Riflessione sull’abbraccio dal Neolitico ad oggi. Perché l’amore usa sempre le stesse paroleQualche anno fa abbiamo fatto una gita a Mantova con tutti i figli e un’altra famiglia di amici. I bambini ricordano soprattutto il gelato, buonissimo. Io la città, magnifica e la Basilica di S. Andrea, che custodisce una reliquia maggiore di Cristo stesso.
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Mentre aspettavo che tutti i bambini sciogliessero le loro riserve sui gusti da abbinare sul cono e poi si apprrestassero a scioglierli in parti uguali su colletto e polsi delle giacche, la mia attenzione è stata richiamata dall’immagine di due diciottenni abbracciati. Del Neolitico.
È stato, quello del quale vi voglio riferire, un ritrovamento incredibile, avvenuto durante gli scavi archeologici di Valdaro, nel mantovano. Dai lavori svoltisi nel 2007 nell’ambito degli scavi su una villa romana è emersa un’intera necropoli, risalente a 6000 anni fa.
Ma la scoperta che ha sorpreso e, azzarderei, quasi consolato tutti è stata questa: due giovani sepolti abbracciati. Lo stato di conservazione delle ossa è stupefacente ed ha così permesso di ricostruire le due figure risalendo anche all’età dei soggetti.
In quei primi concitati momenti del rinvenimento, i media si gettarono a capofitto sulla notizia dandole risalto in tutto il mondo. Due giovani amanti, abbracciati da secoli, sono venuti a dirci qualcosa, titolavano o commentavano. E la cosa non è affatto stucchevole.
Il loro letto “nuziale”, composto da una zolla di terra di circa due metri cubi- è infatti altamente probabile fossero sposati, i due giovani – è esposto in una visitatissima teca, all’interno del Museo Nazionale di Mantova. Il team che ha seguito rinvenimento, ricerca ed esposizione protetta dei due giovani e antichissimi scheletri si è nominato “Amanti a Mantova” obbedendo al dolce gioco di suoni che si ripetono e si assomigliano, un po’ come fanno amandosi gli amanti (amant(i) – a-Mant(ova).
Prima di poterle escludere, dati alla mano, si sono moltiplicate le ipotesi interpretative più romanzate: dal duplice omicidio per gelosia di un terzo escluso, ad un tentativo di violenza finito male fino all’avvelenamento. No, invece: la cosa ormai certa è che sono stati sepolti così, intenzionalmente.
Qualcuno ha voluto che giacessero in quella posizione. Forse per comunicare anche ai potenti dell’Oltretomba che la loro era un’unione eterna?
Fatto sta che questo abbraccio, così lontano nel tempo e ora vicino alla vista ci rassicura, ci riempie di familiare e arcana nostalgia. Siamo facilmente sorpresi da ciò che la storia ci riconsegna dalle sue profondità remote e che ci ricorda che l’uomo ha una natura irriducibile, che si perpetua e sui fondamentali pare essere rimasta intonsa: l’amore tra un uomo e una donna è uno di questi fondamentali.
E l’abbraccio è un lemma del linguaggio amoroso che rimane, identico, da migliaia ma possiamo anche supporre mi
lioni di anni.
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L’abbraccio amoroso, l’abbraccio fraterno, l’abbraccio tra padre e figlio. L’abbraccio di due esseri umani travolti dalla stessa tragedia, come quei nostri poveri fratelli messicani, colpiti dal sisma del 19 settembre e dalle successive scosse, seppelliti da interi palazzi. Crollati come biscotti impilati a colazione, per un pugno sul tavolo; quando la terra trema dalle sue incadescenti profondità i nostri palazzi sembrano ancora più friabili…
Da quelle macerie, dai calcinacci, dalla terra, la polvere, le cose scompaginate e confuse, strappate agli appartamenti dove facevano da contorno alle vite normali di chissà quante famiglie, stanno emergendo i i superstiti (chissà fino a quando il gerundio non sarà illogico!).
Abbracci tra feriti, tra parenti e sconosciuti; tra soccorritori e soccorsi, suffissi diversi per un nonnulla della sorte, nello stesso destino che appare feroce e gigantesco, quando schiaccia insieme tanti di noi, tanti che diventano improvvisamente uguali. Lo siamo per davvero, uguali. Rinunciamo ora ad inoltrarci nel cammino impervio, eppure necessario, della natura che soffre e patisce lei pure le conseguenze del male.
E che porta avanti nella storia dell’uomo caduto, ma salvato dalla Grazia, secondo il mansionario dell’Onnipotente, il suo sporco mestiere di memento mori. Semper. Sì, cari fratelli, ce lo ricordiamo che dobbiamo morire. Ricordiamoci anche come è bello vivere, qua. E come andremo a vivere, ma sarà più un cantare e ridere, dopo sorella nostra morte corporale.