispetto alle quali si possono sentire estremamente sconcertati. Infatti è attraverso il corpo che tessono le relazioni sociali, per cui l’adolescente arriva a credere che controllando i cambiamenti fisici possa contestualmente gestire le ansie e le difficoltà delle relazioni con i propri pari e gli adulti. Se questo è comprensibile, dato che l’attenzione per il proprio corpo è massima e di conseguenza anche la relativa insoddisfazione, solo un gruppo di soggetti arriva ad ammalarsi di ansia, di depressione, o di disturbi alimentari, anche sulla base di una predisposizione individuale.

Ma la dismorfofobia non colpisce solo gli adolescenti, infatti si può manifestare in tutte le fasi della vita maggiormente esposte ai cambiamenti, quindi anche in età adulta. Il passaggio delle donne e degli uomini rispettivamente verso la menopausa e l’andropausa può far riemergere una pre-esistente fragilità sul piano della percezione corporea, anche se in età adulta è più probabile che si ricorra alla chirurgia estetica nella prospettiva di riconfermarsi il proprio valore ed aumentare così il livello di autostima. È chiaro però che se c’è al di sotto un vero e proprio disturbo psichico, il ricorso alla chirurgia estetica può rappresentare una falsa soluzione, che impedisce la ricerca di valide alternative cronicizzando di fatto le proprie problematiche.

Che ruolo hanno i farmaci in questo disturbo?

Nella dismorfofobia si usano i farmaci solo nelle situazioni particolarmente impegnative, quando è presente una co-morbilità con patologie di natura psichiatrica che si accompagnano al disturbo. Se alla dismorfofobia si associa un disturbo alimentare o una depressione grave, così come un quadro delirante in quanto il corso del pensiero non è più allineato con la realtà, è doveroso in questi casi intervenire con i farmaci, anche se dobbiamo sottolineare che non esiste un medicinale che cura la dismorfofobia in quanto tale.



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Quali condizioni possono incrementare il rischio di soffrire di dismorfofobia?

Esistono caratteristiche fisiche che facilitano la difficoltà ad accettare i cambiamenti del proprio corpo. Per esempio si è visto che le ragazze e i ragazzi che nel periodo della fanciullezza hanno manifestato un sovrappeso, tendono ad essere maggiormente insoddisfatti rispetto alla loro immagine in quanto sono stati esposti a un pesante pregiudizio sociale. Non dobbiamo dimenticare infatti che le persone grasse in genere sono molto spesso considerate colpevoli per non essere in grado di limitare il proprio peso corporeo, e nell’adolescenza rischiano di diventare oggetto di mortificazioni soprattutto da parte dei loro coetanei.

Poi ci sono caratteristiche di personalità che si rivelano maggiormente vulnerabili al rischio di soffrire un disagio rispetto alla propria immagine corporea. Ad esempio i bambini e gli adolescenti che hanno alti livelli di ansia sociale, che si caratterizza per una notevole sofferenza quando si trovano in gruppo, o vengono osservati in pubblico.
Sono estremamente vulnerabili riguardo la percezione del proprio valore, scarsamente consapevoli dei loro punti di forza, tendono all’autosvalutazione e per reazione sviluppano un elevato perfezionismo. Ad esempio le ragazze che si ammalano di anoressia nervosa – in cui la dismorfofobia rappresenta uno dei nuclei sintomatologici più importanti – hanno generalmente un rendimento scolastico molto brillante. L’ambizione a questo perfezionismo si traduce anche nella ricerca di un corpo perfetto secondo rigidi e pericolosi canoni estetici.

Quale ruolo ha la famiglia nella prevenzione di questo disturbo?

Anche se gli adolescenti sono più esposti a questo tipo di problematiche, bisogna prendere atto che disturbi dell’immagine corporea iniziano a comparire già dall’infanzia. Abbiamo registrato che il 40% delle bambine che frequentano le scuole elementari si dichiarano insoddisfatte delle dimensioni dei loro corpi, e desiderano essere più magre, così come il 25% dei maschietti. I genitori rappresentano il primo punto di riferimento per i ragazzi e giocano pertanto un ruolo fondamentale sia per quanto riguarda la protezione che, viceversa, nel rinforzare il disturbo. Se dentro la famiglia sono presenti genitori particolarmente attenti al loro aspetto fisico: mamme continuamente a dieta e ossessionate dalla loro immagine, papà sempre in palestra, e quindi si respira un clima familiare eccessivamente attento all’aspetto esteriore, questo non rappresenta certo un fattore protettivo. Se alla giusta attenzione per il proprio corpo, anche sotto l’aspetto estetico, corrisponde un’altrettanta sensibilità per lo sviluppo di sani valori, del mondo interno dei propri figli, questo costituisce il fondamentale punto di partenza per la prevenzione.



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Ma allora c’è un importante lavoro da fare con i genitori?

Quando parliamo con i genitori cercando di sensibilizzarli circa il disagio dei loro ragazzi, chiediamo loro: “Cosa sogna per suo figlio? Cosa vorrebbe per lui?”. Molto spesso se li immaginano ingegneri, avvocati, senza problemi economici in una prospettiva molto pragmatica. È difficile che un genitore ci risponda: “Vogliamo che siano delle brave persone, felici”. È essenziale aiutare i genitori a prendere consapevolezza degli “idoli” della società perché solo così potranno dotare anche i figli degli strumenti necessari per difendersene. Nella realtà odierna si sta perdendo il significato autentico della persona, viviamo in una società estremamente competitiva inseriti all’interno di un ingranaggio in cui siamo perfettamente sostituibili. È pertanto nostro dovere aiutare i nostri figli a confrontarsi con i modelli attuali contrapponendo loro valori solidi e auto-protettivi.

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